Autore
Matilde CestelliAnno
Inizio presunto: 1980-1989Luogo
RomaTempo di lettura
6 minutiNuvole di ricordi
C'è una qualità che, nelle precedenti generazioni era fortemente radicata e che, col tempo, si è verificata e dispersa: la solidarietà familiare. Oggi esistono tanti altri tipi di assistenza, come le numerose organizzazioni sociali, la protezione della giovane, dei bambini, dei barboni, le cose di riposo per gli anziani, oramai di troppo nell'ambito delle nuove famiglie, tutte iniziative indispensabili alla società che si è andata formando, certamente dirette ad un ben più largo strato di popolazione, ed è giusto che sia così., Ma il calore umano, la mano tesa, il sorriso, dove sono? Le cose che fanno bene al cuore, voglio dire, dove sono più? E mi piace qui ricordare come era applicata e vissuta la "solidarietà familiare" ai tempi della mia infanzia, sia nella mia famiglia che in tutte le famiglie che conoscevo, e di essa beneficiavano non solo i congiunti più prossimi, ma anche lontane biscugine la cui parentela si perdeva nella notte dei tempi. Ricordo, ad esempio, una vecchia signorina, un po' svampita, che indossava sempre, estate e inverno, dei lunghi tailleurs a redingote, figlia o nipote di non so quale cugina della nonna Giulia; unica variante invernale, un boa spennacchiato, color polvere ed un cappellino di feltro; l'estate, invece, il cappellino di feltro era sostituito da uno paglia marrone, guarnita da sgargianti fiori finti. Bene, la cugina Adele che, per tirare avanti aveva solo una modesta pensione e che viveva in una stanza a subaffitto da una famiglia "decaduta ma tanto perbene" come ci teneva a sottolineare, regolarmente, in giorni già stabiliti della settimana, si recava a pranzo da uno dei suoi numerosi se pur remoti parenti; in genere si aveva cura di offrirle un pasto sostanzioso di modo che, la sera, poteva concludere tranquillamente la giornata con una tazza di latte e qualche fetta biscottata. E questa affettuosa assistenza l’accompagnò per tutta la vita. Se la memoria non mi inganna, il nostro turno assistenziale cadeva di venerdì, e tutti i venerdì la cugina Adele suonava alla nostra porta, sì presentava col suo sorriso un po' svagato, col suo boa di piume o il cappellino di paglia marrone, a seconda della stagione, per dividere con noi l'immancabile fritto di pesce o di baccalà. Noi bambini le volevamo molto bene: io strimpellavo per lei il pianoforte, mio fratello le recitava le filastrocche; quando ci lasciava, la mamma le davo sempre un pacchetto con biscotti o marmellata e gli occhi un po' svagati di Adele ammiccavano affettuosamente verso di noi quando si congedava dicendo: Arrivederci a venerdì.
Macché! Sino a quando la zia Lalla non arrivò a dieci soldi, Sant'Antonio non mollò.
Una particolare attenzione merita tra i miei ricordi la zia Lalla, sorella del nonno Alessandro, donna impeccabile ed austera, il cui marito, Carlo De Sanctis era collega e collaboratore del cognato. Pare che lo zio Carlo fosse espansivo e generoso, ma la zia Lalla, no! À detta della mamma e delle sue sorelle era stata sempre tirata e "sparagnina", persino con i santi, ed a questo proposito mi fu raccontato un episodio che qui di seguito riporto, così come mi è giunto. La mamma e le sorelle, ancora spensierate ragazzette, assieme a buona parte della famiglia, erano andate in villeggiatura a "Porto d'Anzio" (come si chiamava allora); aderendo delle insistenti preghiere delle nipoti, un giorno la zia Lalla decise di portarle a fare una passeggiata in barca a vela, malgrado avesse una tremenda paura del mare. Ed eccole tutte imbarcate sul peschereccio di un marinaio che godeva della fiducia di zia Lalla, peschereccio che, dopo aver doppiato la punta del molo, si slanciò verso il largo. Forse il mare, che si sapeva non particolarmente amato dalla austera signora volle un po' divertirsi alle sue spalle oppure...cambiò improvvisamente vento tutto qui, ma, fatto si è che, arrivati fuori del piccolo golfo, là dove si potevano vedere solo le cime degli alberi di Villa Borghese, si alzò una marotta non pericolosa, ma certo troppo movimentata per i gusti della zia Lalla. Le ragazze, eccitate dal venticello e dall'aria marina, ridevano divertite, sotto i tranquilli e benevoli occhi del marinaio seduto a poppa, con il timone in nano e la "cima'" tra le gambe, non certo preoccupato per quelle modeste ondate. Ma la zia Lalla, no! La zia Lalla era preoccupatissima! Rannicchiata su uno dei sedili lungo ln fiancata della barca, le mani spasmodicamente strette sul bordo, si fece prendere da una vera crisi d'isterismo quando, fatto virare il peschereccio, il marinaio le consigliò di passare sul sedile di fronte. Una parola! La zia pretendeva di non lasciare "la presa" sul bordo destro, senza prima sentirsi solidamente ancorata sul bordo sinistro, il che era un'operazione disperata in quanto la lunghezza delle “braccia era inferiore alla larghezza dell'imbarcazione! Dovettero fare una specie di "catena" dopo di che la zia Lalla, sempre disperatissima poté rimettersi A sedere. Ma anche così non si sentiva affatto sicura; prima, per dar sfogo al suo malumore, cominciò a rimproverare le nipoti per averla indotta a fare quella "sconsiderata gita"; poi, la paura prese il sopravvento e cominciò le sue contrattazioni con Sant'Antonio, ma fedele al suo carattere, iniziò con una modesta offerta:
- Sant'Antonio mio, aiutaci tu...facci arrivare sane e salve... (evidentemente, la contrattazione non riguardava il marinaio) manderò due soldi per le orfanelle....Nessun risultato!
- Sant'Antonio...Sant'Antonio mio...quattro soldi...quatto soldi per le orfanelle...E Sant'Antonio, niente!
- Sant'Antò...sei soldi...otto soldi....Insisteva la zia, aumentando l'offerta.
Macché! Sino a quando la zia Lalla non arrivò a dieci soldi, Sant'Antonio non mollò. A quel punto, intuendo forse che non ne avrebbe potuto ricavare di più, il Santo permise che la barca giungesse finalmente nelle placide acque del porto, scivolando lungo l'ultima, blanda ondata.
Qualche anno dopo arrivarono per la zia Lalla giorni penosi; il marito si ammalò gravemente, con incerte speranze di guarigione e la zia, sperando che un cambiamento d'aria gli avrebbe giovato e malgrado già fosse iniziato l'autunno, lo accompagnò in un paesino del Lazio. Non ne ebbe nessun giovamento, povero zio Carlo, tanto che, vedendolo peggiorare, la moglie decise di riportarlo a casa. Con che mezzo, però? Far venire da Roma una carrozza - ambulanza?..Ma non lo avrebbe scosso troppo ? E la spesa..poi..Dopo vari conti e ripensamenti, la zia Lalla si decise per il treno.
"In fondo, si diceva, il viaggio sarebbe stato più breve e meno strapazzoso.!"
Il giorno seguente, quindi, dopo aver fatto salire a fatica il marito nello scompartimento, lo sistemò perbenino in un angolo, pregando fervidamente perché si arrivasse presto è felicemente a Roma. O le preghiere non furono sufficientemente fervide o l'ora del povero zio era inesorabilmente arrivata! fatto si è, che, ad un certo punto, zia Lalla si accorse che la testa del marito pencolava in avanti in modo innaturale: praticamente lo zio Carlo era morto. Che poteva lare, la povera donna? Chiamare il controllore? ...Far fermare il treno?....E allora, che sarebbe successo? Alla prima stazioncina lo avrebbero certamente tolto di lì...(e qui veniva fuori il lato debole della zia Lalla!)...Chissà che spesa ci sarebbe voluta per riportare la salma a Roma...Ormai era morto, poverino...e tanto valeva...Fu per questo concreto motivo che la zia imbacuccò ancor meglio il marito, lo puntellò alla sua spalla ed aspettò con angoscia la fine del viaggio. Purtroppo, poco dopo, una brusca frenata, un violento scossone del treno, fece pericolosamente scivolare la salma in avanti, mentre la sciarpa cadeva a terra...
-Oh Dio! ma quest'uomo è morto...urlò una signora che occupava il sedile di fronte....
Tra grida e trambusto arrivò il capo—treno, constatò il decesso, presentò le sue condoglianze alla zia e, fatto fermare il convoglio alla prima stazione fece portare salma e vedova nella sala d'aspetto di 1° classe. (Si era reso conto di avere a che fare con "gente di qualità!)
Nel frattempo era scesa la sera; dopo qualche rapido affacciarsi del personale di stazione alla porta della “sala”, attratto dall'inusitato spettacolo, zia Lalla, poverina, rimase praticamente sola in quello squallido stanzone, chiaroscurato dalla luce di due candele messe in cima e ai piedi della salma, rispettosamente deposta su uno degli sdruciti divani di velluto rosso. Impressionata dalla tacita presenza del marito, tutta rattrappita sul divano di fronte, la zia fu presa da malore....
Quando, all'alba, arrivarono sia il capo-stazione che i familiari prontamente avvertiti trovarono, non solo la salma dello zio, ma anche zia Lalla colpita da paresi.
E a questo punto può venire da domandarsi ma che c’entra tutto questo con la solidarietà familiare ? Ma si che c'entra! A seguito della paresi, la zia fu costretta a passare il resto della sua vita (venti anni!) su di una sedia a rotelle. Andò a vivere con lei una cugina, vedova anch'essa, che la assisteva con affetto. Ebbene, pur non essendovi una necessità pratica, le nipoti e i nipoti, a turno, per tutto il tempo che visse, andarono a trovarla ogni giorno per farle un po' di compagnia. E quando arrivarono i figli.». portarono anch'essi! Non erano certo spinti da motivi di interesse: la zia Lalla non era ricca; aveva una pensione che le permetteva di vivere decorosamente, tutto qui. Nei suoi precedenti rapporti con i parenti era stata spesso un po' pungente; non c'erano, quindi, particolari vincoli affettivi: ma la zia Lalla faceva parte della famiglia, era la sorella del nonno, e la FAMIGLIA, allora, almeno per quella generazione, non era una parola vuota di senso!