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Autore

Magda Ceccarelli De Grada

Anno

1940 -1945

Luogo

San Gimignano (Siena)

Tempo di lettura

10 minuti

Giornale del tempo di guerra

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Le pagine del diario di Magda Ceccarelli De Grada fotografate da Luigi Burroni
Oggi veramente è festa senza restrizioni. Ancora sparatorie qua e là per snidare qualche fascista asserragliato nelle case. Una pallottola mi sfiora l’orecchio in Viale Regina Elena.

24 Aprile
C’è un gran fermento nell’aria che è limpidissima, fresca, quasi settembrina. Par di respirare aria di montagna, già purificata dai miasmi corrotti che l’infestavano. Stanotte molti tedeschi hanno lasciato la città. Stamani sono stati bruciati i giornali nelle edicole. Sciopero dei ferrovieri.
Se è vero che i tedeschi si ritirano saremo presto all’insurrezione armata e alla lotta finale fra fascisti residui e partigiani.
La battaglia di Berlino è nel suo punto culmine. Le corrispondenze degli inviati di guerra sono di tono apocalittico. L’agonia rapida, sanguinosa, rossa d’incendi della capitale del Reich corona degnamente la dominazione infernale di Hitler.
Bologna liberata, Modena superata. Gli alleati sono al Po.
(È stato qui tre giorni Fr. di B. Ha fatto la guerra di Spagna, ha militato in Fr. è amico di N.)
Il ricordo della breve conoscenza con N. s’illumina di nuova luce. 

 

24 Aprile (sera)
C’è un’aria di festa, una strana euforia sui visi delle persone, nei gesti, nel passo. Nulla è detto e tutto è sottinteso. En. mi comunica la strabiliante notizia che l’accordo fra i tedeschi e il comitato di liberazione sta per essere firmato: la città non sarà toccata.
Uscire dalla guerra così, senza agitazioni telluriche, senza bombardamenti gravi, senza spargimenti di sangue! Mi pare troppo bello e troppo facile! Ritrovare i miei figli.
Vedere il piccolino: baciarlo.
Smettere di nascondersi e di mendicare alloggi!
Liberare i nostri ragazzi da S. Vittore. È troppo bello e anche troppo triste, senza la vicinanza delle persone amate. Mi sento esaltata e depressa. Cammino così fantasticando per Foro Buonaparte: il mio consueto lavoro mi porta in quei paraggi.
Dall’editore Gentile la stessa notizia non confermata.
A casa, un informatore ci ripete che l’accordo è firmato.

 

25 Aprile
Stamani presto la città non ha nulla d’insolito. Cielo freddo e scuro, e un vento tagliente. La solita coda per il pane. Pochi repubblichini sono in giro e quei pochi molto a brandelli.
Carri e carri sono passati tutta la notte, automezzi di ogni tipo carichi di uomini e di refurtiva. Vanno verso Brescia.
Alle 2 comincia una leggera sparatoria isolata. La gente fugge. C’è una battaglia alla Pirelli. Si odono gli spari secchi.
Fino alle 5 la situazione è tesa. Dalle 5 alle 8 pare subentri una certa distensione. Facciamo un giro, io e la compagna Pina Usuelli, per la città.
Raccogliamo informazioni importanti.
Ore 7 – All’Assistenza Vaticana in Via Parini ci dicono che in questo momento al palazzo dell’Arcivescovado sono riuniti tedeschi, partigiani e fascisti a discutere l’accordo. Alle 8 spirerebbe il termine.
Stanotte ci dovrebbe essere il passaggio di poteri.
Alle 8 tutto è silenzio. I telefoni sono bloccati. Alle 2 vivace sparatoria sul Corso, forse per difendere l’esodo del famigerato gruppo Oberdan.
Dopo le due silenzio profondo. 

 

26 Aprile
Così, quasi senza accorgercene perché nessuno sa dell’altro, siamo scivolati in piena insurrezione.
I patrioti spuntano come funghi, prendono d’assalto i gruppi e le caserme, snidano le resistenze, disarmano i tedeschi.
Non si domandano se l’accordo c’è o non c’è: occupano la città o almeno i punti nevralgici: l’Eiar, la stazione centrale, gli ospedali. Al Fatebenefratelli, dove il compagno Gino Galletti ha lavorato silenziosamente per tanti mesi tutto è pronto per il passaggio, si vive in ansia per la vicinanza della Mas, ancora in forze.
Episodi sporadici di saccheggio alle sedi dei fasci e alla federazione.
La sparatoria aumenta.
Nel grattacielo di Via Locatelli c’è bisogno di rinforzi (cara ombra di Ciri, come sei presente). Manca il collegamento. Fermo due auto di partigiani pregandoli di portarsi là. Nel grattacielo accanto ci sono ancora i tedeschi annidati e sparano all’impazzata.
All’una sento una scampanellata lunga di portineria (segnale di polizia sotto il terrore, segnale d’arrivo oggi).
È Ernesto: rientrato dalla Svizzera. Abbracci, feste. Lo trovo pallido e consumato dal lavoro massacrante di questi mesi. Lidia e il piccolino arrivano solo domani. Che delusione! Raffaele va loro incontro.
Nel pomeriggio facciamo un giro per riprendere contatto coi compagni. Incontro all’Hotel Milano (fitta sparatoria) uno dei compagni. Via Solferino, redazione dell’Unità. Quanti visi noti e amici: Elio e Renzo specialmente. Elio è un po’ invecchiato e smagrito, ma il timido slancio nel salutarmi è tutto suo. Tutti i visi sono lieti, ed hanno un contenuto ardore bellissimo.
Nel corridoio incontro Gip appena uscito da S. Vittore. Abbracci e commozione. ci accompagniamo con lui per passare dalla redazione della Gazzetta dello Sport, oggi fronte della Gioventù. Anche qui Andrea, Quinto, Celeste, tutti trafelati coi segni della stanchezza e della gioia sul volto.
È la gioia ardente e contenuta, tutta di chiaroscuro, di chi aveva disimparato a sorridere. A casa ci riafferra la tristezza per l’assenza dei più cari e per certi legami che come palle al piede c’impediscono di volare leggeri e smemorati come si vorrebbe, senza alcun peso, se non quello positivo dei nostri lunghi sacrifici e della nostra fede tenace.

28 Aprile
Oggi veramente è festa senza restrizioni. Ancora sparatorie qua e là per snidare qualche fascista asserragliato nelle case. Una pallottola mi sfiora l’orecchio in Viale Regina Elena.
Ho perso ogni collegamento.
Non mi sono offerta per un lavoro.
Non ho nemmeno un piccolo segno di riconoscimento sul vestito. Non posso muovermi di casa perché devo aspettare i compagni dalla Svizzera.
Sono vivandiera.
Ecco, come ricompensa di questi anni, vorrei che mi decorassero vivandiera, quella che per tanti anni ha portato asilo e ristoro. I partigiani arrivano da ogni parte sui camions e sulle macchine. Sono abbronzati e fieri, belle facce oneste e provate dalle lotte. 

[...]

 

Issata su un camion in Piazza della Scala vedo sfilare il camion dei partigiani.

1° Maggio
A mezzogiorno arrivano da Como Lidia e il piccolo: bello, roseo, minuto e robusto. Lidia un po’ stanca colla sua zazzerina nera liscia e il suo visetto da giapponese, sempre la stessa un po’ più proletaria e un pochino smarrita. Quante dolci emozioni!
È la giornata. Tutto il corso imbandierato: vessilli rossi, partigiani e sparatorie. Notizie che s’incrociano. Arrivano gli Alleati.
E la sera, ci ritroviamo tutti con in più una nuova piccola vita che guizza tra noi, che si proietterà nel mondo, che porterà a compimento i nostri sogni e i nostri progetti, quelli che non arriveremo a realizzare. Il piccolo Garibaldi è fra noi, dolcezza del suo sorrisino sdentato, lume angelico dei suoi occhioni chiari. È troppa felicità in una volta. Sono quasi stordita. Ora che potrei dormire c’è lui che mi sveglia perché ha fame. 

[...]

 

Domenica 6 Maggio
Issata su un camion in Piazza della Scala vedo sfilare il camion dei partigiani. Sono arrivata tardi e Moscatelli coi suoi è già passato. Avrei voluto vedere Mario Venanzi fatto armigero. Non so immaginarlo che recluso. Tante divise e colore e gioventù vera, non «giovinezza» nero-vestita. Quanto colore e quanta spontaneità.
Mi tocca la sfilata di molto partito d’azione e di parecchie formazioni socialiste. Gli operai in tuta blu e fazzoletto rosso sono bellissimi.
Brigate Garibaldi, Brigate comuniste in giacchettoni di pelle. Divise caki, divise azzurre, camicie rosse. Pugni tesi. «A morte i Savoia!» (il principe non si è fatto vedere, questo contegno anti- monarchico di Milano creerà qualche difficoltà al Governo). Con- tinuano a sfilare i partigiani, facce abbronzate, facce oneste. Ho l’impressione che vi sia infilato qualcuno che non dovrebbe e che abbassa gli occhi. Rivedremo le bucce.
Il popolo acclama, commenta, è felice. Per tutto il giorno i patrioti sono festeggiati, vezzeggiati dalle ragazze.
Gli Anglo-Americani, bei ragazzi asciutti, facce serie e occhi azzurri, niente pance né grasso superfluo, si mescolano alla folla.
Non manca la parata di qualche carro armato.
Siamo ancora in guerra.
Bisogna andare d’accordo. Ma il vento del nord, come è stato chiamato, investirà la penisola a rovescio.
Cartelloni con ciminiere, colore e freschezza.
Ora si vede se la città era fascista. Le magre stitiche parate fasciste obbligatorie con ricatto!
È finita, si respira. Anche se si mangia poco, anche se la borsa nera si divincola come una serpe e sprizza veleno.
C’è da fare: Fronte della Cultura, Difesa della Donna, agitazione e propaganda. Dovrò anch’io mettermi in riga. Più tardi, quando sarà un po’ sfollato, quando potrò raccapezzarmi. 

 

Lunedì 7 Maggio
Alle quattro del pomeriggio comincia a diffondersi la notizia che la Germania ha ceduto. Il commento delle 8.10 lo conferma. Alle 9 la gente si riversa nelle strade. Si accendono le luci. Urli di gioia, scoppio di petardi e razzi solcano il cielo.
Il corso brulica. Scoppi a salve detonazioni. I ragazzi sono fuori. Che fanno?
C’è solo il piccolo nelle mie braccia che si dimena per la pappa. Devo essere calma. Verso le 10 arrivano.
Ci abbracciamo e beviamo. A mezzanotte arrivano altri compagni. Parlano, gridano e bevono
È finita. La casa si muove, la vecchia casa di Via Omboni, gli assenti tornano nel pensiero, i morti sono qui.
È bello vivere e soprattutto aver vissuto così.
Aver portato un piccolo contributo, un sacrificio di lacrime e d’azione. Aver aiutato a vincere. 

Essere stati nel vero. Sempre, senza confusioni, senza incertezze, senza pentimenti. Aver visto chiaramente la strada e averla seguita.
Essere stata onesti nella nostra fede.
Lascio che i ragazzi bivacchino e mi addormento. È la prima notte di pace.

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Liberazione di Milano, camion di partigiani. Foto Ansa.