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Autore

Daniela Santerini

Anno

1968 -1969

Luogo

Pisa/provincia

Tempo di lettura

14 minuti

Cioioi ’68

Alla fine del primo spettacolo siamo uscite, e il capitano ha voluto sparare il cannone in nostro onore.

SAIGON

Domenica 10 Novembre 1968

Oggi abbiamo suonato distanti da Saigon, in una base dove quasi tutti avevano i baffi. Il capitano (coi baffi, discretino), parlava italiano, ma un po' malino: per arrivarci abbiamo attraversato un ponte che è stato sabotato poco tempo fa, e per questo c’erano soldati di pattuglia perfino nell’acqua. E’ tutto un susseguirsi di posti caratteristici: risaie, palme, banane, bufali, anatroccoli...quando sembra il film “il ponte sul fiume Kway”, quando sembra di leggere “La buona terra”.

Alla base ci accoglie un baffuto soldato, e gli brillano gli occhi nel vedere cinque donne fra tanti uomini. 

Quando abbiamo suonato, c’era uno che aveva messo gli occhi su Viviana, e si voleva fare tutte le foto con lei. 

Alla fine del primo spettacolo siamo uscite, e il capitano ha voluto sparare il cannone in nostro onore. Ci hanno dato i tappi per le orecchie, ma io ne ho voluto fare a meno, tanto cosa vuoi che sia… c’è voluto un sacco per caricarlo, poi sono scappati tutti, e uno ha tirato la corda da terra: “BUUUUUMMMMM!!!!”… ed è sembrato che anche la terra si muovesse, mentre lo stomaco andava a picchiare sui polmoni e il cannone rinculava di qualche metro. Viviana e Rossella, arretrando, sono entrate nella mota fino ai ginocchi, e ci hanno perso anche le ciabatte. E’ stato uno spettacolo: i soldati a ridere, il capitano serio, poi ci ripensava a secco e sbottava in una grassa risata, poi serio e così via…

Mentre le bimbe si sciacquavano, ho chiesto del gabinetto, e mi hanno portato in uno stanzino-forno riservato agli ufficiali (forse i soldati semplici li mettono direttamente sul fuoco) con un buco e sotto un catino dove andava a finire tutto quello che si faceva. 

Il capitano baffo ci  ha infine regalato i tappa-orecchi (almeno un ricordino da portare a casa!), e per il ritorno siamo salite su una jeep con lui e un biondino (coi baffi, per cambià) bono, ma bono, ma bono, con un sorriso che faceva schiantà. Sembrava tutto Lorenzo (bellini i mì cugini, mamma mia!); ci hanno accompagnato fino a casa, da dove dicono che domani alle 5 si deve partire per Danang: moccoli a tutto andare! In compenso io, Manuela e il Saggini, prima di andare a letto siamo stati a vedere l’impianto stereo di uno della LAD Promotion: qualcosa di incredibile, con cuffie registratori, giradischi, radio. 

Poi, parlando, abbiamo saputo (ma l’avevamo già capito) che nel Vietnam ci si sta tre mesi: il primo serve a ripagare loro delle spese, il secondo a pagare noi e il terzo a farci guadagnare loro. 

Passo e chiudo.

[...] abbiamo discusso tanto ma siamo rimaste al punto di prima: nel Vietnam ci si sta tre mesi, porca… miseria!

DANANG 

Lunedì 11 Novembre 1968

Ci alziamo la mattina alle 4,30 , e tutte traballanti dal sonno ci dirigiamo all’aeroporto insieme a Chip e Leo (si dice “Lio”), quello che dovrebbe accompagnarci a Danang, un filippino che sgobba come un ciùo, sta sempre zitto zitto e dev’essere una pasta d’uomo. All’aeroporto scopriamo così che ci siamo alzate alle 4,30 per partire alle undici…! Arriva infine il nostro momento, dopo aver atteso sedute accanto a un puzzo di gabinetto da schiantà. L’aereo è un C119, quello che io chiamo !aereo a quadretti”, e gli strumenti li hanno caricati da dietro. Saliamo, e scendiamo subito perché s’è guastata un’elica: ripartiamo dopo una buona mezz’ora. Beh, se si può definire “partenza” beccheggiare di qua e di là e dopo un bel po' di tempo che sembra di essere in volo accorgerci che stiamo decollando…! Come all’arrivo: un bel sospiro di sollievo quando crediamo di essere atterrate, e proprio allora l’aereo poggia “delicatamente “ i suoi piedini al suolo! Nell’ultima fase del volo poi, in discesa, sembrava di rimanere schiacciate fra due presse!

L’aereo era tutto pieno di militari: ce n’era uno con la cuffia che parlava con la cabina e comandava l’apertura e chiusura del portellone posteriore. Abbiamo anche fatto tappa a Chu Lai, e poi Danang. 

Non sapendo dove andare, aspettiamo per un’ora sotto il sole e – per rimanere in tema – accanto a una baracca che puzza di gabinetto. Finché, dopo un’ora, due della Promotion che passano di lì per caso, proprio mentre stiamo salutando gli australiani, che abbiamo appena incontrato, ci caricano su un furgone con gli strumenti e ci portano alla sede di Danang. 

Il clima in questa città è più fresco, ma le strade sono peggiori di quelle di Saigon. Alloggiamo in un albergo e mangiamo molto bene, in un ristorante con la cucina francese. Abbiamo il bagno in camera, ma misura un centimetro per un centimetro, e l’acqua della doccia va a finire sul water. 

Nella sede della Promotion abbiamo conosciuto Dupont, un tipo basso con parrucchino, abbiamo discusso tanto ma siamo rimaste al punto di prima: nel Vietnam ci si sta tre mesi, porca… miseria!

Fortunatamente mi sollevo il morale e mi lucido gli occhi allo spettacolo della sera, in un club di ufficiali sul mare: sono lì che monto gli strumenti e mi si avvicina uno bono, ma bono, che chiamo “ Omar (alludendo a Sharif) solo per i baffi. Mi offre del vino, ma Viviana non vuole che accettiamo nulla, e dico “no, grazie”con l’aria da educanda. Allora lo offre a Rossella, che accetta...ma allora. Che si deve fare?

Ma si presenta un’altra occasione: Omar, quel ganzone, sta sempre dalla mia parte del palco, e mentre si sta suonando offre a tutte un bicchiere di roba che sembra cognac, con delle ciliegine dentro… ma questa volta non mi frega, perdinci!

Dupont, alias “parrucchino”, con la sua inseparabile bionda tutta butterata, con le ciglia alla Walt Disney, ci fa un sacco di complimenti che lo show sta diventando buono, e anche stasera abbiamo preso 1...si, perché ci danno anche i voti: number one o two, o three. Fino a cinque, che è il peggiore. Però c’è qualcosa ancora che non va, dice lui: poco movimento, quando suoniamo parliamo troppo fra di noi….Provi a mandare uno dei suoi show in Italia: farebbero la colletta per pagare il viaggio di ritorno!

Discutiamo di queste cose quando ci ritroviamo in camera, e… a proposito: abbiamo l’uscita di sicurezza! Scavalcando il terrazzino, infatti si può passare nella casa accanto, dove vive un inglese, manager anche lui, che ospita gli artisti. Ha sposato una vietnamita e ha una bambina di quattro mesi che si chiama Susan.

 

“Daniela, proprio te che non l’hai mai visto, corri…!”

DANANG

Martedì 12 Novembre 1968

Prima di dormire ci gingilliamo un po' nelle nostre camere: chi scrive il diario, Manuela è sdraiata sul letto e studia le volute di fumo cercando di farci gli anelli, e Viviana sta guardando fuori dalla finestra, finché si precipita a spengere la luce: 

“Daniela, proprio te che non l’hai mai visto, corri…!”

Non capisco il messaggio, ma corro obbediente, e vedo, nella casa accanto, la camera illuminata dei canadesi, ospiti dell’inglese: Tony Van e la moglie, che abbiamo soprannominato  “cavallona”: lui, uscito dal bagno con l’asciugamano intorno alla vita, a un certo punto se lo leva...e io, al buio, non trovo gli occhiali!!

Arrivate al Grand Hotel, troviamo fuori dalla nostra stanza tre soldati vietnamiti armati, di guardia.

DANANG

Mercoledì 13 Novembre 1968

Piove a dirotto, cosa c’è di bello in questi posti, un piove mai!

Ieri abbiamo suonato alle 8 di mattina, in un club dove un fotografo negro ci ha fatto un servizio: dicono che sia molto bravo, ma con me sarà messo a dura prova!

Ci sono novità: ci hanno trasferito al Grand Hotel, che dire  “Grand Hotel” e vedere com’è dentro c’è da morì da ridé. In compenso siamo vicine al ristorante degli spaghetti, che di brutto hanno solo che son pochi: me ne mangerei un bidone alla volta! Viviana e Rossella in una camera al piano terra, noi e il Saggini di sopra. La nuova camera è l’esatto contrario dell’altra: enorme, e il bagno ha le pareti che non toccano il soffitto e un finestrone che dà sul corridoio. 

La sera, nel club, conosciamo un trentino emigrato in America, che parla tutto “ostrega”. Eccetto lui, il più giovane avrà si o no sessant’anni, e vogliamo che si suoni piano. Noi suoniamo piano, e loro vogliono più piano ancora. Allora il Saggini fa una reganata a Viviana, perché abbassi, e faccia pezzi in musica. Viviana abbassa a 1, e a 1 non si sente, e i pezzi in musica non li fa perché non si ricorda più gli accordi. 

Alla fine dello spettacolo, una volta salite sul furgone, dopo un minuto di silenzio teso teso, sbotta il Saggini: “Te, Viviana, questi dispetti a me non me li fai, va bene??” Buuuummm!! E’ scoppiato un popò di temporale…! Viviana urlava, ogni tanto urlava anche Rossella, e io che ho provato a prendere le difese di Viviana mi sento dire “Stai zitta te!”, e poi dopo un secondo: “Vede, perché loro stanno sempre zitte…!”

Mah!?!? 

E non era finita. Arrivate al Grand Hotel, troviamo fuori dalla nostra stanza tre soldati vietnamiti armati, di guardia. Entriamo e io vado subito in bagno a lavarmi e cambiarmi il pannolino, mentre Franca e Manuela fanno le barricate: saranno anche di guardia, ma non si sa mai! Infatti, mentre Franca si spoglia dalla vita in su, si accorge che alla finestra che dà sul corridoio ci sono questi tre soldati affacciati!

Le bimbe mi gridano di uscire, e io che non mi sono accorta di nulla: “ma mi sto lavando!” e loro “appunto, appunto!”.

Insomma, esco e capisco. Ci precipitiamo nel corridoio, sfacendo le inutili barricate: i soldati fanno finta di nulla, e tre sedie sono appoggiate al muro. Manuela prova a sbatacchiarne leggermente una, e visto che stanno zitti zitti prende le altre due e le sbatacchia per bene. Poi dice “OK,???”, e rientriamo, per vestirci e correre giù da Viviana. Mentre scendiamo le scale tutte arrabbiate, Franca si gira verso i soldati, li guarda  con gli occhi truci, e con la mano tesa gli fa: “Tomorrow… si ride!”.

E come ridono Viviana e Rossella quando raccontiamo l’accaduto!

Poi Viviana, Rossella e Franca tornano su a prendere un materassino, e io dormo in terra, accanto a Franca e al puzzo di muffa che t’entra anche negli orecchi, con Franca che è un continuo venirmi addosso e io un continuo buttarla più in là. 

Mi ci son presi certi nervi!!! Un po', guà, che qui ci prendono anche per puttane, e puttane saranno le su mogli e le su figliole, ecco. Il primo che s’arriva in Italia e mi dice che la nostra è una vita da vagabondi, da ragazze poco serie, prima gli do un cazzotto che l’appiccico al muro, poi lo imballo ben bene e lo spedisco qui, poi quando torna gli ritiro un cazzotto e gli chiedo come c’è stato, ecco. 

Mi ha detto stasera al club una ragazza dell’ LAD Promotion che domani alle 11 si deve partire per Chu Lai con l’aereo.

Conclusione, a Le Stars, tante volte fossero troppo fortunate, gli ri-hanno rubato qualcosa [...]

DANANG

Giovedì 14 Novembre 1968

Ci alziamo presto ma aspetta aspetta non viene nessuno a prenderci per andare a Chu Lai. Arriva invece il Saggini, e gli si dice “Allora, si parte?”

Fa lui:”Si, si torna a casa!”.

Conclusione, a Le Stars, tante volte fossero troppo fortunate, gli ri-hanno rubato qualcosa, pezzi di merda, e per essere precise 2 amplificatori (uno mio uno di Viviana), e – aripicchiaci – l’amplificatore delle luci. Mi metto a piangere dai nervi che mi tirano…! La polizia sta indagando e crede già di aver individuato i colpevoli, due vietnamiti, e gli stanno facendo l’interrogatorio, e se non parlano li picchiano. 

Nel pomeriggio passiamo un po' di tempo a casa dell’inglese, insieme al complesso di canadesi, e hanno rubato anche a loro (hanno rubato un po' a tutti). Quest’inglese ci dice che fuma cinque pacchetti al giorno e beve venti birre, io caio. Poi fa:” la mattina mi gira un po' la testa”! Lo conosciamo un po' meglio: si chiama Peter, è dell’Yorkshire, e si trova qui perché anni fa insegnava inglese ad Hong Kong; poi ha visto che soldi ce n’è più da queste parti che in Inghilterra, c’è rimasto. Ha sposato da due anni questa vietnamita, che ora ne ha diciannove, e quando è più vecchio vorrebbe tornare ad Hong Kong, ma lei non vuole perché dice che ci sono troppe ragazze. 

Parlando parlando, gli dico che a Danang ci dobbiamo stare cinque giorni, ma lui è sicuro che invece sono quindici!!! E noi abbiamo portato il cambio per cinque, figli d’un cane! Meno male che il 25 si deve suonare al Than Se Nhut, almeno c’è una debole speranza di tornare a Saigon. 

Poi andiamo a cena al ristorante, e all’hotel per dormire, dove si trova che ci hanno occupato la stanza, perché noi la sera si doveva essere a Chu Lai… o almeno io ho capito così, perché uno capisce in un modo, uno in un altro, e chi parla ancora differente. Torniamo a chiamare l’inglese, che per fortuna è ancora al ristorante, e strizza strizza torniamo al nostro alberghino, che almeno è più pulito e il bagno + decente.

Le Stars ritratte dal fotografo di Danang
Le Stars ritratte dal fotografo di Danang