Autore
Alba Marina Ospina DominguezAnno
2020Luogo
ColombiaTempo di lettura
4 minutiStazioni
E adesso scrivo questo diario da casa, Mantova. Dopo questa esperienza, ho riscoperto il privilegio di avere una casa da raggiungere, un fuoco con cui riscaldare il mio cibo, un tetto sotto il quale proteggermi, anche se tutto intorno a me pende dal filo del silenzio. Vi chiederete di nuovo, come sia riuscita ad arrivare in Italia. La risposta è semplice: persone, sì, altre persone, anche tanta fortuna...
La solidarietà di coloro che, sin dall’inizio di questa crisi, si sono mostrati come candele nel mezzo dell’oscurità. Dalle persone che mi hanno accolto gratuitamente nella loro casa in Andalusia, ai viaggiatori che mi hanno accompagnato per caso in questo viaggio.
Lavoro da quattro anni con profughi, esiliati, richiedenti asilo, tutte persone che intraprendono un viaggio rischiando la vita. Persone che hanno attraversato il deserto e il Mediterraneo. Ascoltando le loro storie di vera sopravvivenza – non come la mia – c’è sempre una sola ragione che fa la differenza tra la morte e la vita: gli altri, i tuoi principali salvatori oppure i tuoi principali assassini. Questa profonda ambivalenza, questo pendolo che segna il destino silenzioso di tutti, questa ambiguità che permea la storia dei popoli, che già Platone descriveva come la battaglia cosmica alla base dell’esistenza umana: lo scontro infinito tra Eros, il desiderio di vita, e la morte.Questa battaglia diventa tangibile quando le persone cercano di attraversare le frontiere: perché i confini sono le persone, perché le paure sono le persone, perché la solidarietà sono le persone, perché tutti, nelle nostre menti socialmente connesse, siamo sia il costruttore sia il distruttore dell’altro. Nelle nostre mani c’è l’opportunità di aiutare a salvare l’altro, che è in realtà noi stessi. Durante questo viaggio mi sono quasi tagliata con la lama affilata delle frontiere, temevo di rimanere incastrata tra gli ingranaggi di un sistema che stava crollando e ho assistito a un mondo sospeso che non mi dava più l’illusione di controllarlo. Un virus, una guerra, e da un momento all’altro il tuo mondo si capovolge. 70 anni fa mio nonno fu esiliato in Colombia, fuggendo da un Paese affondato nella miseria dopo la guerra, quel Paese era la Spagna.
Ora è la Colombia quella che piange di rabbia per le ferite della sua guerra e la Spagna fa parte dell’Unione Europea. Cosa succederà tra 70 anni? Quanto sono effimeri i limiti, quanto porose possono essere le mappe?
E soprattutto, chi ci sarà a superarli? Chi sarà lì per renderli meno rigidi, per respirare la vita? Chi saranno quelli che anni fa aiutarono mio nonno a ricostruire una vita durante il suo esilio? Chi sarà ad aiutare noi o nostri figli se il mondo si capovolge? Penso a noi, operatori, volontari, amici, o fidanzati di chi infrange una frontiera. Penso a noi, perché di tanto in tanto, anche se non ci crediamo, anche se è molto difficile essere soddisfatti, cerchiamo di illuminare, con passione e stanchezza, ma anche con determinazione e tenacia, tante persone che sono in viaggio perenne verso le loro Itaca.
Mi chiedo quale possa essere il nostro ruolo, ora, nella comodità delle nostre case, in attesa del passaggio della tempesta. Penso solo a ciò che mi ha davvero aiutato durante questo viaggio: gli altri. Forse il nostro dovere con il Presente è questo: rendere gli spazi più porosi, più flessibili, più accoglienti e garantire che su questo pianeta tutti possano raggiungere qualsiasi parte del mondo e trovare le loro “Itache”, come hanno fatto i miei nonni, come ho potuto fare io.