Autore
Gaetano CastelliAnno
2019 - 2019Luogo
Agrigento/provinciaTempo di lettura
19 minutiDa lecco a Porto Empedocle riavvolgendo il nastro della vita
SABATO 01 GIUGNO DA ROMA A NAPOLI
L'alba non tarda ad arrivare, ormai le giornate si fanno più lunghe e il sole sorge presto, mi sveglio, mi sento diverso, raggiungere Roma mi ha come svuotato di ogni energia e l'idea di dovermi muovere utilizzando il treno e la nave mi conforta. Scelgo di fare prima la colazione e poi di preparami. Mentre mi alzo vedo una figura che mi passa davanti con un sorriso forzato e riconosco immediatamente Maria Anna che sta volando via con lo zaino in spalla e il suo cappello sahariano e mi viene in mente che ieri sera dopo cena, in mezzo a tutte quelle chiacchere e discussioni, non l'ho più vista, né sentita; probabilmente deve essersi defilata subito dopo cena per poter prendere il letto più in fondo alla camerata e concludere in fretta la serata. Scendo nel refettorio e poco dopo arriva tutto il gruppo della sera precedente. li momento della colazione si rivela ancora più allegro della cena, solo che i discorsi sono più profondi. lo, come al solito, comincio a parlare e vado avanti senza interrompermi, ma gli altri sembrano interessati a quello che dico. Mi fermo per lasciare spazio agli altri e così scopro che Juliette è nonna e che deve rientrare in Francia per accudire il nipotino, ma prima intende passare dalla Sardegna, percorrendola in bici fino ad Olbia per poi prendere una nave per Marsiglia. Nel gruppo c'è anche una giovane coppia, si nota che tra di loro vi è un grande affetto soprattutto perché la ragazza è timidissima e il ragazzo cerca in tutti i modi di metterla a suo agio e di coinvolgerla nella discussione. Sono siciliani, di un paese dell'interno e stanno cominciando a fare il cammino partendo da Roma. Ci inoltriamo in discorsi tra il politico e il filosofico e tutti sembrano coinvolti dalla discussione, ma più di tutti si nota che Juliette è molto attenta perché, non conoscendo bene la lingua italiana, fa molta fatica a comprendere i concetti. Nel pieno di questa specie di simposio, Antonio ci dice che alle 9.00 bisogna lasciare la casa e che le camerate vanno liberate subito perché il gruppo pulizie inizia a lavorare. Ci atteniamo a quello che ci dice, ma si nota che a tutti dispiace andare via. In quel momento arriva una donna che fa parte del gruppo di volontari che gestisce la casa, ha un sacchettino di carta in mano, dentro il quale ci sono alcuni cartoccetti e ce ne dà uno a testa, dicendoci che contengono semi di un nespolo che si trova nel giardino e che appena possibile dovremo piantarli anche noi, così quando l'albero crescerà ci ricorderemo della casa e dei bei momenti trascorsi insieme. Questa è stata la botta finale, mi viene quasi da piangere, prendo i miei semi e salgo nel dormitorio per portare giù le mie cose.
Sotto il porticato dove si trova la bicicletta comincio a preparare le borse, ma mi accorgo che continuo ad aprirle e a richiuderle per i più futili motivi, non ho molta voglia di andarmene anche perché il treno parte alle 11.56 e se uscissi subito arriverei alla Stazione Termini troppo presto. Roma con il suo caos mi innervosisce. Antonio, in tono gentile, mi dice che devo proprio andarmene e dice la stessa cosa ad un ragazzo che si trova lì con me. Prendiamo ancora un po' di tempo, giusto per scambiarci qualche idea e io gli dico quali sono i miei programmi. li ragazzo si chiama Daniel, è nato a Buenos Aires e comincia il cammino a Roma per poi arrivare in Francia, passare in Spagna per poi intraprendere il cammino di Santiago, che sarà la conclusione del suo viaggio. Pensa di completarlo in sei mesi e poi prenderà l'aereo per tornare in Argentina. Daniel con il suo zaino e io con la mia bicicletta lasciamo la casa non prima di aver salutato e ringraziato ancora una volta Antonio e tutti gli altri. Appena uscito vengo inghiottito dal traffico cittadino che mi sembra ancora più insopportabile del giorno precedente. Per evitare di sbagliare strada metto il navigatore sul cellulare che mi porta direttamente alla stazione Termini. Il treno è già sul binario anche se partirà un'ora dopo, ma a me va bene, così ho il tempo di caricare e sistemare la bici. In quel momento passa il capotreno e noto subito lo sguardo infastidito che mi rivolge. Mi dice che su quel treno le biciclette non sono ammesse. lo gli rispondo che ho pagato un biglietto e che essendo un treno regionale posso caricare la bicicletta. Con tono disgustato mi indica la carrozza che una volta veniva utilizzata per il trasporto della posta. Salire su un treno con una bici di 23 chilogrammi completa di altri 20 chilogrammi di carico non è cosa facile. Incontro il primo ostacolo quando devo scalare i gradini di accesso alla carrozza che non sono allo stesso livello del marciapiede, ma la complicazione maggiore è riuscire a portare la bicicletta dentro il famoso "scompartimento postale" lottando con le porte che hanno la chiusura a molla e non mi permettono di entrare e la bicicletta rischia anche di prendere qualche colpo. Chiedo ad una ragazza di darmi una mano, cosa che prontamente fa e dopo aver assicurato la bicicletta a sostegni di fortuna utilizzando alcuni elastici che ho portato con me, mi siedo, mi rilasso e aspetto che il treno parta per poter aprire il mio libro e leggerlo in santa pace. Durante il viaggio non riesco a concentrarmi molto sulla lettura; ho trascorso più di dodici anni della mia vita a pendolare e con il treno ho un rapporto di amore e odio, ne riconosco la grande utilità, ma viaggiare in treno dopo un po' mi stanca. Cerco di immergermi in quello che sto leggendo, si tratta di un libro che racconta la tragedia avvenuta il giorno 8 agosto del 1956 a Marcinelle, una regione del distretto carbonifero di Charleroi in Belgio, dove per lo scoppio di un incendio, morirono 262 persone, di cui 136 immigrati italiani. Mi chiedo perché sono andato a scegliere questo genere di storia, forse perché, quando ho sentito la recensione di questo libro su una radio che ascolto abitualmente, mi è venuto subito in mente mio zio Raffaele.
 La prima volta che ho sentito la parola Marcinelle è stato quando trentadue anni fa sono andato a trovarlo insieme ad Autilia nella sua casa in Belgio, in una cittadina vicina a Charleroi. Raffaele era stato un minatore ed è proprio attraverso di lui che ho scoperto un pezzo di storia che non conoscevo. Mio zio era nato nel 1921, due anni dopo la nascita di mia madre, nello stesso paese dove sono nato anch'io e che sarà la meta finale del mio viaggio, ossia Porto Empedocle in provincia di Agrigento. Era nato in una famiglia poverissima e all'età di 19 anni si era arruolato come volontario per partecipare alla Seconda guerra mondiale. Era stato inviato in Polonia nelle unità che creavano le cortine fumogene per impedire agli aerei dell'aviazione inglese di colpire gli obiettivi militari. Dopo l'armistizio del'8 settembre 1943 si era trovato, come tanti altri militari italiani, ad essere considerato nemico, sia dai Tedeschi, che dai Russi e pertanto per potersi salvare aveva pensato di tentare la sorte scappando da solo e cercando rifugio presso fattorie nella campagna polacca. Era venuto in contatto con un contadino che gli aveva proposto di nasconderlo a patto che lui lo avesse aiutato nel lavoro dei campi. La notte avrebbe potuto dormire nella stalla perché con il calore emanato dagli animali non avrebbe rischiato il congelamento. Raffaele aveva accettato e utilizzando questo metodo anche con altri contadini, si era avvicinato poco alla volta all'Italia senza rischiare di finire davanti al plotone di esecuzione di qualche commando tedesco, in quanto nemico. Era arrivato a Porto Empedocle alla fine della guerra e si era accorto che il paese era ancora più disastrato di quando lo aveva lasciato, a causa dei fortissimi bombardamenti a cui era stato sottoposto durante lo sbarco degli alleati. Non avendo molto da scegliere aveva pensato di aiutare suo padre, mio nonno Gaetano, da cui io ho ereditato il nome, nel suo lavoro di calzolaio, imparando molto bene il mestiere. Le condizioni sociali ed economiche del paese però non offrivano alcuna possibilità di miglioramento e quando gli capita di leggere un manifesto pieno di promesse allettanti e rivolto a giovani in buona salute che vogliono andare a lavorare in Belgio accetta e così, nel giro di due mesi, si ritrova in una miniera di carbone a 1000 metri di profondità. Quando mi ha raccontato questa storia mi ha detto che la sua fortuna era stata di non essere stato destinato a Marcinelle, ma ad un'altra miniera, altrimenti sarebbe morto anche lui. Raffaele è vissuto per più di 80 anni e ha avuto anche la fortuna di non aver contratto la silicosi malgrado i 10 anni trascorsi a fare il minatore. Durante tutto il corso della sua vita ha continuato a fare il mestiere di mio nonno, il ciabattino, specializzandosi in calzature ortopediche. Mentre ripenso a questa storia mi accorgo che siamo giunti a Villa Literno e ormai manca qualche ora e arriverò a Napoli. Mi prende un moto di preoccupazione, Napoli suscita sempre apprensione perché è considerata una città insicura, dove potresti subire uno scippo o cose del genere. La stazione di Napoli mi fa paura perché me la immagino affollatissima e io dovrò essere molto bravo a proteggere tutto quello che mi porto dietro. Mi inquieta anche il fatto di non conoscere bene la strada che mi porterà verso l'imbarco della nave perché non vorrei ritrovarmi in mezzo al caos cittadino con il rischio di perdermi. Insomma, mi sento pieno di apprensioni e di paure.
Con l'aiuto della ragazza che mi ha dato una mano a Roma, porto fuori la bici dallo "scompartimento postale" e mi preparo a scendere. Il treno si ferma e aspetto che scendano tutti i viaggiatori e finalmente scendo anch'io con tutto il mio carico. Noto subito che la stazione non è caotica come avevo immaginato, la gente mi ignora, attorno a me non riesco ad individuare nessun tipo losco, esco con estrema facilità e chiedo ad una guardia giurata di indicarmi la strada più breve per arrivare a Calata Piliero in Piazza lmmacolatella, da dove partono le navi della "GNV - Grandi navi veloci". Con grande gentilezza e disponibilità la guardia giurata mi spiega nel dettaglio tutto il percorso e nel giro di poco tempo sono già in prossimità della biglietteria, ma mi accorgo che è molto presto. La nave parte alle 20.00, così mi fermo in un bar a mangiare qualcosa, ma il posto più che un bar è una pasticceria con una esposizione ricca di sfogliatelle e babà, si sente a tutto volume una canzone neomelodica napoletana cantata con il tipico timbro nasale. Il barista è un ragazzo sui 25 anni decisamente in sovrappeso, come buona parte delle persone che vedo in giro; si muove in maniera tranquilla, senza affannarsi minimamente e mi dice di sedermi fuori che ci penserà lui a portarmi il caffè e il pasticcino che ho ordinato e di non preoccuparmi di pagare subito. Ai tavolini ci sono altre persone che hanno un atteggiamento molto rilassato, sono sedute in maniera scomposta, parlano pacificamente intercalando frequentemente risate alle battute di spirito. Il barista arriva con il vassoio e noto che guarda le persone intorno con aria preoccupata e comincia ad agitarsi dicendo a voce alta" ... arriva ... arriva". Cerco di capire da cosa possa dipendere questa situazione d'allarme e vedo che tutti scappano come lepri mentre il barista comincia a chiudere gli ombrelloni infilati nei tavolini. Qualche minuto dopo sento alcune gocce di pioggia che mi cadono addosso e che mi danno una piacevole sensazione di freschezza e realizzo il motivo di tutta quella paura. Nel giro di qualche minuto il cielo ritorna più azzurro di prima; visibilmente tranquillizzato, il ragazzo riapre gli ombrelloni e tutto torna ad essere lento e flemmatico come prima. Mi avvio verso la biglietteria per comprare il biglietto per Palermo, ma mi dicono che dovrò ritornare alle 17.30 per fare l'accettazione e preparami all'imbarco. Non mi sento di andare in giro per la città a girovagare, perché con una bici così ingombrante avrei qualche difficoltà e allora perdo tempo a guardarmi attorno. Gli edifici lungo la strada che porta alla biglietteria sono ridotti a ruderi pericolanti e anche le costruzioni che si vedono fuori dall'area del porto sono in un cattivo stato di conservazione e, schiacciata fra due case in ristrutturazione, circondate da ponteggi, si erge la cupola di una chiesa in stile bizantino. Non credo ai miei occhi, l'area di accesso all'imbarco è ingombra di rifiuti di ogni tipo e fra tutti spicca un motorino carbonizzato. L'area è un parcheggio non delimitato da righe e ingombro di ogni tipo di veicoli, ammassati l'uno contro l'altro, compreso un carrello traino con le ruote forate; in mezzo a questo caos, dall'asfalto spunta un palo metallico con un cartello illeggibile per via della scritta ridotta a scaglie di vernice. Non resisto alla curiosità e mi avvicino per vedere meglio e leggo "Divieto di sosta, area riservata all'ormeggio". Infilo la bici in un passaggio che scovo tra i veicoli in sosta perché vorrei sedermi e aspettare leggendo qualcosa, mi guardo in giro e fortunatamente vedo la carcassa di un frigorifero abbandonato e completamente cotto dal sole che provvidenzialmente mi risolve il problema, mi siedo e così aspetto che arrivi l'orario per imbarcarmi. Alle 17.30, puntuale, faccio l'accettazione e mi metto in coda. Il flusso d'ingresso è gestito da due operatori della biglietteria della GNV, sbucati da un container, che io pensavo fosse un deposito di materiali, messo di lato alla strada d'ingresso all'imbarco. Con fare risoluto i due comunicano a tutti i passeggeri che le automobili entrano per prime e poi seguono le persone, che però devono farsi di lato per non intralciare le operazioni. Un gruppo di turisti stranieri si addossa alla parete laterale perché è l'unica collocazione possibile per controllare quando è il loro turno, ma nello stesso tempo avere un poco d'ombra, vista la giornata assolata. Ben presto però la parete si riempie di passeggeri e tutti gli altri rimangono sotto il sole. Mi avvicino ad uno dei due incaricati per capire se io sono considerato passeggero a piedi o col mezzo. Il tipo mi indica di proseguire perché mi dice che la bicicletta è considerata un veicolò. Però, prima dell'imbarco definitivo, vengo controllato da un altro operatore che sembra essere di grado superiore ai primi due e che mi fa tornare indietro, rimproverando i colleghi di avermi fatto passare perché, secondo lui vengo considerato un passeggero a piedi. Ritorno indietro e, dopo aver assistito all'imbarco di una fila interminabile di camion, veicoli commerciali e automobili, finalmente arriva il mio turno. Ripresento il biglietto ad uno dei due operatori che mi avevano fatto passare al primo ingresso e questi, in maniera molto seriosa, mi dice all'orecchio che gli ho fatto fare una brutta figura con il collega, quello che sembra il suo capo, perché non ho aspettato il mio turno e sono passato senza la sua autorizzazione. Le operazioni d'imbarco sono alquanto spedite, la nave è moderna e molto funzionale, nel giro di poco tempo lego la bici a una parete laterale del garage nella stiva portandomi via le borse. Ho scelto di viaggiare in poltrona, perché, uno degli impegni presi con me stesso prima di partire è stato quello di abbattere il più possibile i costi del viaggio. Depositate le borse sulla poltrona dove trascorrerò la notte, vado fuori verso la poppa della nave, dalla quale si gode di uno spettacolo a 360 gradi. Riconosco in lontananza il Monastero di Santa Chiara, il Maschio Angioino e l'immancabile icona della città, il Vesuvio che domina tutto il golfo. Mentre la nave comincia ad allontanarsi, ripenso a questa strana città, che può suscitare emozioni molto contrastanti, puoi odiarla o amarla a tal punto che, malgrado tutti i suoi problemi e tutto il suo disordine, alla fine ci ritorni. Sarà il clima, saranno le persone, ma sicuramente il modo di vivere dei napoletani è unico e la città è veramente ospitale. Visitandola, in altre occasioni, ho potuto ammirare le sue bellezze artistiche e architettoniche uniche, ma la vera attrattiva sono le persone con il loro modo di vivere e di fare che non potrà mai lasciarti indifferente. Ritorno nell'area poltrone per posizionarmi definitivamente per la notte e qui scopro che la sala è munita di un grande televisore a schermo piatto che trasmette una partita di calcio. Nel giro di poco tempo la sala si affolla di persone che cominciano a commentare e a inveire contro l'arbitro, gli allenatori e i giocatori. Un gruppo di ragazzi e ragazze è particolarmente esagitato, continuano a parlarsi tra di loro e mi sembra di intuire che vedere la partita di calcio è un pretesto per stare insieme e avere qualcosa da fare. Sono stanco e aspetto solo che arrivi il momento che finisca tutto per sistemarmi e dormire, ma prevedo che sarà difficoltoso perché la posizione è molto scomoda. Verso le 23.30 finalmente si spengono le luci, immediatamente alcuni passeggeri si spostano e si allungano sulle poltrone per sdraiarsi e così non faccio altro che imitarli e mi addormento quasi subito.