Autore
Lireta KatiajAnno
2011Luogo
AlbaniaTempo di lettura
4 minutiLireta non cede
Sono nata a Vlorë,1 in Albania nel 1977.
 
Albania…
Il paese delle Aquile, nome molto adatto perché nelle sue montagne c’è un tipo di aquila rara, di color nero.
Ho trentaquattro anni, sono mamma di due figli e convivo con il mio compagno di vita Salvatore da dieci anni, lui è siciliano e abitiamo in Sicilia.
La mia storia non è l’unica in questo mondo, ce ne sono migliaia, anche peggio della mia e sono ben consapevole di questo. Vengo da una famiglia numerosa e povera, esattamente otto figli!
Mi sto avventurando a scrivere per la prima volta in una lingua che non è neanche la mia e non ho mai studiato la lingua Italiana. Sono solo in possesso della licenza media presa in Albania tempo fa. Non ho potuto finire neanche le superiori per la colpa della guerra civile che sfortunatamente non mi ha permesso di continuare gli studi.
Coraggioso da parte mia, ma se non mi butto a scrivere non potrò mai sapere sé sarò in grado di riuscire.
La mia famiglia d’origine
 
Mio padre era un’alcolista violento e mia madre una donna molto debole. Entrambi i miei genitori avevano un matrimonio fallito alle spalle e ciascuno di loro aveva un figlio maschio.  Quando si sono sposati, mio padre ha abbandonato suo figlio lasciandolo a sua madre, alla sua ex moglie. Mia madre invece non ha abbandonato suo figlio, frutto del matrimonio precedente e ha sposato mio padre. Egli è diventato uno della famiglia. Mio padre lo ha legittimato dando al bambino il suo cognome, diventando così un membro della nostra famiglia. Il fratellastro paterno lo abbiamo conosciuto solo nell’anno 1992; non avevamo mai sentito prima d’ora che avevamo un altro fratellastro. Il fratellastro materno viveva invece a casa nostra prima che arrivavano gli altri figli. Per noi, ora, è come un fratello, gli voglio un mondo di bene. Dall’unione dal matrimonio dei miei genitori nascono sette figli, sono la seconda in ordine cronologico. Mentre scrivo mi vengono in mente tutte le avventure vissute con i miei fratelli.
 
A caccia del cibo
 
Il problema principale era quello di trovare da mangiare. Cibo a tutti i costi! Prima di andare a letto la sera c’era una specie di riunione, decidevamo come e in che modo trovare del cibo il giorno successivo. Un giorno mancavano i nostri genitori e, come al solito, ci avevano lasciato il cibo razionato per la cena e per il giorno dopo. Noi, come sempre, divorammo tutto ciò che era mangiabile, dopo mezz’ora che loro erano andati via. Stava facendo buio, e la fame era rimasta e cercavamo di ignorarla, facendo diversi giochi! Esauriti tutti i giochi, i più piccoli iniziarono a piangere. Il nostro vicino di casa lavorava in un ristorante, faceva il cuoco. Ci separava solo la parete e potevamo vederci anche tramite una finestra. Allora accadde qualcosa di molto bello! Sentendo  piangere, la moglie del cuoco bussò alla finestra chiedendomi se andava tutto bene, ed io le dissi che era tutto a posto, solo che non avevamo nulla da mangiare e la stanza dove si trovava il cibo era stata chiusa a chiave dai miei genitori, che oltretutto non c’erano. La signora entrò a casa sua e subito dopo mi passò due teglie piene di cibo. Una era con le patate e l’altra era con il pollo arrosto. Oddio, che è successo in quel momento! Non sapevamo se ridere o piangere dalla gioia che avevamo addosso!
Abbiamo divorato tutto in poco tempo e dopo iniziammo a cantare fino a mezzanotte!
Il terrore che avevamo, quando mio padre ci faceva ridere tanto…
 
Anche mio padre ci faceva ridere tantissimo. A dir la verità, decisamente più della mamma, solo che c’era un piccolo particolare, c’era una bella differenza tra i due. Lui ci faceva morire dalle risate, aveva un modo del tutto particolare come raccontava le cose, aveva la battuta sempre pronta e soprattutto, era serio. Anche questo è un altro ricordo comune che conserviamo con i miei fratelli. Mentre lui raccontava, tutti ci guardavamo tra noi ridendo. Ci capivamo con lo sguardo. Nei nostri occhi c’era paura, no c’era bisogno di parlare. Questo nostro comportamento era un classico in situazioni di questo tipo. Mio padre più ci faceva ridere e più ci picchiava dopo. Era matematico. C’era sempre qualcosa che non andava, una scusa per litigare. Eh si, iniziava sempre con mia madre, poi dopo qualche minuto che partiva la discussione… Ma che dico, mica si poteva discutere con lui, mia madre doveva solo rispondere alle sue domande e, senza troppi spiegazioni, doveva solo rispondere Si o No, come negli interrogatori che fanno vedere nelle scene dei film polizieschi. Bastava che lei sbagliava a rispondere e volavano i primi schiaffi. Appena uno di noi interveniva, che poi non era facile farlo, scoppiava un casino.
Per far avvicinare lei, picchiava apposta noi. Che orrore, ma quanto male possono fare i genitori ai propri figli.
Come si possono cancellare questi ricordi? Impossibile!
Come ha fatto mia madre a non salvarci da questi tremendi ricordi? Qui non si tratta di perdonare e basta, non puoi fare finta di farlo. Mi metto per un secondo nei suoi panni, oggi lo posso fare, ho un marito e ho dei figli. Come faccio a vivere con un uomo violento con me e i miei figli? No, non potrei mai! è questo l’errore che non riesco a perdonare a mia madre. Doveva proteggere a tutti i costi i suoi figli, come dovrebbe fare un genitore. Un bambino piccolo è indifeso, aspetta che mamma e papà lo proteggano sempre. Avere una storia alle spalle come la mia e trovare la forza di perdonare. Ho puntato tutto nella direzione del “domani è un altro giorno”. Metto tutta la forza e l’energia che ho per andare avanti ma sarebbe davvero favoloso riuscire a perdonare.