Autore
Mihaela SumanAnno
2022 -2022Luogo
CroaziaTempo di lettura
5 minutiIl suono della nostalgia
Me lo ricordo, quando mi portarono via per andare a scuola. C’era il sole e batteva forte forte sulla facciata ruvida della casa, ma non ricordo se non riuscissi a guardarla per il sole o per le lacrime. No, non piangevo, volevo essere forte, tutte negli occhi le ho trattenute, le lacrime. Ma Kojan piangeva, lui sì, l’ho visto quando avevo girato l’angolo dietro la facciata bianca, lui se le asciugava con le mani. Piangeva per me, “non la rivedrò più”. Tanto bene mi voleva Kojan, era il fratello di mio nonno e aveva gli occhi diversi come me e capelli grigi e beveva tanto, povero. L’ho visto spesso reggersi al muro mentre barcollava e Ljalja che gli gridava: “Entra subito in casa!”. Si vergognava, Ljalja, che lui si facesse vedere ubriaco dagli altri, ma tutti sapevamo che Kojan beveva la grappa e gli volevamo bene lo stesso, io tanto tanto, perché era buono buono con me. Quando ero piccola giocavamo all’aurotobus, come io allora chiamavo l’autobus: lui, ubriaco, stava sdraiato sul divano, allora io gli salivo addosso e le sue gambe erano la porta: le aprivo e così potevo salire sulla sua pancia – aurotobus – lo stesso con cui mamma e papà venivano a trovarmi. La scuola era già iniziata da qualche mese – andavo alle elementari ed ero brava, avevo tutti cinque! – quando quella sera, qualche sera fa, arrivò la padrona di casa. Io e la mia nuova sorella eravamo a letto, ma io non dormivo ancora. “… Telefono... lo zio…” Avevo sentito solo poche parole e lo stomaco stringersi, una telefonata era una cosa strana, e poi era tardi, e poi papà era uscito con la padrona, stava andando a rispondere al telefono a casa di lei, noi non ce l’avevamo, il telefono. Dormi / TELEFONO / dormi, domani è domenica e dovrai studiare / LO ZIO / ora dormo, uno, due, tre…/ KOJAN / non è successo niente / “NON LA RIVEDRÒ PIÙ” / iodormoiodormo / ti voglio tanto bene tanto tanto. Il giorno dopo la mamma aveva gli occhi rossi quando mi chiamò e prese le mie mani tra le sue. “Kojan…” Lo strappo / DENTRO-FUORI / l’abbraccio violento ma il dolore il dolore dove sta il dolore? Non sentivo dolore mentre eravamo in viaggio oggi, per venire qui; no, ero euforica e felice perché andavamo dai nonni! Andiamo dai nonni! Torniamo dai nonni! Non vedevo l’ora di correre fuori dalla macchina – Io per prima! Io per prima! – e di abbracciare il nonno la nonna Kojan Ljalja. Quando arriviamo? Quanto manca?? Il paesaggio corre corre e comincio a riconoscere alcune case, le curve, ecco il cartello che dice Hrvac´ani. “Hrvac´ani! Hrvac´ani!”
Ma poi non mi sono precipitata fuori, c’era qualcosa di strano, c’erano delle bandiere nere appese sulla casa, era pieno di gente ed erano tutti in nero – ma allora è vero? – È morto. È morto. Lo so che è morto perché ho visto il nonno piangere. Anche Ljalja piange, no – grida, ed è tutta in nero e ci sono delle donne con lei, nere nere, e piangono anche loro; Milisava trema ed è magra come sempre e non ha il rossetto oggi. Stanno chiamando il papà e lo zio per vedere Kojan, anch’io voglio andare! Qualcuno mi prende per mano: andiamo da Kojan. Oh, ma è nella cameretta, la cameretta è solo per gli ospiti, e quello lì, una bara, ho sentito che dicevano “bara”. Eccolo Kojan! / PALLIDO / ora apri gli occhi e giochiamo all’aurotobus! / qualcuno mi preme con le mani sul petto / BARA / non riesco più a muovermi / quello è Kojan! / “NON LA RIVEDRÒ PIÙ” / sembra che stia male / … TELEFONO… LO ZIO… / Kojane otvori tvoje šarene ocˇi kao moje!, “Kojan, apri i tuoi occhi bicolori come i miei!” Un giorno una poesia per te scriverò Un giorno sulla tua tomba la porterò A una pietra in custodia la lascerò Con mamma e papà verremo insieme “Così la porterà via il vento!”, dirà la mamma “Lo so. Al vento essa appartiene”. Una volta il mio racconto interiore aveva un aspetto lineare e cronologico, al cui centro si ergeva l’esilio come un grosso bubbone che eruttava di tanto in tanto radendo al suolo tutta la vita circostante. Ora so che lineare non lo è mai stato. Lo strappo primario, che mi ha formato e forse non mi ha mai permesso di trasformarmi, è avvenuto prima. Un Piccolo esilio prima del Grande esilio, il quale a sua volta avrebbe contenuto un Altro esilio. È questo ciò che mi racconto, per adesso. Il dolore che si autogenera per autoerotismo e non riesce a smettere. Padre e madre della bulimia, della depressione, degli amori malati, della sregolatezza, del sogno dell’altrove, del misticismo, della poesia.