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Autore

Gaetano Castelli

Anno

2019 - 2019

Luogo

Agrigento/provincia

Tempo di lettura

20 minuti

Da lecco a Porto Empedocle riavvolgendo il nastro della vita

Cerco la casa dove sono nato, in Via Salita Lombardo e come mi è già successo altre volte, al vederla provo un misto di sentimenti. Guardando il balconcino della casa penso a come mi sembrasse grande quando ero piccolo e mi vengono in mente tanti ricordi.

MERCOLEDI 5 GIUGNOSeppure non sia più necessario, continuo a tenere lo stesso ritmo che avevo durante il mio viaggio in bicicletta, perciò mi alzo di buon'ora e dopo aver fatto colazione mi avvio verso il paese vecchio dove ho trascorso la mia infanzia fino alla fine della scuola media. Cerco la casa dove sono nato, in Via Salita Lombardo e come mi è già successo altre volte, al vederla provo un misto di sentimenti. Guardando il balconcino della casa penso a come mi sembrasse grande quando ero piccolo e mi vengono in mente tanti ricordi. Vedo mia mamma che stende i panni sulle corde tese da un balcone all'altro della strada, a quella volta che sono caduto e sono andato a sbattere l'angolo dell'occhio contro un vaso di fiori riportando una cicatrice che ancora si vede. Da quel balcone calavamo giù con una corda il cesto di vimini per prendere la frutta o i prodotti vari che vendevano gli ambulanti di passaggio. In quel piccolo spazio stavamo anche stipati come sardine e aspettavamo che passasse la statua di San Calogero e lanciavamo in strada il pane che veniva poi raccolto dalle persone e portato a casa. Questa antica tradizione deriva dal fatto che San Calogero, in periodi di pestilenza, andava a cercare pane per i poveri, ma la gente, spaventata dal possibile contagio, gli lanciava il pane dall'interno delle case. La processione col santo sopravvive ancora ai giorni nostri anche se ormai il pane lanciato è poco, sia per evitare gli sprechi, sia perché nessuno ha più bisogno di portarlo a casa. Sotto il balcone vedo il portoncino d'entrata. È ancora verniciato di colore marrone e penso che sia ancora lo stesso di una volta, solo con qualche strato di vernice in più. Proprio davanti a quell'ingresso, mi sembra di vedere la figura di mio fratello Carmelo che, come tutte le domeniche pomeriggio, armato di uno scalpello da muratore, sferra violenti colpi al portoncino urlando contro mia mamma di dargli 70 lire per andare al cinema e minacciando di demolirlo se non sarà accontentato. A nulla serve dirgli che i soldi sono pochi e sono necessari per cose più importanti e alla fine mia mamma è sempre costretta a cedere e io sono quasi contento perché spesso, oltre che a lui, i soldi li dà anche a me. Carmelo era più grande di me di due anni e qualche mese, ma contrariamente a me, cresceva forte e in buona salute e all'età di dieci anni ne dimostrava almeno quindici. Questo, probabilmente, era dovuto al fatto che beveva grandi quantitativi di latte crudo di cui era ghiotto e da cui traeva beneficio. Il latte veniva munto direttamente dalle mucche condotte in paese dai contadini che arrivavano dalla campagna. Al passare delle mucche scendevamo con un pentolino e compravamo il quantitativo di latte che occorreva per tutto il giorno. Spesso la sera si cenava con latte scaldato e pane raffermo e questo tipo di alimentazione causava problemi intestinali a quasi tutta la famiglia eccetto che a mio fratello. A quell'epoca nessuno osava mettere in discussione i benefici nutrizionali del latte appena munto, anche se su di me aveva effetti esattamente opposti e non favoriva la mia crescita. Perciò, ogni tanto, quando la mia magrezza cominciava a raggiugere livelli preoccupanti, mia madre mi portava dal medico il quale mi prescriveva due scatole di fiale di vitamina B12, da somministrarsi per via intramuscolare, che naturalmente non risolvevano il problema. Carmelo, invece, cresceva in buona salute e accompagnato da un carattere prepotente e selvaggio. A scuola andava male ed era stato bocciato sia alle elementari che alle medie. Passava tutto il suo il tempo fuori casa a giocare a pallone o fare a botte con gli altri ragazzi del rione e spesso tutti assieme si organizzavano per andare a fare la guerra contro ragazzi di altri rioni; guerra che consisteva nel fare la lotta corpo a corpo, ma soprattutto nello scagliarsi addosso sassi di misure varie. Durante una di queste sue scorribande rientrò correndo verso casa per cercare riparo e sottrarsi da un nugolo di ragazzi urlanti che lo inseguivano e mia sorella Carmen, nell'aprirgli la porta d'ingresso, venne colpita in volto da un sasso che le causò una grave ferita. Di solito a casa si faceva vedere solo quando aveva fame e prendeva tutto il cibo che trovava in giro incurante se servisse a sfamare qualcun altro della famiglia. Siccome era anche molto dispettoso, spesso disturbava le mie sorelle che studiavano. Prendeva due coperchi delle pentole continuava a sbatterli l'uno contro l'altro vicino alle loro orecchie. Ricordo che durante una di queste sue esibizioni, mia sorella Gina, in preda ad una crisi isterica, lo frustò violentemente usando un pezzo di gomma ricavato da una canna dell'acqua, ma lui reagì scappando in strada e ridendo come un matto. Spesse volte non rientrava per l'ora di cena e allora era compito mio andare a cercarlo in giro per il paese per sapere che fine avesse fatto. Quando non riuscivo a trovarlo, prima di metterci tutti quanti in allarme, aspettavamo che facesse buio perché capitava spesso di trovarlo davanti all'uscio di casa addormentato. A quel punto, prima di metterlo a letto, io e le mie sorelle davamo una mano a mia mamma a trascinarlo davanti alla tinozza piena d'acqua per poterlo lavare dalla testa ai piedi, compito che richiedeva impegno e tempo perché era sempre molto sporco e durante il lavaggio continuava a dormire.

Ricordo ancora che quando ci siamo trasferiti a Milano e siamo andati a stare in appartamento, mia madre si svegliava spesso di notte per controllare che dai rubinetti uscisse l'acqua e tutte le volte rimaneva come strabiliata da quello che lei considerava quasi un miracolo.

Mio padre era quasi sempre fuori casa perché era un marinaio e trascorreva anche lunghi periodi imbarcato sui vari pescherecci addetti alla pesca d'altura. In casa si sentiva enormemente la mancanza di una figura autorevole che lo educasse e lo intimorisse. Una volta mia madre, presa dalla disperazione, gli spaccò una bottiglia di vetro in testa, Carmelo non si fece quasi niente, si spaventò solo un po' e scappò via. A quel punto, mia madre andò dai Carabinieri per chiedere loro aiuto affinché intervenissero in qualche modo con quel figlio così scapestrato. I carabinieri le dissero che il ragazzo era minorenne e non aveva commesso alcun reato, perciò non potevano proprio aiutarla. Mia madre tornò a casa affranta e mio fratello continuò a comportarsi allo stesso modo, come un vero e proprio flagello. Carmelo si divertiva sempre a comandarmi, minacciandomi che in caso di ribellione mi avrebbe impedito di uscire di casa e in particolare di andare al cinema. Andare al cinema la domenica pomeriggio era per noi ragazzini un momento magico. I film più apprezzati erano quelli che proponevano uomini forzuti che lottavano contro nemici o animali, tipo "Ercole contro Maciste" o "Sansone contro i Filistei" in cui attori americani dai muscoli strabordanti, con la pelle completamente cosparsa di pomata luccicante, lottavano contro leoni o tigri e li uccidevano tenendo aperte le loro fauci. Noi ragazzini ci emozionavamo molto nel vedere i nostri eroi lottare contro nemici armati di lance e spade e scagliare enormi massi contro di essi. Solo più tardi abbiamo capito che gli enormi massi erano fatti di polistirolo dipinto e questo spiegava perché ci mettessero così tanto ad atterrare dopo essere stati lanciati. Ma il vero divertimento arrivava quando uscivamo dalla sala cinematografica e consisteva nell'imitare tutto quello che avevamo visto nel film. Eravamo tutti convinti che per uccidere un leone o una tigre fosse sufficiente tenere aperta la loro bocca per lungo tempo e che i massi si potessero scagliare con facilità, ma solo quando saremmo diventati più grandi e più forti. Questi personaggi sono stati i nostri supereroi. Alzando lo sguardo sopra il balconcino vedo il tetto che ora è stato rifatto con le tegole mentre allora era fatto con lastre di amianto sovrapposte una sull'altra. Il tetto era uno dei tanti punti deboli di quella casa perché quando pioveva, l'acqua passava attraverso gli innumerevoli buchi e arrivava fino in casa. Mia madre metteva un secchio in tutti i punti dove dal soffitto gocciolava acqua e ogni tanto capitava che dovevamo mettere il secchio anche sul tavolo mentre si stava mangiando. Questo era per me era uno dei momenti più divertenti perché, quando l'acqua cominciava a riempire i secchi, ogni goccia emetteva un suono diverso e io, avendo un innato senso del ritmo, mi mettevo a ballare in sintonia col suono delle gocce che cadevano. La nostra casa era molto piccola, era composta da un piccolo tinello, una stanza ad uso soggiorno con vari letti a scomparsa e un divano che fungeva da posto letto. Di lato c'era un corridoio alla fine del quale, posizionata su un supporto di legno, era sistemata una cucina tipo "upipigas" a tre fuochi, collegata alla bombola del gas e accanto a questa c'era un lavello che usavamo per lavare le stoviglie, ma anche come lavabo del bagno. Non avevamo un bagno come si intende ora; a metà del corridoio c'era un piccolo vano col gabinetto, accanto al quale era posizionata una giara di terracotta che conteneva la riserva d'acqua utilizzata per il gabinetto. Per un certo periodo di tempo, per avere più spazio, avevamo preso in affitto due locali confinanti con l'abitazione a cui si accedeva tramite un varco praticato nel muro divisorio. L'acqua potabile arrivava ogni tre o quattro giorni e ogni famiglia provvedeva a riempire tutti i contenitori che aveva a disposizione. L'acqua doveva essere utilizzata con molta parsimonia, tutta quella di scarto delle pulizie, del lavaggio panni o del bagno settimanale veniva recuperata e andava a finire dentro la giara che stava vicino al gabinetto. Se capitava che le scorte d'acqua finissero prima del previsto, io e mio fratello andavamo ad una fontanella che si trovava a circa un chilometro di distanza da casa e riempivamo un bidone di plastica da venti litri che poi trasportavamo a spalla, utilizzando un bastone infilato dentro il manico di plastica del bidone. lo stavo davanti perché ero più basso e la strada era in salita, così il bastone rimaneva abbastanza orizzontale e il bidone non scivolava indietro. Ricordo ancora che quando ci siamo trasferiti a Milano e siamo andati a stare in appartamento, mia madre si svegliava spesso di notte per controllare che dai rubinetti uscisse l'acqua e tutte le volte rimaneva come strabiliata da quello che lei considerava quasi un miracolo. Ogni tanto la domenica mia madre cucinava il ragù, fatto con pezzetti di carne grandi come un dado. Di solito andavo io dal macellaio; mia madre mi dava 200 lire che servivano a comprare circa tre etti di carne per il ragù. Stranamente mi dava i soldi e non il libretto di credito. All'epoca era infatti uso comune utilizzare un libretto sul quale il negoziante scriveva il credito che vantava nei confronti dei suoi clienti che pagavano quando avevano a disposizione il contante. Spesso succedeva che durante la cottura del prelibato ragù finisse la bombola del gas e non avendone una di scorta si andava dalla vicina di casa per ultimare la cottura. Questo compito spettava a me o ai miei fratelli. Vivevamo prevalentemente in strada anche per via del clima quasi sempre caldo, trascorrendo la maggior parte dell'anno andando in spiaggia a giocare o a fare il bagno. Il freddo si faceva sentire solo qualche mese durante il periodo invernale, in particolare a gennaio, e noi lo combattevamo con una stufa elettrica che però dovevamo accendere utilizzando solo una delle due resistenze, altrimenti saltava subito il contatore dell'energia elettrica. Quando era ora di andare a dormire non sapevo mai con certezza in quale letto avrei trascorso la notte perché questo dipendeva dalla presenza o meno di mio padre. Ricordo solo che ogni tanto mi toccava dormire con mio fratello in un letto singolo, perciò ci stendevamo l'uno contrario all'altro. Per me non era un problema, vivevo tutta la situazione come se fosse del tutto normale. Quando faceva freddo, di notte a letto ci coprivamo con una montagna di coperte di scarsa qualità. Per scaldarci stavamo abbracciati alle borse di acqua calda che tenevamo sotto le coperte. I cappotti o le giacche pesanti non facevano parte del nostro vestiario. Sarà stata l'incoscienza o la totale inconsapevolezza della vita, ma di quel periodo ho bellissimi ricordi. Solo diventando più adulto mi sono reso conto che la realtà che io ho vissuto in maniera spensierata è stata invece vissuta traumaticamente dalle mie sorelle che essendo più grandi di me, una di 8 e l'altra di 11 anni, hanno avuto una diversa percezione di quella nostra vita.

Mi godrò il mare e la spiaggia nei prossimi giorni, ora non voglio perdere tempo perché ho trovato il corriere per spedire la bicicletta a Lecco, si tratta di Zambuto Spedizioni ad Agrigento Bassa.

Proseguo lungo la strada che mi porta a Piazza Santa Croce dove una volta stavano negozi e botteghe e la vecchia chiesa e dove nel periodo pasquale veniva esposta la statua di Gesù crocifisso. In questa piazza si trova la casa del noto scrittore Andrea Camilleri, nato a Porto Empedocle, dove ha ambientato alcuni dei suoi romanzi, anche se il paese ha preso il nome di Vigata. Continuando si arriva in Via Roma, alla fine della quale comincia la passeggiata che costeggia tutto il litorale del porto e dove sorge la torre di Carlo V che nel Medioevo era chiamata utorre del caricatore" in quanto era stata costruita per difendere il luogo dove principalmente si caricava sulle navi il grano proveniente dal centro dell'isola. Porto Empedocle, infatti, era la marina di uGirgenti", il nome normanno di Agrigento. L'imperatore Carlo V vi fece apportare importanti ammodernamenti trasformandola in una postazione di difesa dagli attacchi dei pirati Saraceni i quali, per evitare di essere avvistati, adottarono una strategia molto efficace, nascondendo le navi nei pressi di Realmonte al riparo di una insenatura a forma di scalinata a strapiombo sul mare e sferrando l'attacco quando le navi cariche di mercanzie prendevano il largo. È questo il motivo per cui il luogo ha preso il nome di "Scala Dei Turchi, uno dei posti più suggestivi del litorale sud della Sicilia. A partire dalla seconda metà del '700 venne costruito il "molo", che era un prolungamento della terraferma verso il mare per permettere l'attracco delle imbarcazioni. Attorno al molo vennero costruite abitazioni e il luogo divenne un borgo marinaro e raggiungerà il rango di paese solo nel 1853, durante il periodo borbonico, quando la torre di Carlo V venne utilizzata anche come prigione, sulla quale Camilleri ha scritto un bellissimo libro intitolato "La Strage". Nel 1863, con la fine del periodo borbonico, il paese prende l'attuale nome per ricordare il filosofo Empedocle che nacque ad Agrigento. Passeggiando lungo il porto, noto come tutto sia radicalmente cambiato da quando ero piccolo, si vedono pochi pescherecci e molte più navi da viaggio o imbarcazioni turistiche. Da sempre Porto Empedocle è stato un centro di pesca e di commercio di prodotti ittici tra i più importanti della Sicilia per via della vicinanza ad una particolare area del Mediterraneo molto ricca di pesci. Oggi questa attività si è ridotta notevolmente, sia a causa della pesca incontrollata avvenuta negli anni passati che ha impoverito il mare, sia per l'allevamento su scala mondiale di pesci in acquacoltura finalizzata ai consumi di massa. Dal porto si può imboccare la strada che conduce ai lidi che si estendono per alcuni chilometri con spiagge di sabbia dorata finissima e un mare caldo e cristallino che sono la maggiore attrattiva di Porto Empedocle. Mi godrò il mare e la spiaggia nei prossimi giorni, ora non voglio perdere tempo perché ho trovato il corriere per spedire la bicicletta a Lecco, si tratta di Zambuto Spedizioni ad Agrigento Bassa. Dopo pranzo salto sulla bicicletta e mi avvio verso Agrigento Bassa, ma incontro le prime difficoltà perché l'abituale strada di collegamento è interrotta e mi tocca fare una statale molto trafficata. Le indicazioni stradali non esistono e continuo a chiedere informazioni, ma mi perdo più volte. Per coprire una distanza di circa sette chilometri impiego due ore e a completamento dell'avventura, qualche metro prima di arrivare agli uffici di Zambuto Spedizioni, mi si conficca una vite nel copertone anteriore. Mi viene quasi da ridere a pensare che ho percorso 880 chilometri senza forare le ruote e che sono costretto a cambiare la camera d'aria proprio adesso che ho finito il viaggio. Entro nel magazzino, prendo accordi per la spedizione, poi sostituisco la camera d'aria e ritorno a Porto Empedocle. Arrivo da zia Sara che è ormai ora di cena e passo la serata con lei e con le mie cugine.

 

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Sono contento di ritornare a casa e capisco che questa esperienza è stata molto utile per conoscere meglio me stesso. Questo viaggio mi è servito anche a conoscere meglio un'Italia di grande bellezza artistica e una parte di territorio interno che non conoscevo affatto.

Il fumo e l'odore di pesce arrostito che si sprigiona è molto intenso, ma chi sceglie di visitare Palermo deve mettere in conto che da sempre gli odori e il cibo da strada sono stati una sua caratteristica. Nella piazza dove si svolgeva il mercato non si vedono più le bancarelle disordinate e piene di ogni tipo di mercanzia, come il quadro di Guttuso è riuscito magistralmente a raffigurare, ma gli odori, il vociare continuo delle persone e gli edifici semidiroccati che contornano la piazza, lo rendono ancora un posto molto caratteristico. Mi fermo in un locale che cucina piatti tipici, perché è da quando ho messo piede in Sicilia che voglio mangiare una pasta con le sarde condita con il finocchietto selvatico e il pan grattato fatto abbrustolire in padella. Consumato il magnifico piatto di pasta, prima di ritornare al B&B, passo da una pasticceria storica in Piazza San Domenico per comprare due vassoi di paste di mandorla da portare a casa. Arrivato al B&B mi sistemo per la notte e sdraiato sul letto penso di aver concluso nel migliore dei modi il mio ultimo giorno di viaggio. So che domani trascorrerò una giornata alquanto noiosa tra treni, aerei e ore passate in aeroporto in attesa del volo. Arriverò a Lecco nel primo pomeriggio e finalmente potrò rivedere Autilia e Patrizia. Sono contento di ritornare a casa e capisco che questa esperienza è stata molto utile per conoscere meglio me stesso. Questo viaggio mi è servito anche a conoscere meglio un'Italia di grande bellezza artistica e una parte di territorio interno che non conoscevo affatto. Ho incontrato molte belle persone che sono sempre più convinto rappresentino la maggioranza dell'umanità. Devo ringraziare Lodovico per essere stato con me fino a Lucca, essendo alla mia prima esperienza di viaggio in bicicletta, la sua presenza e la sua esperienza mi sono servite molto. Ma soprattutto devo ringraziare Autilia e Patrizia che mi hanno sempre sostenuto e incitato a intraprendere quest'avventura, anche quando facevo finta di essermi dimenticato di questo mio proposito. Con mio figlio Martino, che vive lontano, abbiamo avuto lunghe telefonate e l'ho sempre sentito emotivamente vicino. Concludo dicendo a coloro che leggeranno questo racconto del mio viaggio che se amate veramente una persona lasciatela libera di fare le esperienze di cui sente il bisogno.