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Autore

Giovanna Morelli

Anno

1989

Luogo

Francia

Tempo di lettura

11 minuti

Gianna, una vita di lotta

Io in questo lungo periodo feci le cose più disparate: dal raccogliere fondi alla diffusione della stampa, dalla consegna ai vari recapiti delle direttive per i diversi settori al mantenere i contatti con i compagni che mandavano in montagna i renitenti e i compagni ricercati.

I GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA

 

Ai primi di ottobre del 1943 si costituirono i primi "Gruppi di Difesa della Donna e per l'Assistenza ai Combattenti della Libertà". Per il P.C.l. le compagne che entrarono a far parte del Comitato Centrale dei Gruppi D.D. di Milano furono Gina Bianchi Galeotti (che nel frattempo era uscita dal carcere e aveva assunto il nome di Lia), Francesca Ciceri Invernizzi (Vera, che divenne, per il P.C.I., la responsabile del gruppo dirigente), Maria Azzali (Maria) e Anna Bazzini (Lidia). Io costituii quasi subito il Gruppo Aziendale all' E.N.I.C., chiamato "Gruppo Nello", composto però solo dalle cassiere dei cinema. Il mio lavoro qui consisteva solo nel raccogliere denaro; non era possibile infatti fare altro dal momento che le cassiere erano sparse nei vari cinema e facevano turni diversi. Mi collegai invece in modo particolare al "Gruppo Mischiari", composto da casalinghe di tutte le tendenze politiche. Questo gruppo operava in Viale Romagna ed era diretto, oltre che da me, Ida e poi Sonia, dalla compagna Maria Serravalle, che lavorava in casa come parrucchiera e ci fu così di grande aiuto.

I gruppi D.D. sorsero in tutta Milano. Oltre al Gruppo Mischiari, uno dei più attivi e numerosi, fu quello di Calvairate, diretto dalla compagna Emma Gessati (Maria). Del gruppo di Niguarda ricordo molto bene le compagne Irma Brambilla, Giulia Curtivo e Piera Abbiati. Nei Gruppi ho conosciuto donne meravigliose che con grande semplicità rischiavano molto ogni momento.

Ero per esempio in contatto con una signorina non più molto giovane (di cui mi spiace aver scordato il nome e soprattutto non averla più rivista dopo l'insurrezione), che gestiva una polleria in Via Aselli 20. Io frequentavo il suo negozio come cliente già prima della guerra li20. Io frequentavo il suo negozio come cliente già prima della guerra. Capii che era un'antifascista e così intavolai con lei delle discussioni che furono poi utili per agganciarla al Gruppo Mischiari. Qui fece veramente un ottimo lavoro: raccolse fondi, medicinali da inviare ai partigiani in montagna, ma soprattutto il suo negozio servì di recapito ai compagni ferrovieri della stazione di Larnbrate e Smistamento. Svolse queste attività con una semplicità persino commovente, quasi non si rendesse conto del grave pericolo che correva. Io in questo lungo periodo feci le cose più disparate: dal raccogliere fondi alla diffusione della stampa, dalla consegna ai vari recapiti delle direttive per i diversi settori al mantenere i contatti con i compagni che mandavano in montagna i renitenti e i compagni ricercati. Imparai da sola a scrivere a macchina (non ero certo molto abile in questo lavoro) e, poiché io e mio marito abbiamo vissuto insieme tutto il periodo clandestino, ero molto legata al suo lavoro politico. Mio marito diventò funzionario del .P.C.I. Subito dopo 1'8 settembre diresse il V settore e il primo sciopero, alla fine del '43, della rimessa tranviaria di Viale Campania; passò poi al settore Ticinese col nome di Giusto, quindi andò a dirigere il settore di Sesto S. Giovanni col nome di Rino. Nel gennaio del '44 entrò a far parte della Segreteria del Partito a Milano col nome di Elio (nome che usò fino alla Liberazione e con cui lo chiamerò da adesso in questi miei ricordi), come responsabile del lavoro di massa, che consisteva nel dirigere i giovani, le donne e il lavoro sindacale. In quel periodo ho conosciuto alcuni dirigenti del Fronte della Gioventù: Gillo Ponte­ corvo, Maria Carnevali (Piera), Eugenio Curiel e diversi altri giova­ ni di cui non ricordo più i nomi.

Non posso descrivere quello che provammo e quanto soffrimmo quando Edio ci lasciò. Appena se ne fu andato, ci spostammo in un punto un po' nascosto e mangiammo seduti su dei massi. Il freddo era intensissimo e c'era molta neve. Avevamo la gola chiusa e il cuore stretto da una morsa; né io né Elio avevamo alcuna voglia di mandar giù qualcosa. Inoltre dovevamo ancora risolvere il problema di dove trascorrere la notte.

A FIANCO DI ELIO

 

Dovetti aiutare Elio nel suo lavoro, copiare le circolari che portavano le direttive per i compagni e consegnarle. Questo lavoro mi costò molta fatica per più di un motivo: Elio era molto esigente e si arrabbiava molto quando sbagliavo (e io sbagliavo spesso essendo alle prime armi come dattilografa), dovevo quasi sempre scrivere di notte, dopo aver lavorato tutto il giorno, e per non fare rumore dovevo avvolgere la macchina per scrivere in una coperta e infine la mattina seguente dovevo recapitare i messaggi ai compagni nei punti stabiliti. Ebbi però la grande soddisfazione di aver seguito da vicino (al punto che posso dire di avervi partecipato) lo sciopero dei tranvieri che tanto impressionò i milanesi nel '44 e quello, ancora più importante, dei ferrovieri del Compartimento di Milano nell'aprile del '45, che segnò l'inizio dell'insurrezione in Lombardia. Entrambi questi scioperi furono organizzati e diretti, per il P.C.I., da mio marito.

Della mia attività clandestina mi sono rimasti impressi episodi che non potrò mai più dimenticare.

Mi è successo di uscire dal cinema Odeon alle 19,30, mezz'ora prima del coprifuoco, con numeri di Noi Donne (il cui primo numero uscì nell'ottobre del '43), Unità, La Fabbrica, La Nostra Lotta, Il Combattente, che avevo già incollato per l'affissione e con pacchi di volantini e, andando. a prendere il tram n. 24 dietro il Duomo, attaccare questi giornali sul muro del palazzo a fianco dell'Arcivescovado e molte volte sui muri dell'Arcivescovado stesso, salire poi sul tram e da qui fare il lancio dei volantini. Una volta un partigiano (mi pare si chiamasse Trezzi) fece un'azione molto pericolosa a Sesto S. Giovanni e dovette nascondersi per tre o quattro giorni in un pollaio perché tedeschi e fascisti lo cercavano attivamente. Le sue sorelle, di notte, malgrado il coprifuoco, riuscirono a portargli da mangiare. Fu segnalato a mio marito, che con altri compagni riuscì a farlo arrivare a Milano. Lo accompagnai dalla compagna Maria Serravalle che, da brava parrucchiera, da biondo lo fece diventare corvino e gli applicò un bel paio di baffi. Riuscimmo poi a mandarlo in montagna, mi pare in Valtellina.

Più di una volta, con l'aiuto dei compagni della cellula dell'E.N.I.C., riuscimmo a salvare i nostri giovani del Fronte della Gioventù i quali ogni tanto, soprattutto la domenica, venivano al cinema Odeon a tenere brevi comizi. In queste occasioni, durante la proiezione si accendevano improvvisamente le luci e contemporaneamente apparivano sul palco due o tre giovani che tenevano un brevissimo discorso. Noi compagni eravamo pronti ad aprire le porte di sicurezza di Via Agnello per gli operatori che avevano provveduto a interrompere la proiezione. In cabina vi erano quasi sempre operatori comunisti o socialisti. Per i ragazzi che salivano sul palco aprivamo le porte di sicurezza in Via Santa Radegonda, precisamente quelle che davano accesso al teatro, in modo che al momento di fuggire si trovassero un po' più distanti dal cinema.

Ci andò sempre bene, anche se una volta un milite sparò diversi colpi di rivoltella verso il palcoscenico.

Una domenica io era sola di servizio in galleria e il cinema era pieno di gente. All'improvviso si accesero le luci. Io pensai subito ai nostri giovani, invece era un'irruzione di fascisti della famigerata "Muti" di Via Rovello che venivano a fare un rastrellamento di uomini da inviare poi in Germania. Mentre essi erano in platea, andai di corsa ad aprire le due porte che davano su Via Agnello, poi, sempre di corsa, salii al secondo piano ad aprire un'altra porta che dava sempre su Via Agnello ma nel palazzo abitato. Poterono così fuggire parecchi uomini ma purtroppo i fascisti riuscirono ad arrestarne un centinaio.

Io e mio marito dall'S settembre '43 vivevamo malissimo. Non potevamo andare a casa nostra poiché abitavamo in Via Moretto, a pochi passi dalla Via A. Del Sarto dove c'era una sede rionale del fascio, la "Emilio Tonoli", e da Piazza Ferravilla, dove si era stabilito un presidio di tedeschi.

In quel momento fiduciario fascista era un certo Padovani, lurida persona sia come uomo che come fascista, che ci conosceva benissimo poiché si era sposato con una mia compagna di scuola e abitava come noi nel quadrato di case popolari di Viale Lombardia. Lì abitavano anche altri brigatisti neri, losche figure pure loro. Il Padovani venne ucciso in Viale Romagna da un partigiano il cui nome di battaglia era Silvano. Questi era un giovane operaio che il P.C.I. aveva fatto uscire dalla fabbrica Innocenti in quanto la sua attività lo aveva portato a esporsi troppo. Entrò subito nelle S.A.P. (Squadre d'Azioni Patriottiche) che operavano in città.

Per noi si pose quindi il problema di trovare una casa che fosse il più possibile sicura. Fu molto difficile, anche se ormai ci presentavamo con un nome falso e con tutti i documenti "in regola". Per circa due mesi ci ospitò, solo la notte, il compagno Tullio Tamaro ma poi anch'egli venne ricerca to e dovette fuggire. Per un certo periodo si rifugiò in un camerino del cinema Odeon. Per diversi mesi io e mio marito passammo da una casa di fortuna all'altra. Finalmente, verso la fine del '44, trovammo una sistemazione definitiva presso un mio collega di lavoro, simpatizzante del P.C.I, che lasciò Milano per raggiungere la famiglia sfollata e che potè affittarci la sua casa, in qualità di sinistrati, fino all'insurrezione.

In quel periodo mio figlio Edio fu sempre ospite di mia madre. Ricordo come fosse ieri il giorno di Natale del '43. Eravamo senza un posto dove andare a mangiare e tantomeno a dormire. Per noi era ovviamente pericoloso frequentare locali pubblici dove potevano sempre verificarsi controlli sia da parte dei tedeschi che dei fascisti.

Così, per poter vedere almeno quel giorno nostro figlio, mio marito e io gli fissammo un appuntamento dalle pani dell'Ortica, dove ancora vi erano tanti prati. Edio venne e rimase con noi una decina di minuti. Aveva portato con sé del cibo che mia madre ci aveva preparato. Non posso descrivere quello che provammo e quanto soffrimmo quando Edio ci lasciò. Appena se ne fu andato, ci spostammo in un punto un po' nascosto e mangiammo seduti su dei massi. Il freddo era intensissimo e c'era molta neve. Avevamo la gola chiusa e il cuore stretto da una morsa; né io né Elio avevamo alcuna voglia di mandar giù qualcosa. Inoltre dovevamo ancora risolvere il problema di dove trascorrere la notte.

Fortunatamente, nel pomeriggio Elio aveva un appuntamento con la compagna Lidia (Anna Bazzini) che ci risolse questo problema trovandoci sistemazione presso una sua conoscente, vedova con una figlia, che ci ospitò la sera di Natale e tutto il giorno di S. Stefano dandoci, oltre che da dormire, anche da mangiare. Tanto la madre che la figlia furono di una gentilezza infinita e molto riservate, infatti non ci chiesero nulla.

Questi ricordi e queste gentilezze non si possono dimenticare.