Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Lireta Katiaj

Anno

2011

Luogo

Albania

Tempo di lettura

10 minuti

Lireta non cede

Fu l’ultima volta che vidi Eduard.

I giorni del buio

 

Arriviamo in una casa vacanza, a pochissimi metri dal mare. Lì c’era un uomo ad aspettarci. Fu l’ultima volta che vidi Eduard.

Eravamo chiusi a chiave, giorno e notte. Quest’uomo ci forniva cibo tramite una finestra. Sono stati giorni di grande riflessione, di rara tristezza. Avevo lottato per la mia libertà e mi trovavo in carcere.

La sera dopo arriva un’altra ragazza. Aveva circa la mia età, e ci ha spiegato che il suo fidanzato doveva raggiungerla in questa cada a breve, per la partenza in Italia. Il suo entusiasmo ingenuo mi ha bloccato appena in tempo per confessargli la vera realtà dei fatti. Era molto innamorata del suo fidanzato. Era fuggita da casa con lui senza avvisare i suoi familiari. Poverina, era così presa: un’altra ragazza destinata alla prostituzione verso le strade italiane. Qualche ora dopo arriva il suo fidanzato che a mio avviso faceva parte dell’organizzazione. Infatti non mi sbagliavo. Mi chiamò in provato minacciandomi di stare zitta altrimenti mi sparava, mostrandomi la pistola.

L’uomo che si occupava di noi ci fece uscire dalla casa dirigendosi verso il gommone, strapieno di gente sconosciuta. Era la prima volta che mettevo piede in un gommone pieno di clandestini, lo avevo visto solo in televisione.

Il pilota, armato, ci poteva gettare tutti in mare in qualsiasi momento pur di salvare il gommone in caso di attacco da parte della Guardia Costiera. Era costretto ad agire in quel modo, era obbligato a salvare il gommone a tutti i costi altrimenti il proprietario uccideva la sua famiglia in Albania. Il gommone era un mezzo di trasporto straordinario per i clandestini, che fruttavano ai proprietari un sacco di milioni ogni notte. Appena superata l’isola di Sazan, il mare era abbastanza agitato, ci siamo fermati per avere informazioni via radio sulle condizioni del mare, da parte di collaboratori del pilota che si trovavano più avanti di noi, in mare aperto.

Silenzio assoluto. Eravamo un puntino in mezzo al mare, in queste condizioni è facile pensare che non arrivi vivo in Italia. Ci comunicano via radio che non potevamo affrontare il viaggio, il mare era impazzito e dovevamo tornare indietro. Io, appena ascolto questa notizia, senza esitare, tento di gettarmi in mare, ma il pilota mi afferra per il piede e mi tira all’interno del gommone, puntandomi sulla fronte il Kalashnikov e dicendomi: “Mi vuoi mettere nei guai seri? Ti devo portare viva in Italia, non morta. Se ti succede qualcosa la responsabilità è mia. Ci siamo capiti?” Durante il ritorno  verso Vlorë il pilota mi ha tenuto d’occhio fino a quando non ho messo piede fuori dal gommone.

“Tu sei Lireta, io ti conosco, sei la bambina che ha avuto un incidente a sei anni, vedo le tue cicatrici che lo confermano, eravamo vicini di casa, giocavamo insieme”.

La conoscenza con Armand e il suo gesto eroico

 

All’improvviso sentiamo spari. Rumori di auto e persone che gridano; “Aprite la porta”. Non avevamo la chiave per aprire la porta. Quell’uomo, stranamente, non c’era lì. In un attimo, buttano giù la porta e li troviamo davanti a noi. Erano cinque uomini armati e dissero a noi donne: “Avete dieci minuti di tempo per prepararvi, tra poco si parte senza i vostri ragazzi, abbiamo l’ordine di prelevare solo le donne, sbrigatevi”. Portano fuori di casa i nostri presunti fidanzati, mentre uno di loro, Armand, è rimasto a sorvegliarci. Mi fissa in modo strano e gli chiedo: “Perché mi fissi, cosa vuoi?”. Lui mi risponde; “Tu sei Lireta, io ti conosco, sei la bambina che ha avuto un incidente a sei anni, vedo le tue cicatrici che lo confermano, eravamo vicini di casa, giocavamo insieme”. Non avevo idea chi fosse Armand. Mentre mi parlava di nascosto dalla ragazza, i suoi amici ci chiamavano per uscire. Mi disse che conosceva la mia famiglia, pure i nomi dei miei genitori, mi chiese di fidarmi di lui, appena fuori da questa casa, dovevo correre salendo in auto con lui, fregando i suoi amici. Al suo segnale dovevo volare, non correre. Lo guardo negli occhi dicendogli: “Perché lo fai?” E lui mi disse: “Perché non sono una persona cattiva come sembra, ringrazia le tue cicatrici che ti stanno salvando la vita”. Tremavo. Avevo paura che mi sparassero alle spalle mentre correvo per raggiungere l’auto. Appena fuori di casa Armand entra in una delle auto più vicino a lui e mi dice: “Ora!”. Mi stacco dalla ragazza e volo in auto da lui. Sono stata così veloce a spostarmi da lì, che sembrava in un film d’azione. Abbiamo viaggiato per un paio d’ore. Ogni tanto mi giravo per vedere se qualcuno ci seguisse. Abbiamo fatto una sosta in una strada abbandonata, ben nascosti. Abbiamo parlato della sua situazione complicata e pericolosa dei suoi amici.

 

A breve doveva nascere la bambina e a lui sembrava non importasse molto.

La convivenza con Armand

 

Ho incontrato Armand per caso quella notte in cui mi salvò, poteva essere chiunque al posto suo ma, per fortuna mi piaceva, ero attratta da lui, oltretutto era un bel ragazzo. Dopo pochi mesi che stavamo insieme la pressione delle nostre famiglie si faceva sentire. Volevano che ci sposassimo. Secondo loro e l’opinione pubblica era una vergogna vivere insieme senza essere sposati, onestamente, a noi il matrimonio non ci interessava per niente.

La convivenza era completamente sconosciuta, era lontano anni luce dalla mentalità di tutto il paese. Noi siamo stati la prima coppia in quegli anni a convivere. Uno scandalo per i nostri parenti e la società.

Giorno dopo giorno, la situazione in tutto il paese peggiorava. Abbiamo deciso di tentare ad attraversare clandestinamente il confine greco. Attraversare il confine via terra era meno costoso che via mare. Dopo tre giorni di strada a piedi siamo stati beccati dai militari greci. Portandoci in un centro d’accoglienza per vari controlli, ci hanno rispedito in Albania. Un’esperienza negativa che non posso dimenticare. A bloccare i nostri tentativi a fuggire da là è stata l’improvvisa notizie che aspettavo un figlio. Ha cambiato certamente i nostri progetti del momento, anche perché in seguito ci siamo sposati. Un passo importante che in passato non ci interessava. Senza rendermi conto mi ritrovo un marito e una bambina in arrivo, una famiglia tutta mia. Non immaginavo potesse accadere questo, ma andava bene lo stesso. Ci siamo fermati definitivamente in Albania, vicino alla sua famiglia.

Il 1997-1998 sono anche gli anni che hanno messo a dura prova la nostra convivenza. Il suo menefreghismo mi fece riflettere molto, Armand era diverso, non era come prima. Assumeva lo stesso comportamento che aveva con la sua ex moglie. Ho capito che il vero problema era lui, non poteva essere un buon padre per nostra figlia. In pratica, il 1997 è stato anche l’anno del crollo totale dei suoi affari. Fu ucciso un suo importante contatto che aveva in Grecia e questo ha interrotto i viaggi d’affari con una conseguenza economica tragica e tanti debiti. A breve doveva nascere la bambina e a lui sembrava non importasse molto.

Secondo lei avevo bisogno del parto cesareo ma lei non era in grado di affrontare l’intervento.

La nascita di mia figlia

 

Dovevo decidere tra rischiare di incontrare i ribelli andando in ospedale oppure partorire in questo centro con l’unico aiuto di una ginecologa appena laureata, senza nessun tipo ti esperienza e senza attrezzature mediche funzionanti come garanzia in caso di complicazioni. La ginecologa era più spaventata di me.

La neo dottoressa , incapace nel darmi indicazioni ben precise, portò al fallimento totale tutti gli inutili tentativi e sforzi nel far nascere la mia bambina. Dopo circa sette ore di travaglio, la neo dottoressa confusa e molto dispiaciuta mi disse che non poteva aiutare più. Secondo lei avevo bisogno del parto cesareo ma lei non era in grado di affrontare l’intervento. In sostanza, l’unica persona al mondo che mi poteva aiutare in quel momento mi stava abbandonando in quel maledetto letto. Quando tutto sembrava perduto, avviene un miracolo! Un’altra ginecologa, ormai in pensione, una grande amica di famiglia, aveva saputo, dove mi trovavo ed era corsa da me con Armand, è stata molto chiara, nel dirmi come mi dovevo comportare e dolcissima nel rassicurarmi che tutto andava per il meglio, non come la neo dottoressa, che era più terrorizzata di me. Con qualche schiaffo da parte sua, e con una spinta memorabile da parte mia, mi sento dire da lei: “Forza, sta andando bene, spingi, già vedo la testa della bambina!”.

Poi non ricordo nulla, sono svenuta! Dopo qualche minuto apro gli occhi e vedo lei con la bambina presa per i piedi con la testa in giù. Mentre la colpiva nelle spalle, la piccola non piangeva! La mia reazione è stata disumana. Ho iniziato a urlare forte, pensavo fosse morta, mentre tentavo di scendere dal letto, improvvisamente la bambina ha iniziato a piangere! Praticamente aveva bevuto dei liquidi, perché prima di piangere le uscì qualcosa dalla bocca. L’ho visto pure io. Non credo troverò mai le parole giuste per descrivere quel momento. Il miracolo che ha potuto fare la ginecologa, l’amica della mia famiglia d’origine, per me e per la mia bambina non lo dimenticherò mai. Il suo nome era Eleonora!


 

Particolare tratto dalla testimonianza di Lireta Katiaj. Foto Luigi Burroni.
Particolare tratto dalla testimonianza di Lireta Katiaj. Foto Luigi Burroni.
Particolare tratto dalla testimonianza di Lireta Katiaj. Foto Luigi Burroni.
Particolare tratto dalla testimonianza di Lireta Katiaj. Foto Luigi Burroni.