Autore
Lidia De GradaAnno
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8 minutiSignora compagna
Enrico Berlinguer
Camminavo frettolosamente per le vie di Roma avviandomi a Botteghe Oscure, alla sede del Partito comunista dove era convocata una riunione sull'Associazione Pionieri. Il cielo invernale era grigio e trasparente, l’aria pungente, ero tutta agitata: per la prima volta venivo convocata come dirigente ad una riunione nazionale. Nei precedenti viaggi, a Roma ero sempre intruppata fra le donne dei circoli dell’UDI. Forse dovrò parlare: che cosa dirò mi domandavo - dei ragazzi di Milano, delle loro aspirazioni, di che cosa abbiamo fatto noi in questi primi mesi? Era il mese di dicembre del 1950. L’idea di dover intervenire mi metteva in angoscia. Mi presentai puntualissima, anche i compagni emiliani arrivarono, tutti insieme, puntuali. Dalle nove si fecero le dieci, mancava sempre qualcuno e non si poteva iniziare. Mi ero seduta vicina ad Armando Cossutta, funzionario della Federazione di Milano, temporaneamente dislocato a Roma presso la Direzione, per sentirmi un po’ più a casa mia. Ai miei brontolii per il ritardo appena mormorati mi disse: “Eh, cara mia, non conosci ancora gli orari romani..” Ad un certo punto arrivò Enrico Berlinguer, Segretario Nazionale della F.I.G.C., circondato da un grande rispetto e la riunione ebbe inizio. Non avendo dimenticato il gusto provato a dipingere ritratti secondo una visione tra il surrealista e il romantico, come vidi Berlinguer mi si presentò l’immagine di un violinista che accompagna con la testa i movimenti dell'arco mentre il ciuffo ribelle ricade sulla fronte Per fortuna nel corso della riunione molti chiesero la parola («gli emiliani avevano un mucchio di cose da raccontare) e non ci fu tempo per il mio intervento. Concluse Berlinguer. Ricordò come il movimento cattolico portasse la massima attenzione ai giovani fin dai primi anni: molteplici le iniziative per i ragazzi e con i ragazzi, mentre il movimento operaio ad eccezione di poche regioni era assente. "Noi assistiamo, loro educano” Sottolineò con forza. Ripensando alle molte campagne svolte dall'Unione Donne Italiane nel dopoguerra per l'assistenza all'infanzia, non potevo dargli torto. Da Berlinguer venne un incoraggiamento a dedicarci con slancio ai problemi dell’educazione, dando vita a tante iniziative per il tempo libero dei ragazzi, settore in cui avevamo la possibilità di incidere con l’appoggio delle Cooperative e delle Amministrazioni rosse. In chiusura citò Lenin: "Non si costruisce un grattacielo sulla capocchia di uno spillo, dobbiamo lavorare con costanza per realizzare i nostri sogni”. Ricevetti l'impressione di una forte personalità, molto convinta delle cose che diceva. Il sogno, diventato anche il mio, era il SOCIALISMO che noi identificavamo con una società in cui a ciascuno fosse data la possibilità di realizzarsi in un disegno di interesse collettivo e solidale, di lavorare, di vivere di lavoro senza sfruttare gli altri. Ho sempre ricordato la citazione di Berlinguer. Ebbi occasione di vedere Berlinguer da vicino negli anni 70 quando ricopriva la carica di Segretario Nazionale del Partito. Fu d'estate, a Stintino, dove trascorreva le vacanze con la famiglia, quando gli rese visita Antonello Trombadori. Accompagnavano Antonello Ernesto, Vando Aldrovandi, ed io. Wando Aldrovandi era il direttore della libreria Internazionale Einaudi di Milano. La sua libreria: un centro dove si potevano incontrare, verso le sei di sera, artisti, scrittori, giornalisti. Capitavano anche persone di potere nel mondo della politica. Wando non dimenticava il suo passato partigiano, era un comunista: non tesseva le relazioni per il proprio vantaggio, ma per tenere insieme la gente, parlare con tutti (come dovrebbe fare ogni buon democratico) e in questo modo essere utile al Partito. Era tanto più colto di me ma non mi faceva sentire a disagio Il suo aspetto di anziano signore, la sua debolezza per l'acool, contenuta in modi gentili, lo rendevano ai miei occhi anche più umano e simpatico. Nel timore di disturbare Berlinguer si presentarono a casa sua solo Antonello ed Ernesto, Wando ed io assistevamo, da lontano. Berlinguer aspettò i visitatori, tenendo per mano due dei suoi bambini, sulla soglia della modestissima casa che abitava con la moglie e i figli. Si scusò di non farli entrare perché la casa era piccola, invitò, per la sera, tutti a cena nel villino della zia Siglienti e, prima, venne con noi a fare una passeggiata lungo le scogliere della sua Stintino. A cena parlò poco, in compenso, durante la passeggiata, il suo volto era animato e sorridente, saltava come un ragazzo sugli scogli raccogliendo sassi e conchiglie che ci regalò: le conserviamo ancora, su un piccolo tavolino di cristallo, in stanza da pranzo. Si trovano allineate insieme ad altri oggetti ricordo. In questa occasione quello che mi colpì fu l'’estremo riserbo della persona unito alla gentilezza e, sopratutto, la grande modestia in cui viveva, per scelta, la famiglia Berlinguer.
 
I Pionieri
I Pionieri erano, all'inizio, gruppi spontanei di ragazzi, presenti nelle provincie dove più forte era stato lo sviluppo del movimento popolare, variamente organizzato. Si costituirono in Associazione Nazionale nel periodo in cui Berlinguer fu segretario della Federazione Giovanile Comunista. L'Associazione si proponeva di educare i ragazzi secondo i principi della Costituzione Repubblicana. I l motto sulla sua bandiera era “VERSO LA VITA” Nella pratica l’A.P.I. ricalcava molto il modello dei Pionieri Sovietici che agivano in tutt'altra situazione, cioè collegata alla scuola e come unica associazione giovanile (come da noi ai tempi della G.I.L., se pure con diversità di contenuti) La nostra mancanza di mezzi, il volontariato su cui si basava conferì all'Associazione Pionieri d'Italia una impronta popolare assai particolare. Contava sull'entusiasmo di giovani, sulla disponibilità di donne provenienti dall’U.D.I. e su un poeta: Gianni Rodari. Si avvicinarono all'API scrittori e pedagogisti: Ada Gobetti pubblicava la rivista Educazione Democratica, Loris Malaguzzi, che in Emilia promosse la sperimentazione per dare ai bambini dai 3 ai 6 anni le moderne scuole per l'infanzia aperte a tutti (che sostituirono i vecchi asili" assistenziali) e tanti altri meno famosi ma altrettanto impegnati. Per la prima volta nella storia del movimento operaio italiano si dava vita ad un giornale per i ragazzi, segno della nuova attezione ai problemi dell'educazione. Il PIONIERE putroppo, cessò le pubblicazioni, per mancanza di fondi, nel 1958 con grande dispiacere dei ragazzi (e dei genitori) La passione per i problemi dell’'educazione mi conquistò tanto che continuai ad occuparmene anche dopo che ebbe termine la mia esperienza ai Pionieri. Negli anni in cui fui alla direzione dell'A.P.I. di Milano. attività sociale e la vita familiare si fusero armoniosamente. I miei bambini divennero lettori assidui del giornale PIONIERE. Con i pochi mezzi di cui disponeva l'Associazione bisognava inventare. Misi in secondo piano la parte organizzativa un po' militaresca che pure pare fosse gradita ai ragazzi (bandierine, tessere che si chiamavano "promesse”, emulazione per essere i "migliori") per privilegiare i liberi gruppi di attività (teatro, disegno, burattini) e il Campeggio. Mi presi non poche critiche di “maternalismo” dai giovani della F.G.C., ma anche tante soddisfazioni.1I ragazzi erano felici di andare al Campeggio anziché nelle "colonie", i genitori felici di sistemare i figli a pochi passi da Milano, dove potevano venirli a trovare tutte le domeniche, in motocicletta. Il nostro Campeggio era alla Rasa di Varese, nel grande parco di un Istituito fondato da Piero Montagnani nel dopoguerra per raccogliere i ragazzi senza famiglia. I turni del Campeggio duravano venti giorni. Venti giorni di gite e di serate trascorse nel bosco, riuniti in cerchio attorno al fuoco cantando canzoni (ALUETTE-GENTILE ALUVETTE era il pezzo forte) e ascoltando racconti. Durante l’inverno erano il teatro e le rappresentazioni di burattini a tenere viva l’attività.