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Perché non si fecero anche delle leggi che aboliscano o aboliranno almeno nelle generazioni future la schiavitù?

Gennajo Febbrajo Marzo

 

L’Europa civilizzata volle che la tratta dei negri, questo iniquissimo traffico di carne umana, cessasse affatto e delle severe leggi per impedire la compera dei neri in Africa ed il loro trasporto in America vennero promulgate. Perché non si fecero anche delle leggi che aboliscano o aboliranno almeno nelle generazioni future la schiavitù? Se il possidente brasiliano ha fatto acquisto di schiavi, se una porzione del suo avere è rappresentato dal numero di questi, sia con Dio; vivano e muojano questi suoi schiavi qual sua proprietà, ma sian fatte libere le innocenti creature procreate da genitori schiavi. Ma no, la schiavitù è il retaggio di quest’infelici. Nato di donna schiava è schiavo anche il frutto del suo ventre! Non è possibile di reprimere un moto d’indignazione al vedere la trista sorte di questi poveri disgraziati! Dannati a tutti i più gravi lavori, che da noi si fanno fare da bestie da soma ricevono essi in guiderdone scarso alimento, più scarso vestito e tristo ricovero contro le intemperie, ma in compenso staffilate in abbondanza.


 

Una mano avida di danaro li strappò dal suolo su cui nacquero, ne fece orrido mercato e trascinati in altra parte del globo, incatenati e chiusi in fondo di stiva per più settimane

Esiste bensì una legge che ordina che allorquando uno schiavo sia per malattia, sia per inoltrata età diventa inabile al lavoro, il padrone entra nell’obbligo di continuar ad alimentarlo, alloggiarlo e vestirlo come se fosse sano e forte. Ma quelli che fecero questa legge sono per l’appunto coloro che possiedono un maggior numero di schiavi, quindi la legge se non è dimenticata si può dire per lo meno cieca e difatti ad ogni passo s’incontrano frequenti le infelici vittime (alle quali gli anni od una ostinata malattia rendono impossibile il lavoro onde accrescere la ricchezza del padrone), stendere una mano scarna e tremante ad implorare la pietà del passeggiero. Balbettando una preghiera in una lingua ad essi ignota e di cui non indovinano neppure il senso invocano in pari tempo in modo energico e con parole che benissimo comprendono la divina giustizia contro coloro che li dannano a mendicare un pezzo di pane. Infelici! In mezzo ai loro deserti vivevano tranquilli e contenti d’una vita selvaggia se si vuole, ma pur libera; pochi erano i loro bisogni, nulli i loro desideri. Le loro cure, le loro giornaliere fatiche, i loro affanni cessavano tosto che s’avevano procurato il parco alimento quotidiano! Una mano avida di danaro li strappò dal suolo su cui nacquero, ne fece orrido mercato e trascinati in altra parte del globo, incatenati e chiusi in fondo di stiva per più settimane, videro di nuovo il sole sopra una terra ignota alle quale diedero tutte le loro forze, tutti i loro sudori per lunga serie d’anni, finché estenuati e malaticci finiscono col trascinar gli ultimi momenti di una orribile esistenza mendicando il pane su quella terra stessa che i loro sudori resero fertile! E si osa ancora pretendere da qualcuno che la sorte dei negri ridotti in schiavitù al Brasile sia ben preferibile alla loro sorte nel deserto sul quale spaziavano liberi? Perché? Perché avendo appreso loro a farsi il segno della croce ed a storpiare delle preghiere che non intendono, si apersero loro le porte del cielo, si fecero partecipi della vita eterna! Il matrimonio è vietato ai negri, benché siano quasi tutti cristiani. La causa di questo crudele divieto è da cer carsi nella premura dei proprietarj rivolta a migliorarne la razza. Diffatti è uso quasi generale di seguire una delle leggi di Licurgo sul conto della propagazione dei negri. Si accoppiano le negre ai più robusti, ai più sani, ai più ben formati individui del loro colore. Un negro per poco che sia maltrattato dalla natura corre rischio di rimanere vergine tutto il tempo di sua vita.

Le carceri destinate principalmente a rinchiudere la notte gli schiavi disertori che purtroppo sono assai numerosi, dimodoché queste carceri si trovano bene spesso troppo anguste per il numero di prigionieri che rinserrano.

Sulla vetta della collina detta del Telegrafo s’innalza un antico forte mezzo rovinato nel cui interno, o per meglio dire nei di cui sotterranei, si trovano le carceri destinate principalmente a rinchiudere la notte gli schiavi disertori che purtroppo sono assai numerosi, dimodoché queste carceri si trovano bene spesso troppo anguste per il numero di prigionieri che rinserrano. Non è raro il caso che alcuni detenuti ritornando la sera dai loro gravi lavori, essendo impiegati principalmente allo scavo di pietre e ad appianare strade non trovano spazio bastante per stendere sulla nuda terra le loro spossate membra. Fra questi sciagurati detenuti avvenne bene spesso taluno che di quando in quando è condannato a ricevere dei colpi di staffile. Un palo piantato nel mezzo d’un angusto cortile è sempre succido del sangue che zampilla dalle membra dei flagellati mentre è a questo palo che si attaccano i condannati a subire l’inflitta pena.

Le donne detenute hanno loro stanze separate da quelle degli uomini dalle quali non sortono mai per tutto il tempo che dura la detenzione. Si occupano bensì in vari lavori donneschi ma sedentarj. È facile quindi l’immaginarsi quanto pestilenziale debba essere l’atmosfera in cui quelle sciagurate soffrano e quanto schifose e crudeli siano le malattie che in quel soggiorno del dolore si manifestano. Fra queste la più orribile di tutte è l’elefantiasi che finisce col gonfiare piedi e gambe in modo da impedire ogni movimento. Questa malattia si divide in due rami, la lebbra nodosa così detta dai brasiliani ed il Pes elefantino. La prima è così chiamata a causa dei tumori che si formano su differenti parti del corpo e dai quali, giunti che siano a supurazione, stilla una materia viscosa, sanguigna e puzzolente. La seconda attacca particolarmente le mani ed i piedi, gonfia in modo orrendo la parte attaccata ed è sempre letale avendo fino ad ora ostinatamente resistito a tutti gli sforzi della scienza di retti a combatterla, od almeno a recar momentaneo sollievo al paziente.

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Le pagine del diario di Luca Pellegrini fotografate da Luigi Burroni