Autore
Seydi Rodriguez GutierrezAnno
-Luogo
CubaTempo di lettura
2 minuti 50 secondiNon ti avrei conosciuto
Se Cuba non fosse un’isola e se l’oceano non fosse una vasta distesa d’acqua oltre cui guardare, io non mi sarei messa in viaggio e la mia rinuncia non sarebbe equivalsa a una nuova conquista.
Il tempo ha intrecciato la trama sottile dei miei desideri e delle mie intuizioni attraverso punti e nodi in cui riconosco disegni e decori antichi e nuovi esitanti fili svolazzanti. Sono loro, le persone che ho conosciuto, che hanno dato un senso al mio stare, all’identità che ora indosso.
Questa mia serie di brevi racconti parla di me e di loro insieme. Vorrei elencarli uno a uno, ma come i passi di una danza e simili all’ampiezza di un movimento, è giusto che vadano codificati e contestualizzati con dignità. Perciò questo è un ordine sparso e incompleto, come può essere un viaggio che mai arriva alla fine.
Volevo far nascere mia figlia a Cuba e trascorrere la gravidanza là, ma non ho potuto. Era arrivato il momento di pagare per la scelta che feci nel 1997, quando a diciannove anni decisi di andarmene dall’Isola.
Diventando madre e dando alla luce Sarah Sofia in un luogo lontano da casa, ho violentato me stessa, negando il bisogno che avevo di avere vicino l’affetto di mia madre.
Sarah Sofia è nata in Italia, a Monselice, ed è nata in modo diverso da come immaginavo, senza dilatazione, come se i miei muscoli contenessero tutta l’energia frustrata di un ritorno non concesso.
In quel momento si sono ricongiunte le dannazioni della terra, le punizioni ai debiti accumulati per la mia disobbedienza. Il destino aveva deciso che io sarei dovuta vivere e morire a Cuba, ma io mi ero ribellata. Sarah Sofia nacque con taglio cesareo.
Io sono dunque un’emigrante forzata, perché a casa mia nel mio paese, Cuba, ci sarei tornata se solo mi fosse stato permesso. Il permesso di tornare l’ho chiesto, ma non è stato possibile. L’ideologia dice: se non la pensi come me, allora non sei più cubana e non hai il diritto di vivere a Cuba. Ecco che ho chiesto all’Italia di poter fare entrare il padre di mia figlia, mio marito, per avere la possibilità di vivere insieme, di essere una famiglia. Non ho scelto l’Italia: l’Italia ha scelto me.