Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Giovanna Morelli

Anno

1989

Luogo

Francia

Tempo di lettura

5 minuti

Gianna, una vita di lotta

Ricordo con quanto orgoglio lanciavo i volantini dal tram, distribuivo e affiggevo il giornale "Noi Donne" e i volantini del G.D.D., conscia del fatto che per la prima volta in Italia le donne si davano un'organizzazione politica autonoma.

Ricordo con quanto orgoglio lanciavo i volantini dal tram, distribuivo e affiggevo il giornale "Noi Donne" e i volantini del G.D.D., conscia del fatto che per la prima volta in Italia le donne si davano un'organizzazione politica autonoma. E' con altrettanto orgoglio che posso affermare che le comuniste erano in prima linea e si distinguevano per la serietà con cui portavano avanti i loro impegni, sovente duri e difficili.

 

ANCORA SULLE DONNE

 

Le donne si erano già affacciate alla vita politica e sociale fin dai primi anni del '900 con l'affermazione del socialismo, sostenendo iniziative sociali e partecipando ai primi scioperi. Non avevano comunque, come donne, un'organizzazione propria; ora, organizzate, ci sentivamo più forti e con sempre maggior coraggio partecipavamo alla lotta.

Nel 1945 arrivammo a celebrare nelle fabbriche e nei luoghi pubblici la "Giornata Internazionale della Donna".

Nel 1945 arrivammo a celebrare nelle fabbriche e nei luoghi pubblici la "Giornata Internazionale della Donna". Fu un fatto molto emozionante vedere, l'8 marzo, più di 500 donne sul piazzale del Cimitero Monumentale e poi al Cimitero di Musocco a deporre fiori sulle tombe degli antifascisti uccisi il 10 agosto '44 in Piazzale Loreto. I ragazzi del "Fronte della Gioventù" ci scortarono; parlò brevemente un compagno, cieco di guerra.              

Dovemmo poi tornare alla spicciolata perché fummo avvisate che i briganti neri della Muti stavano arrivando con parecchi camion. Ci eravamo comunque già accordate per ritrovarci in Corso Littorio (ora Corso Matteotti), davanti al portone degli uffici annonari della SEPRAL, l'organismo che distribuiva viveri a Milano. Arrivammo in buon numero (circa 200 donne). Le più convinte e forse le più coraggiose di queste donne del G.D.D., mi permetto di dirlo, avevano mi­ litato o militavano ancora nel P.C.I. Purtroppo qualcuna, come le nostre care dirigenti Francesca Ciceri, Maria Azzali, Emma Gessa­ ti, sono ora decedute. Preferisco comunque non fare i nomi delle compagne perché inevitabilmente ne dimenticherei qualcuna e a me erano tutte molto care. Arrivammo dunque alla SEPRAL; salite al secondo piano riuscimmo a farci ricevere dal direttore al fine di ottenere dei supplementi di viveri. Egli asserì che la distribuzione non era di competenza sua ma del prefetto. Lo accerchiammo e lo obbligammo ad accompagnarci dal prefetto, in Corso Monforte. Sempre circondato da una delegazione di donne, lo costringemmo a farci ricevere dal prefetto. Ognuna di noi disse la sua e alla fine ne risultò un coro sempre più in crescendo. Il prefetto ci assicurò che avrebbe fatto il possibile per venire incontro alle nostre richieste. Noi eravamo determinate e lo avvertimmo che se non avessimo ottenuto nulla saremmo tornate, e in numero molto maggiore.

Insomma, le donne che lavoravano nei G.D.D. dopo quasi due anni di lotta si mostravano a volto scoperto alle autorità e ai cittadini di Milano.

La sorpresa delle guardie fasciste alla SEPRAL e in Prefettura fu tale che non seppero davvero cosa fare di fronte a uno spettacolo assolutamente nuovo: un nu trito gruppo di donne fermamente decise a ottenere ciò che chiedevano. Il successo di questa manifestazione fu talmente grande che dopo pochi giorni vennero distribuiti supplementi di generi alimentari, in particolare sale. Verso la fine di marzo, incoraggiate dal primo successo, le donne del rione Venezia-Manforte con a capo le compagne del "Gruppo Mischiari", fecero un'altra grande manifestazione, sempre per ottenere generi alimentari, al Comando dei Vigili Urbani di Via Boscovich.

Tutte le donne che si erano impegnate comprensibilmente si spaventarono e mi fecero sapere che il mattino seguente non sarebbero venute a deporre i fiori. Allora io e mio figlio Edio, che non aveva ancora 14 anni e già svolgeva attività clandestina, decidemmo di andare da soli.

8 MARZO DI LOTTA

 

L'8 marzo '45 con alcune donne del "Gruppo Mischiari" avevamo deciso di portare, prima del cessato coprifuoco (ovvero verso le cinque e mezzo del mattino), fiori e striscioni inneggianti ai Gruppi di Difesa della Donna e per l'Assistenza ai Combattenti della Libertà e all'8 marzo - Giornata Internazionale della Donna, in Via Botticelli (dove ora c'è l'Istituto Rizzali). Lì la mattina dell'Epifania del '45 erano stati fucilati dalla Polizia azzurra (Aeronautica), quattro giovanissimi aderenti al Fronte della Gioventù. La sera del 7 marzo, sempre in quella via, i partigiani uccisero una donna, una spia fascista, che anch'io conoscevo bene poiché era una cliente della compagna Maria (responsabile del gruppo Mischiari). Tutte le donne che si erano impegnate comprensibilmente si spaventarono e mi fecero sapere che il mattino seguente non sarebbero venute a deporre i fiori. Allora io e mio figlio Edio, che non aveva ancora 14 anni e già svolgeva attività clandestina, decidemmo di andare da soli: fummo veramente fortunati e ci andò tutto liscio. I garofani rossi e gli striscioni rimasero sul muro fin verso le nove, quando arrivarono i brigatisti neri del gruppo fascista rionale Tonali e i tedeschi del presidio di Piazza Ferravilla e strapparono tutto..

Per noi lo scopo era comunque raggiunto perché al mattino da Via Botticelli, oltre agli abitanti dei quattro grossi caseggiati popolari e delle altre case private, passavano parecchi lavoratori che si recavano agli stabilimenti della zona, compresa la grande fabbrica di biciclette Bianchi.

Con questa azione però mi ero esposta troppo, ·sia perché nel rione ero conosciuta e qualcuno poteva avermi notata, sia perché troppe donne sapevano che era stata opera mia. Inoltre, e questo era il principale motivo di preoccupazione, e' era la posizione di mio marito nel Partito e quindi, se ci fosse stata rappresaglia da parte dei tedeschi e dei fascisti e fossi stata arrestata, avrei potuto, magari sotto le

torture, lasciarmi sfuggire qualcosa, compromettendo molte persone.

La segreteria del Partito mi ordinò quindi, tramite la compagna Vera, di allontanarmi da Milano per qualche tempo, sospendendo ogni attività. Il 10 marzo con mio grande dolore lasciai Milano, raggiungendo i miei suoceri nell'Ossola. Per fortuna tutto andò bene e, essendo vicini i giorni dell'insurrezione, la sospensione durò solo circa dieci giorni.

Questa pausa forzata, seppure dolorosa, giovò molto alla mia salute: ripresi forza per affrontare i giorni di lotta ancora più dura che ci attendeva no.

Gianna Morelli con il figlio Edio
Gianna Morelli con il figlio Edio