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Autore

Lireta Katiaj

Anno

2011

Luogo

Albania

Tempo di lettura

9 minuti

Lireta non cede

Dovevamo essere anche noi a bordo, come alcuni dei nostri vicini di casa che si sono imbarcati e poi hanno perso la vita.

La tragedia della motovedetta Katër i Radës

 

A proposito dei viaggi di speranza, ho dei ricordi che mi toccano molto da vicino, con la motovedetta Katër i Radës. Un altro tentativo di lasciare il paese non riuscito. Eravamo io e Armand, poiché la bambina neanche esisteva. La tragedia accadde nel canale di Otranto nel marzo del 1997. La motovedetta Katër i Radës con 120 persone a bordo affondò speronata da una corvetta delle Marina  Militare Italiana. Sono state tante le vittime.

   57 – i morti, in gran parte donne e bambini!

   24 – i corpi mai trovati!

   34 – i superstiti!

Io prima di attraversare il mare con il gommone, avevo provato a salire a bordo della Katër i Radës. Non sò se, a parte me, ci sono state altre persone che hanno rinunciato al viaggio proprio con la Katër i Radës. Non riesco a darmi pace per quello che è accaduto!

Non siamo riusciti a salire a bordo, anche se mancava veramente poco. Ricordo mio marito che parlava con questi signori che si occupavano della gestione dei passeggeri prima di salire a bordo. Io ero un pò distante da loro, c’era tanta gente che sparava di continuo. Che confusione!

La motovedetta era strapiena di persone e loro continuavano a far salire ancora gente. Mio marito  viene verso di me dicendomi: “ Dai vieni, saliamo che a breve parte”. Lo guardo decisa e dico a lui che ho cambiato idea, non volevo partire più. La motovedetta era piccola per ospitare tale peso di gente, mi sono spaventata!

Sembrava la barca del braccio di ferro. Lui mi dice: “Ma sei matta? Loro sanno quello che fanno, sono professionisti del mare. Dai saliamo! Dove troveremo un’altra occasione così!” Non me la sono sentita di salire a bordo della Katër i Radës….

Tutta la gente che era a bordo, scoppiava dalla felicità. Nonostante mio marito fosse molto amareggiato, abbandoniamo l’idea di attraversare il mare con la motovedetta. Lui era molto arrabbiato con me. Per colpa mia avevamo sprecato l’unica occasione concreta per scappare dall’Albania. Certo, esistevano i gommoni, ma non era la stessa cosa, non trasmettevano la sicurezza  della Katër i Radës, c’era comunque più probabilità di riuscita. Alla fine a motovedetta parte e noi torniamo a casa. All’indomani, come tutti, abbiamo visto tramite la televisione la tragedia della motovedetta. Mi sono sentita male! Dovevamo essere anche noi a bordo, come alcuni dei nostri vicini di casa che si sono imbarcati e poi hanno perso la vita. In una famiglia furono in tre, abitavano nel palazzo di fronte al nostro. Tutt’oggi non ci credo che andò in questo modo.

Qualcuno lassù ci ha risparmiato la vita. Ma come si fa a non chiedersi perché noi non ci siamo imbarcati insieme agli altri? Incredibile, ma è per questo che mi sento morta dentro ogni volta che penso tutte le vittime della Katër i Radës . Vivere con questo ricordo non è facile, da testimone di esperienze simili. Mi spiace tanto vedere tutt’ora la gente arrivare con le motovedette, come la Katër i Radës. Vedere ancora gente che perde la vita in mare con la speranza di trovare la libertà e un futuro migliore in Italia. Secondo me, l’accoglienza e il diritto sono gli antidoti vincenti contro l’illegalità. Le vittime della Katër i Radës fanno parte dei miei ricordi. è difficile togliere dalla testa l’immagine dei loro famigliari quando sono venuti a conoscenza della tragedia. Mi viene in mente il cimitero di Vlorë, dove loro riposano. Parecchi anni fa mi trovavo nella mia città natale e sono andata in questo cimitero a trovare mio padre. Avevo preparato una targa da mettere sulla sua tomba con l’incisione di una frase per lui da parte mia. A parte questa volta, non ho mai messo più piede in cimitero. Mi ha sconvolto talmente tanto che non me la sento più di fare ritorno. All’entrata di questo cimitero, sulla sinistra ci sono loro. Tutti innocenti, vite interrotte, tombe piccolissime che appena li vedi. Ci crolli sopra dalla disperazione.

Ho pianto tanto quel giorno, il dolore che ho provato all’epoca, e lo stesso ogni volta che ci penso. D’avanti a una tragedia simile ti rendi conto che una parte di te muore ed è proprio quella parte morta che grida giustizia!

Confesso che dopo un sacco di anni, trovarmi nel centro della mia camera segreta m’irrita molto. Sono ricordi e rimproveri che mi spezzano il cuore. In questo racconto ci si ritroveranno tutti quei genitori che come me hanno dovuto prendere la tragica decisione di avventurarsi in mare con i propri figli.

Per fortuna gli ho passato la bambina appena in tempo perché lo scafista mi ha gettato in mare senza preavviso. Non dimenticherò mai quell’impatto gelido con l’acqua.

Il drammatico viaggio sul gommone con la mia bambina

 

Ricordo che quella notte sul gommone non eravamo solo noi ad avere a bordo dei bambini piccoli, c’erano altre famiglie con noi, spaventati e soprattutto pentiti, come noi.

Quando ti trovi in mezzo al mare, di notte, con i tuoi figli a bordo di un gommone, cambi idea immediatamente di quello che hai appena fatto, ti senti in colpa e non puoi fare niente. Speri solo di arrivare a toccare terra e basta, non smetti mai di pregare e guardare le stelle, non smetti mai di fissare il volto della tua bambina per capire se respira, la devi tenere stretta a te per sentire il suo cuoricino che batte. Mi sono odiata così tanto, quella notte, che mi facevo schifo.

Appena avvistati, in un attimo, eravamo a pochi metri dalla riva, è successo così in fretta che, senza neanche rendermi conto, tutte le persone che erano a bordo si ritrovarono in acqua. Panico completo. Si gettò prima Armand, dicendomi: “Passami la bambina”. Per fortuna gli ho passato la bambina appena in tempo perché lo scafista mi ha gettato in mare senza preavviso. Non dimenticherò mai quell’impatto gelido con l’acqua. Armand ha tenuto a bambina sempre in alto, per fortuna non si bagnò neanche un po’, al contrario di noi che eravamo tutti bagnati. Appena fuori dall’acqua ci siamo accorti di essere soli. Erano spariti tutti a seguire la guida. Non potevamo correre dietro loro, ho voluto assicurarmi che la bambina stesse bene, mi sono seduta sopra un borsone e iniziai ad allattarla e automaticamente ci siamo staccati dal gruppo.

Aveva lasciato suo marito Salvatore per Armand, subito dopo pochi mesi che erano sposati.

La conoscenza con Salvatore

 

Effettivamente dagli assistenti sociali ho ricevuto tantissimo aiuto. Soprattutto, una casa a disposizione per un breve periodo, tempo necessario per decidere cosa fare della mia vita. Un pomeriggio in questa casa, mi viene a trovare un’amica che vedendomi confusa mi disse: “ Ti va di incontrare una persona che, sono certa, ti darà tutte le risposte che cerchi”. Sorpresa e curiosa le dissi: “ Chi è questa persona e come fa a darmi le risposte che cerco!” Sorridendo mi disse: “è un mio amico che gli è successa la stessa identica cosa. Si chiama Salvatore. Lui ti aiuterà a capire tante cose. Solo che c’è un problema. Questo mio amico è il marito della nuova compagna di Armand.”

Ho saputo proprio in quel momento che lei era sposata. Chissà perché non avevo posto questa domanda. Aveva lasciato suo marito Salvatore per Armand, subito dopo pochi mesi che erano sposati. L’unica cosa che pensai all’istante: “ Che intreccio!”

“Desidero che tu e la bambina stiate con me, come una vera famiglia!”

La decisione di rimanere in Sicilia

 

Infatti dopo il quindicesimo giorno dissi a Salvatore: “ Ho deciso di partire, torno in Albania!” La sua reazione impedì la mia partenza. Mi parlò con il cuore in mano dicendomi: “ Non sono pronto a iniziare una relazione, ma lasciarti andare via significa perderti per sempre. Desidero che tu e la bambina stiate con me, come una vera famiglia!”

Emozionatissima di quello che mi disse, decido di rimanere, confessandogli che non era così semplice decidere, non ero da sola, ma con mia figlia, non potevo giocare con i suoi sentimenti. Se poi andava male tra noi, come spiegavo a lei? Salvatore, mi ha tranquillizzato dicendomi: “ Io non potrò mai sostituire il padre naturale, ma ti prometto che ti rispetterò e vorrò bene alla bambina come se fosse figlia mia. Ancora non so che significa essere padre ma con il tuo aiuto lo diventerò. Credo che abbia le capacità per farlo, amo i bambini in  generale, ritengo che siano la cosa più bella e pura, che esiste al mondo”. Bellissime parole!

Scoppiai a piangere dalla gioia, ci abbracciamo tutti e tre e da quel momento non ci siamo lasciati più.

La testimonianza di Lireta Katiaj, particolare. Foto Luigi Burroni.
La testimonianza di Lireta Katiaj, particolare. Foto Luigi Burroni.