Tratto da
[...] 18 anniAutore
Egizia MigliosiTempo di lettura
6 minutiIl ricordo dell'estate del '44
Oggi novembre è già circa due mesi che sono stata costretta a svoltare per un’altra via di una vita che benché sia sempre della comune semplicità e correttezza ha cambiato il suo aspetto normale. Non ho più la mia casa di cui andavo tanto orgogliosa per la sua posizione stradale e per la sua composizione architettonica che completava tutte le mie volontà e poi non ho più la consueta pace familiare perché mi manca la persona più cara che era l’unica che riusciva ad espandere quella atmosfera che ci deve circondare per vivere una vita tranquilla e completa: la mia mamma.
Ha trascinato con se tutte le gioie della nostra vita perché senza di lei non può più apparire allegra (.....) in una specie di incubo - che ci fa sembrare come intontite, assonnate, in un incubo da cui non potremo più liberarci e che non ci fa liete a nessuna cosa.
La mia cara mamma che aveva tanta paura dei bombardamenti o per meglio dire degli allarmi, in quanto ancora non avevamo provato nessuno spavento, è rimasta proprio lei vittima della barbara incursione nemica. Era una mattina di sabato. Eravamo agli ultimi di settembre e quindi in una buona stagione. Io fui l’ultima ad uscire di casa perché come al solito avevo fatto tardi, mentre mamma era già scesa per recarsi in chiesa come era sua abitudine. In ufficio la mattinata passò abbastanza lieta, una mattinata di quelle in cui non abbonda il lavoro e che per arrivare presto all’ora c’è lo spasso dell’ortolano che richiede un sacco di tempo. Ero appunto tornata dall’ortolano quando suona il fischio della sirena. Il nostro primo pensiero fu quello di vestirsi e recarsi al rifugio nel giardino dei Semplici. Arrivati che fummo ci allarmarono dicendoci che vi erano gli apparecchi sopra e che sarebbe stato meglio allontanarsi il più possibile da piazza San Marco per il fatto che essendoci il comando tedesco, se i nemici avessero voluto tirare avrebbero certamente mirato quell’obbiettivo.
Dietro questa asserzione la paura fu maggiore della nostra volontà e a gambe levate ci si dette ad una corsa pazza. Io con l’intento di arrivare a casa e gli altri lo stesso, se non altro per allontanarsi il più possibile.
Arrivati all’ultima contrada di via Lamarmora si voltò per fare prima ad arrivare e fummo costretti ad entrare nella prima porta che si trovò aperta perché già si sentivano molto bassi gli apparecchi. Infatti si fece appena in tempo ad entrare dentro che un gran fracasso ci fece istintivamente buttare in terra - vi seguì un rumore di rottura di vetri e poi altro. Svelti svelti ci si alzò e fummo condotti nel rifugio casalingo di quella casa (....) cominciò la paura al pensiero dei miei. Pensai a Margherita in centro, a Lola e poi a papà, infine volsi il pensiero a casa - e in quale agitazione sarebbe stata la mia mamma nel sapermi in Piazza San Marco. Perciò la prima cosa che feci appena cessato pericolo fu quella di correre a casa per tranquillizzare. Erano con me Linari e la signorina Passani. Appena usciti si vide il palazzo proprio all’angolo della via che era tutto crollato e già delle persone chiedevano soccorso. Rimasi così stupita che come allucinata presi a correre verso casa. Non si respirava dal gran polverone che c’era. Si cominciò a vedere un altro palazzo nel viale Principe Amedeo e via via che ci si avvicinava pareva che altri non fossero stati colpiti. Arrivai alla strada dove passa il tram n°20 e vedo quasi in mezzo alla strada un’altra bomba che aveva danneggiato la facciata di un altro palazzo. È tanta la mia ansia allora che senza nemmeno sapere dove mettere i piedi mi trascinai fino alla cantonata pregando il Signore di risparmiarmi il terribile spettacolo. Ma oramai il male era stato fatto e le mie preghiere non valsero altro che a farmi forza quando davanti ai miei occhi si presentò la mia casa in un cumulo di macerie. Sempre con Linari e la Passani che cercavano di incoraggiarmi arrivai come una pazza vicino alle macerie. Non so quello che provai quando vidi che tutte le macerie coprivano di una certa altezza tutto il portone. Il mio primo pensiero fu quello di sapere mamma e Tecla e tutti gli altri inquilini rimasti sotto. Non vedevo nessuno intorno a me. Solo la spaventosa realtà. Infine il mio sguardo si posò su il padre di Savonarola e risoluta corsi a domandargli qualcosa credendo che mi potesse illuminare sul mio dubbio. Ma non seppe altro che dirmi “Coraggio figliola” quando ad un tratto qualcuno mi gridò che Tecla era in farmacia. Corsi disperata là da lei mentre (...) sapeva dove era. Mi misi subito alla ricerca mentre non sapevo cosa fare dato che nessuno si metteva in mio aiuto e mi ascoltava. Perché tutti erano intenti a cercare la Piera che ancora era sotto. Infine ebbi l’idea di passare dalla parte della corte e chiamai due ragazzini che mi seguirono. Appena si arrivò al dietro della casa si vide una persona che per il primo momento stentai a riconoscere. Ma la manica del suo vestito che in un punto era rimasta senza polvere non mi fece dubitare neppure un istante sulla crudele realtà. Corsi sul posto e chinandomi intontita verso di lei le presi la mano. Mentre le tolsi dal dito il suo anello matrimoniale constatavo con orrore la freddezza della subitanea morte che l’aveva colpita. Poi qualcuno mi trascinò via e il resto fu molto triste e rimarrà sempre scolpito nella mia mente per tutta la vita.