Autore
Dora KleinAnno
1983 -1989Luogo
PoloniaTempo di lettura
5 minuti1936-1945 vita di una donna ebrea in Italia
Avevo ritrovato la scatola di latta, un vecchio contenitore di biscotti, legata con un semplice pezzo di spago, tra le poche cose lasciate in custodia presso una famiglia amica a Borgotaro (Parma), dove abitavamo prima della mia deportazione nei lager nazisti. Non di latta, ma di piombo si sarebe detta quella scatola, che aveva conservato per tutti quegli anni le lettere di B. , risalenti ai primi tempi della nostra conoscenza, iniziata nell'estate del lontano 1936. Quando sono riapparsa a Udine, città d'origine di B. , qualche mese dopo la fine della guerra, nessuno metteva più in conto la mia sopravvivenza. Com'era possibile supporre realisticamente che sarei stata miracolosamente risparmiata dalla "soluzione finale"? Forse mia figlia, una bambina di sette anni ci credeva, ma tale speranza la teneva tutta per sé. Ritornavo in Italia a distanza di circa due anni da quella sera di agosto, quando B. , l’uomo allora tanto amato, aveva lasciato Borgotaro, ostile, colmo di rancore verso di me, senza attendere neppure  la fine della licenza. [...]
 
[...] L'8 settembre 1943 l’Italia concluse l’armistizio con gli anglo-americani.
Quella notte stessa Oskar fuggì da Borgotaro. Ci salutammo in casa di Pina, da dove egli scomparve nella notte, mentre fitte ombre stavano calando sul paese. Sono venuta a sapere anni dopo che Oskar era riuscito a raggiungere le formazioni partigiane della sua patria, tra le quali combatté sino alla fine della guerra. In omaggio alla profonda amicizia creatasi tra noi, egli lasciò a me metà del denaro che possedeva; un gesto di rara generosità. Mai soldi finirono in modo peggiore. Avevo cucito le 2.000 lire nell'orlo del cappotto, quale riserva per il futuro: in quel futuro però gli astri non prevedevano alcun bisogno di denaro. Infatti fui privata del cappotto insieme alla valigia poco dopo il mio ingresso nel lager di Birkenau-Auschwitz. La situazione stava diventando insostenibile per noi. Decisi come primo provvedimento di allontanare mia figlia da me, e fu un'intuizione davvero eccezionale che salvò la vita ad entrambe. Col senno di poi, a Tragedia avvenuta, sarebbe fin troppo facile sentenziare: "non poteva che agire così". Per me invece, fu una decisione contrastata e sofferta, non presa di certo a cuor leggero. Mi sostenne allora la ferma convinzione di comportarmi nell'unico modo giusto ed inevitabile. Alla caserma dei carabinieri avevano saputo dell 'assenza di mia figlia tramite Rosalia, la borsanerista, nostra abituale fornitrice ed 'amica", la quale, abitando di fronte alla nostra casa, mi teneva sotto tiro della sua "protettiva osservazione". "Ma come!" s'indignò il capitano, capo della caserma, "ha potuto mandar via la bambina. Se proprio si dovesse arrivare a dei provvedimenti nei suoi riguardi, lei andrebbe a stare in un luogo nient'affatto inospitale". Il capitano era in buona fede, qualcosa gli stava già ronzando nelle orecchie, ma non era stato sufficiente a captare più a fondo l'aria che tirava per gli ebrei. Scrissi dunque alla famiglia di B., esponendo il pericolo che incombeva su mia figlia. In risposta venne mio cognato che la portò con sé a Udine. Alla bambina fu prospettato un ritorno a casa entro breve tempo e questo viaggio inatteso le apparve come un piacevole diversivo che, ahimè, non si sarebbe rivelato affatto positivo per lei. L'invito a Udine non era esteso alla mia persona; ciònondimeno mi piace pensare che lo zio, uomo timido quanto insicuro, non si rendesse conto della situazione in cui mi stava lasciando. Rimasi sola con un grande vuoto dentro, ma più tranquilla al pensiero che almeno mia figlia sarebbe stata al sicuro. Attraverso Borgotaro sciamavano militari sbandati, sfuggiti alla cattura dei tedeschi: mal combinati, infagottati in panni militari, misti a parti di vestiario borghese, senza direttive, desiderosi solamente di raggiungere al più presto le proprie famiglie. Alla fine di settembre il paese appariva di nuovo tranquillo, dedito alle consuete faccende della vita quotidiana. [...]