Autore
Liudmila FlorentaAnno
2019Luogo
MoldaviaTempo di lettura
5 minutiIl cammino verso casa
La mia vita sociale andava abbastanza bene anche a scuola ero molto attiva, aperta, sorridente e molto coraggiosa ma all’età di 7 anni sono venuta a sapere che avevo una malattia chiamata “psoriasi”: un’infiammazione cronica e recidiva della pelle, non contagiosa e non infettiva. Ho preso la definizione proprio da internet e mi dispiace che allora non c’era internet e non potevo spiegare ai miei compagni di scuola che non era infettiva ma ormai il passato resta nel passato.
Mi ricordo all’età di 11 anni partecipavo come al solito ad una festa scolastica e dovevamo preparare un ballo. Eravamo attorno a 7-8 ragazze più o meno dalla mia età. Mi ricordo benissimo quando una delle ragazze che stava ballando accanto a me aveva detto ad un’altra ragazza: “Ma perché lei sta accanto a me? Perché proprio qua?”. E di solito se ne andavano o preferivano avere altre amiche invece io non ero così come loro...avevo altri pensieri e non avevamo tante cose da condividere e oltrettutto la cosa che mi faceva di più male era il fatto che avessero avuto paura della mia “malattia”.
Mia nonna era una persona molto fredda a volte ma è stata molto brava a starci dietro. Non è facile fare questo lavoro, curare tre bambine anche se era la nostra nonna forse alla sua età avrebbe voluto stare in silenzio e non stressarsi troppo. Ma in realtà noi eravamo molto educate nei confronti dei nonni e non gli abbiamo mai mancati di rispetto. Ogni giorno oltre ad andare a scuola e fare sempre i compiti li aiutavamo coi lavori di casa, ogni volta che dovevamo uscire da qualche parte erano prima i nonni a darci il permesso. Eravamo tutte e tre molto diligenti. 
Nel 2008, per la prima volta la mia mamma è tornata a casa. Avevo sei anni quando è partita e 12 anni quando è tornata... certo che avevo delle sue foto e sentivo la sua voce al telefono ogni domenica ma il fatto di trovarmela di fronte di nuovo mi sembrava un sogno. Era il mio più grande sogno. Non sapevo cosa pensare in quel momento... era tutto cambiato, lei cambiata anche fisicamente: era dimagrita tanto ma stava molto bene come al solito, ero quasi alta come lei ma io ero abituata a vederla dal basso visto la mia altezza a 6 anni. Sono piccole cose che per me erano molto importanti.
Finalmente l’avevo riabbracciata e non volevo che se ne andasse via mai.
Dopo aver passato mezz’anno con noi era dovuta ritornare in Italia. La nostra situazione economica non le permetteva ancora comprare una casa per noi perché lavorare da sola e nel frattempo mantenere sia noi che lei era molto difficile ma nonostante le difficoltà lei ci dava quella sicurezza che per noi era importante.
Il giorno in cui lei era partita era... (non trovo parole) era venuto il nostro vicino di casa che ci voleva tanto bene per accompagnarla alla dogana.
Si era messa il rossetto, si era truccata come al solito bellissima. Lei non voleva farci vedere la sua tristezza perché noi non l’avremmo mai lasciata andare ma lei lo doveva fare. I suoi occhi azzuri man mano lasciavano versare sulle sue guance delle lacrime. Era come se fossero delle gocce d’acqua cadenti dal cielo.
Ma lei quel giorno era andata via col sorriso sulle labbra. Che donna forte. Che carattere!
Passavano secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, e noi ci abituavamo a pensare a vivere senza di lei, era come se avessimo iniziato tutto da zero.
 
[...]
 
La mia adolescenza fu come quelle di tutti i ragazzi dalla mia età eppure diversa. Non so perché mi sentivo persa nei discorsi dei miei coetanei, discorsi inutili che mi facevano allontanare da loro, certe volte mi sentivo male accanto a loro. Erano i ragazzi di prima, e quando dico prima mi riferisco sempre a quei ragazzi che avevano ignorato la mia presenza da piccola. Ormai cre[s]ciuti un po’ sapevano la verità e più o meno hanno capito che si erano sbagliati ma sono sempre stati loro a farmi diventare forte, sono state le circostanze a portarmi dove sono ora.