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Se durante gli anni in cui assolvi un mandato hai ascoltato la gente, la gente si ricorda e ti premia.

Nel '60 si tennero di nuovo le elezioni per rinnovare i consigli comunali e provinciali. Questa volta venni eletta a pieni voti perché nei tre anni nei quali ero rimasta in consiglio mi ero data daffare girando in tram le periferie, visitando le scuole, gli asili-nido prendendo contatti con le insegnanti per conoscere da vicino i problemi. Accompagnavo in Comune decine di delegazioni di cittadini. In Federazione mi fecero osservazione perché avevo riscosso più voti delle preferenze che avevano scritto per me sui bigliettini che distribuivano alle sezioni. Si usava così'’ e guai a chi sgarrava. Pazienza. Non avevo scritto lettere né mi ero fatta alcuna propaganda individuale. Se durante gli anni in cui assolvi un mandato hai ascoltato la gente, la gente si ricorda e ti premia. Questa allora era la semplice verità. Dovevo però riconoscere che nei primi tre anni di amministrazione avevo voluto dimostrare a me stessa e a chi non aveva avuto fiducia in me ("Non diventerai mai popolare" mi aveva detto qualcuno -qualcuna- quando mi presentarono per la prima volta Candidata) che popolare potevo diventare.

Verso il centro-sinistra

Nel novembre del 1959 il Collegio Regionale Lombardo degli archittetti aveva promosso il primo convegno "sul tema " Gli svilluppi di Milano. Quel convegno, di cui Piero Bottoni fu uno dei principali animatori, si è impresso nel mio ricordo come un esempio di autentica democrazia. "Oltre agli urbanisti tutte le categorie devono partecipare alla enunciazione e alla impostazione dei temi che afferiscono, in senso milanese, alla sistemazione e allo sviluppo della citta"... e ancora" "Tutti i milanesi devono dire come vogliono vivere e come vogliono che sia Milano."...Si legge nella presentazione

 

Nella mia ingenuità collegavo poco l’andamento generale della politica e mi impegnavo nelle cose da fare, subito, convinta che così i problemi si sarebbero risolti. Mi adoperavo a fare comizi serali, strillando nelle strade e nei cortili contro l’articolo di una certa legge che avrebbe consentito gli sfratti facili..

Partecipavano Enti pubblici, ordini professionali, Associazioni e semplici cittadini. Gli interventi, chiari e succinti, venivano tutti pubblicati negli atti e, a richiesta, illustrati a voce, in un tempo limitato. Trovavano spazio tutti i temi della vita della citta: abitazioni, lavoro, cultura, scuola, assistenza, il problema della casa era preminente. Enorme era la crisi abitativa dovuta a due fatti concomitanti: l’eredità della guerra e il forte incremento emigratorio. I prezzi delle aree erano cresciuti vertiginosamente, le classi popolari venivano espulse dal centro; i contadini del sud, venuti al nord e diventati operai, avevano perso il vantaggio di vivere nella natura senza acquistare quelli che il vivere cittadino dà quando pone l’uomo a contatto con le più aggiornate forme della civiltà e della cultura. In alcuni interventi, paragonando la nostra situazione a quella di altre metropoli europee, si adombrava la proposta della "municipalizzazione del suolo urbano per restituire al Comune la possibilità di una armonica pianificazione e per stroncare la speculazione sulle aree.” Come mi appassionarono quei temi! Si dava il caso che nell'estate precedente, con Ernesto, i bambini e mia madre, rimasta vedova, avevamo fatto un bellissimo viaggio in Olanda. Avevo ammirato i palazzi nuovi, distanziati, l'uno dall’altro da grandi spazi verdi, il loro ordine e la loro armonia. Quale differenza dalla nostra Milano dove sorgevano anche nel centro, gattacieli all’americana, appiccicati a vecchie case a quattro piani! Mi avevano detto che in Olanda non esisteva la proprietà privata del suolo urbano, le aree venivano cedute ai costruttori con "diritto di superfice. Tornata dal viaggio avevo tormentato per saperene di più il compagno di gruppo Piero Bottoni e Carlo Olmini, uomo colto e disponibile che per la Federazione seguiva il settore delle cooperative) Mi avevano spiegato l'urgenza, nel nostro paese retto ancora da leggi antiche, di una riforma urbanistica. Quando, nel 60, il movimento popolare costrinse alle dimissioni il governo Tambroni facendo fallire la svolta a destra, si incominciò a respirare un'aria nuova. In Federazione si tenevano appassionate discussioni e confronti sul problema della casa e sulla riforma urbanistica! Nazionalizzare il suolo urbano voleva dire abbatere le posizioni di rendita parassitaria e risolvere il problema della casa. Io, nella mia testa, facevo tutto facile come se la riforma fosse li a portata di mano e non esistessero le forze che l'avrebbero affossata, rimandata, svuotata dei suoi contenuti più progressivi. Le cose non andarono così il Ministro Fiorentino Sullo, che aveva predisposto un progetto legge assai coraggioso, fu sconfessato dal suo stesso Partito (la Democrazia Cristiana) messo in un angolo e distrutto anche come uomo. Tuttavia quando nel 63 si insediò, il primo governo di centro sinistra, Aldo Moro che lo presiedeva ribadì nel programma la necessità di addivenire ad una riforma del regime dei suoli. Nella mia ingenuità collegavo poco l’andamento generale della politica e mi impegnavo nelle cose da fare, subito, convinta che così i problemi si sarebbero risolti. Mi adoperavo a fare comizi serali, strillando nelle strade e nei cortili contro l’articolo di una certa legge che avrebbe consentito gli sfratti facili..Il quartiere Genova-Ticinese, cuore della vecchia Milano, era molto appetito dalla speculazione edilizia. Rischiavano lo sfratto i vecchi pensionati che abitavano nelle case fatiscenti. Tanto fu il can can che come sinistra portammo avanti che gli sfratti furono impediti. Più tardi maturò la cultura di restaurare le vecchie case, anziché abbatterle. Non so cosa ci abbiano in concreto guadagnato i pensionati e le classi popolari perché oggi, le case restaurate sono abitate in maggioranza da un ceto medio intellettuale e raffinato ma in quella zona, oggi diventata di moda, il volto della vecchia città è stato in gran parte salvato. Milano dette vita ad una Giunta di centro-sinistra ancor prima che la formula conquistasse il Governo Nazionale. Avvenne alla morte del Sindaco Cassinis. Titolare dell'urbanistica era il giovane Assessore Filippo Hazon, democristiano vicino alle Acli, molto dinamico. Si rincorreva l'emergenza: venivano impostati e sorgevano i quartieri-dormitorio: il Gallaratese, Gratosolio, Monlue', Missaglia, Bonfadini davano la casa ma cambiavano il volto della città. Il progetto culturale del Convegno sugli sviluppi di Milano restò sulla carta. Nell’'interland Rozzano, Opera, Cinisello Trezzano, accoglievano enormi insediamenti di case popolari che venivano abitate da immigrati e dal ceto operaio espulso dalla citta'’.1I comuni cercarono tra loro e con la città un collegamento che permettesse una programmazione. Nel '61 venne insediato il Piano intercomunale milanese. Durante il mandato amministrativo di quella prima Giunta di centrosinistra la mia attività fu malto intensa. In Comune mi trovavo bene, non ero più la timida consigliera, ero simpatica al vicesindaco Meda cattolico-popolare e agli assessori socialisti perché politicamente, come sempre, mi riconoscevo nelle posizioni di Giorgio Amendola che voleva dar vita al Partito unico dei lavoratori. Nel Comitato Federale di questo avviso era una strettissima minoranza, molto avversata. Anche nel gruppo consiliare, molti cominciarono a sparare critiche sul centro sinistra: si prendeva la realizzazione in un breve spazio di tempo quello che anche se noi fossimo stati al potere, non avremmo realizzato e questo non mi piaceva. Ma anche nel nostro gruppo, malgrado le mie posizioni, dato che di politica generale parlavo poco, ero stimata per la vivace attività e il legame di base. Quando, nell'autunno del '64, sì fecero le liste per il rinnovo dell’Amministrazione mandando a casa un gran numero di consiglieri venni riproposta pe quella che avrebbe dovuto essere la mia terza amministrazione. La mia vita era diventata simile a quella di una di "donna in carriera "che ha alti costi familiari. La sera ero sempre impegnata e tornavo a notte fonda. Anche di giorno non ero libera perché stavo all’Unione Donne Italiane dove mi occupavo ancora delle colonie. Credevo che, essendo stata proposta in consiglio come "donna" fosse mio dovere mantenere il legame col movimento delle donne, anche se questo legame non era per niente soddisfacente. Appassionata ai problemi amministrativi avevo trovato su questo argomento la direzione dell’UDI di Milano. fredda e piuttosto incline a impegnare le donne a raccoglier firme sotto i progetti di legge. L'UDI ricercava, su ogni argomento, il lato femminile per elaborare una politica femminile autonoma cosa che non riuscivo a capire. La mia lunga assenza dagli organi dirigenti nazionali dell'UDI non mi aveva consentito di seguire l'evoluzione della politica di questa associazione. Incapace di scelta, facevo una vita affannata. La mia povera mamma rimasta vedova fa, nei suoi diari, una descrizione poco lusinghiera della nostra famiglia. “L a sera come un ciuco stanco che sogna la stalla, andavo a cercare un po' di calore in via Turati." Che cosa trova? Ernesto, gentile, ma soprapensiero, che gira per la casa con un taccuino di appunti su cui scrive minuziosamente i suoi programmi, e poi fa un sacco di telefonate, i nipoti ormai grandi sono fuori di casa o intenti a studiare io, tesa perché subito dopo cena devo uscire, non riesco a lasciare fuori della porta di casa le preoccupazioni della giornata, no n riesco a rilassarmi e a rendermi disponibile. I miei figli mi vivono come una madre assente, la famiglia ha perduto calore. No, non sono adatta a fare questa vita: troppo emotiva, senza grinta, incapace di scegliere, voglio arrivare dappertutto. Che cosa mi spinse a lasciare Palazzo Marino? La sensazione che il mondo degli affetti andava in pezzi? La paura di non farcela perché le donne non erano troppo contente di me e volevano in consiglio una figura più rappresentiva (scelsero Gisella Floreannini) Il desiderio di andamene sul più bello della festa dicendo "Grazie arrivederci" piuttosto che farmi cacciare magari qualche anno più tardi? Furono tutte queste cose insieme. Un giorno mentre mi arrampicavo su un tram stracolmo di gente, mostrando il mio tesserino di consigliere al controllore (non pagavo e consideravo questo un privilegio)mi sorpresi a pensare: "il Consiglio Comunale sta diventando troppo importante per me, meglio darci un taglio”