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Autore

Dora Klein

Anno

1983 -1989

Luogo

Polonia

Tempo di lettura

3 minuti e 30 secondi

1936-1945 vita di una donna ebrea in Italia

«... L’idea di rintanarmi da qualche parte sotto falso nome non mi attirava affatto e, tutto sommato, avevo deciso di affrontare a viso scoperto quello che il destino stava riservando a me ed ai miei simili».

[…]

A Borgotaro mi sentiva assediata, senza alcuna via d 'uscita per sfuggire alla morsa che sentivo stringermi sempre più da vicino. Mi trovavo sola, priva di mezzi e forse pure carente di iniziative per mettermi in qualche modo al riparo. Le mie amiche Pina e Nereide cercavano di sostenermi moralmente, ma non erano in grado di fornirmi alcun aiuto concreto. Tramite loro venni a sapere che sulle adiacenti colline si stava organizzando l'embrione della resistenza partigiana: ma ancora nella sua fase iniziale e non attrezzata ad accogliere le donne. Da notare che poco dopo questi monti pre-appenninici sarebbero divenuti terreno di una vasta sollevazione popolare; tanto è vero che a distanza di oltre quarant'anni (ottobre 1985) Borgotaro è stata insignita dal Presidente della Repubblica della più alta onorificenza per il notevole contributo offerto alla lotta di liberazione contro il nazi-fascismo. Evidentemente era segnata da qualche parte una strada diversa da percorrere per me. In tali condizioni non avevo ritenuto opportuno chiedere protezione o rifugio, la qual cosa avrebbe comportato rischi enormi per chiunque fosse stato disposto a concedermeli. D'altronde, l’idea di rintanarmi da qualche parte sotto falso nome non mi attirava affatto e, tutto sommato, avevo deciso di affrontare a viso scoperto quello che il destino stava riservando a me ed ai miei simili. 

«Evidentemente stavo già calandomi nella fase di estraniazione da me stessa, in una sorta di "trance" che mi avrebbe poi sorretta durante le drammatiche traversie degli anni successivi».

Verso la fine di dicembre, passato il Natale, dalla caserma dei carabinieri arrivò l'ordine per me di… preparare la valigia. Quando giunsi alla stazione, scortata da un carabiniere, trovai ad attendermi l'amica Pina col viso rigato di lacrime. (Povera Pina, morta poi durante un bombardamento). Io invece avevo gli occhi asciutti e conservavo una calma singolare viste le incresciose circostanze in cui mi trovavo. Evidentemente stavo già calandomi nella fase di estraniazione da me stessa, in una sorta di "trance" che mi avrebbe poi sorretta durante le drammatiche traversie degli anni successivi. Con il mio accompagnatore giunsi a Monticelli Terme, ove il vecchio castello di Montechiarugolo era stato trasformato in centro di raccolta per donne ebree residenti nella regione. A quel carabiniere vestito in borghese, piccolo, mingherlino, con i baffetti alla Clark Gable, devo l'ultimo sorriso da libera cittadina. Con fare gentile, tra serioso e faceto, mi propose di prolungare di una notte il tempo di libertà che mi rimaneva, passandola, naturalmente, con lui. "Bene", rispose al mio scontato rifiuto, "ma il pranzo lo deve accettare, non le permetterò di varcare quel cancello affamata". Che caro! e lo dico senza ombra di ironia. Pranzammo in una modesta trattoria e poi, contravvenendo agli ordini dei suoi superiori tedeschi, fu lui a portare, da vero cavaliere, la mia valigia fino all'ingresso del castello-prigione. Il portone che si chiuse alle spalle mi staccò completamente e a lungo dal resto del mondo. Ebbe cosi inizio per me la peregrinazione attraverso vari campi di concentramento in Italia e in Germania. […]