Tratto da
Diario di una fenice irrequietaAutore
Caterina MinniTempo di lettura
3 minutiPremio Lucia
Ma debole cado
La guerra è finita
 
Finalmente è arrivato il momento, il momento di spiccare il volo. Non ho comunicato a nessuno tra i ragazzi e le ragazze del convitto che l’avrei fatto, sono semplicemente partita, pronta a incidere il segno della mia neonata rinascita sulla mia pallida caviglia sottile. Durante l’attesa, per la prima volta nessun dubbio ha assalito i miei pensieri, nessun rimpianto, serpente d’acciaio, si è infiltrato nei meandri della mia mente: ho preso la mia decisione. Finalmente libera, mi sento rinata come quell’alata creatura di fuoco, quella fenice che tanto sento vicina, che percepisco tanto somigliante a me. Due ore di dolore, ma in fondo, di ore sofferte, ne ho trascorse tante e mai appaganti a breve termine come quelle passate stamattina: quella fenice dai tratti morbidi e sottili, fa finalmente parte di me ed io non potevo che esserne fiera... 
-Febbraio-
 
Guerriera son io,
Ma debole cado
La guerra è finita
08/02/14- ore 20.30
 
Risate. Urla. Gioia. Tutto è fuori ... fuori di me. Il giardino è saturo di leggerezza e allegra stupidità adolescenziale, la mia stanza colma di opprimenti pensieri , di una fitta nebbia di grigie domande. Le serate qui in convitto sono tutte uguali, in compagnia di una stanchezza fisica e mentale che non mi abbandona e che gelosa, mi attanaglia e mi isola dagli spensierati coetanei. Solitudine. Noia. Il tempo è fermo, cristallizzato. Eppure mi impegno, eppure ci credo! So però che la ferita è ancora aperta e fa ancora male, non posso permettermi di estraniarmi da tutto ciò che ho passato. È questo il mio unico freno: ho ancora paura di me stessa e degli altri.
 
09/02/14- ore 16.30
 
La concentrazione, pazientemente accumulata, si disperde nella sala studio, tra bestemmie e risate. Sarebbe una buona occasione per fare battute, per mostrare simpatia, se non fosse per la prova orale di domani, che mi lega ossessivamente al libro di storia. Gli occhi puntati sulla monotonia delle pagine e la bocca cucita, ma la testa sospesa tra ricordi e parole mai dette. D’improvviso un flash: quel giorno di metà gennaio mi si rivela nuovamente, mostrandomi delle gambe allora troppo deboli, volare sulla strada,correndo fino allo stremo. Le mie gambe. Fuggire. Da casa. Un brivido mi percorre la schiena, lo stesso brivido provato quel giorno, mentre mio padre mi correva dietro per riprendermi, per afferrare almeno quei 22 kg rimasti, che sfrecciavano via con un misto di rabbia, disperazione e gioia,solo due anni fa. Ritorno in me, gli occhi lucidi mi annebbiano la vista, corro in camera. Nessuno si è accorto di nulla. Nessuno qui mi dà importanza.