Autore
Giuseppe SalveminiAnno
1916 -1918Luogo
Arezzo/provinciaTempo di lettura
7 minutiDiario della mia vita militare
15 Giugno [1916]. Giovedì
Alle ore 13.19’ sono partito improvvisamente da Arezzo. Erano alla stazione a salutarmi i miei amici Carlo Latil, Bruno Bruni e Renato Rosadi. Erano compagni di treno Guido Polvani, Orazio Domini, destinati come me alla scuola di Modena, e due compagni più, dei quali non ricordo il nome e che andavano all’Accademia di Torino. Il viaggio lo abbiamo fatto in 2ᵃ Classe, a spese del governo; è stato allegrissimo. A Firenze siamo arrivati alle ore 16.30 e dopo aver posato i bagagli al buffè, siamo andati a girare per la città. Prima ripartono i due destinati a Torino, poi alle ore 17.55 partiamo noi. Alla stazione di Firenze ho trovato il Magg.ʳᵉ Taralli e il Sott.ᵗᵉ Roselli. Il Roselli ci ha tenuto compagnia fino a Pistoia. Qui è salita in treno una allegra signorina con la quale ci siamo divertiti assai. Sotto le numerose gallerie della Porrettana ella ci ha elargito molti dei suoi favori. Verso Bologna è salito un simpaticissimo signore che più positivo di noi, si è accaparrato completamente la bella etera ed a noi non è rimasto altro che il piacere di vederli scendere e sparire insieme, per una buia strada di Bologna. A Bologna arrivammo alle ore 22.45’ e scendemmo anche noi: io andai da mio fratello Leone ove pernottai. Polvani e Domini li feci accompagnare da un carabiniere della caserma di mio fratello ad un vicino e modesto albergo. Era la prima volta che andavo a Bologna e vista di sera, sotto il pallido chiarore di numerose lampadine rosse e bleu e attraverso a quei numerosi porticati, mi dette l’idea di una città grandiosa e di grossa mole. Sotto quell’oscurità, i palazzi mi sembravano alti, massicci; i monumenti giganteschi, artistici; le piazze vaste, superbe; insomma ebbi l’idea d’una grande metropoli. Di tutte le città vedute però, serberò un lieto ricordo; come S. Giovanni, Prato, Pistoia ecc ecc.
16 Giugno. Venerdì
Mi sono alzato alle 5, ho preso il caffè e salutati Leone ed Emy sono andato a forza di domande alla stazione ove ho trovato Domini e Polvani i quali erano tutti dispiacenti per la cattiva nottata passata in quell’albergo d’infimo ordine, secondo loro. Abbiamo continuato il viaggio, sotto un caldo afoso, attraverso l’immensa pianura Emiliana, tutta ricoperta di alta canapa ondeggiante ad un lieve venticello. Alle 8.39’ siamo infine arrivati alla desiderata Modena, meta agognata da tutti coloro che, fantasticando, sognano una fulgida carriera militare, e meta sprezza e odiata da tutti coloro che per la forza del dovere, e per il sacrosanto bisogno del momento, hanno dovuto abbandonare la propria professione, la propria famiglia, per accorrere quivi, dove risiede la più grande e antica fucina d’ufficiali. Usciti dalla stazione siamo subito indrappellati e incamminati verso il palazzo Reale; mentre le nostre cassette vengono portate da carri dell’esercito. Lungo la strada camminiamo tutti a passo svelto, con il volto sorridente e con il naso per aria, voltandoci di qua e di là per ammirare vetrine, strade, piazze e monumenti che ci scorrono davanti a noi. Riceviamo tutti una bella impressione della città e specie del Palazzoreale dove risiede la Scuola. Condotti in una vasta sala con pavimento sterrato, la quale a parer mio deve essere un’aula di Ginnastica, un maresciallo ci ha designato la propria compagnia. Il Domini è stato messo (per opera di suo fratello Giacinto allievo ufficiale effettivo) alla 8ᵃ Comp.ᵃ di residenza al palazzo; il Polvani alla 14ᵃ Comp.ᵃ ed io alla 13ᵃ, tutte e due di residenza alla caserma “Ciro Menotti”. Poi sono stato condotto in caserma; un gran fabbricato quadrato con in mezzo un vasto piazzale, vero tipo delle caserme reggimentali e dove siamo rimasti fino alle ore 10.30’. Poi ci hanno dato libera uscita fino alle ore 13.30’, tempo impiegato per andare a mangiare in un albergo. Eravamo in molti, fra i quali mi sono rimasti più noti, Ricci, Martellini e Volterra, allievo anziano, e quindi abbiamo mangiato allegramente e chiassosamente. Ritornato in caserma, non avendo null’altro da fare, ho scritto a molti, fra i quali alla Sig.ina Delia Cardelli e alla Sig.ina Giulia Giorgi; quest’ultima non mi ha mai risposto! Siamo usciti di nuovo alle 18.30’ fino alle 21.30’. Ho vagabondeggiato per la città, guardando e ammirando tutto, sperdendomi senza alcun orientamento per le numerose vie che s’incrociano in mille guise e senza essermi capacitato di decifrare l’impressione fattami di questa. L’ammirerò più, quest’altri giorni. Suona il silenzio, ed io sono già a letto, ed ascolto con un raccoglimento speciale quelle note lunghe, flebili e nostalgiche, le quali, mentre per molti rievocano il paese e la famiglia lasciata e fa loro tanto mesti, a me invece fanno tanto contento e felice l’animo e mi risvegliano i sogni, i desideri e le ambizioni d’una carriera, della quale ora ho imboccato la più diritta via.
 
17 Giugno. Sabato
Alle ore 6 è suonata la sveglia! Pulizia abbiamo fatto fino a ore 10.15’; dopo siamo usciti fino alle 13.15’ andando in questo tempo a mangiare all’albergo. Tornati in caserma ci hanno consegnato giubba, pantaloni, fasce e berretto di panno grigio-verde, quindi scarpe, gravatte, stellette, mantellina, ecc. Ho gettato via con disprezzo l’abito borghese e mi sono vestito in divisa. Sono poi uscito (ore 18.30’) con il Polvani e siamo andati in un modesto caffè, per essere più liberi e per farci a vicenda, con più libertà, le nostre impressioni. Siamo tutti e due soddisfatti e superbi di indossare sì glorioso grigio-verde. Ho scritto una cartolina alla Ada Vecchi e alla Annetta facendo loro capire, come oggi più di ieri, mi siano state indifferenti e come mi faccia lieto la rottura avvenuta fra me e loro. Sono rientrato alle 21 e avendo del tempo libero e del buon appetito, ho preso la baionetta e mi sono messo a tagliare del salame che avevo portato da casa. Ad un tratto la lama è scivolata ed è andata a tagliarmi profondamente un dito. Contrariato per quest’incidente, ho smesso di mangiare e ho maledetto la baionetta traditrice che m’aveva preso per un todesco. Il sangue versato però fu molto, e il dolore sempre più si acutizzava, tanto che al momento dell’appello, mi s’è preso uno svenimento e sono stato e spogliato e messo a letto dai miei colleghi. Però subito m’è passato e ridendo del caso avvenuto, pensavo che il primo battesimo di sangue e la prima mostra del mio coraggio, non è stato troppo lusinghiero per un volontario e futuro ufficiale.