Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Leda Cossu

Anno

2012

Luogo

Nuoro/provincia

Tempo di lettura

10 minuti

Tracce femminili di lavoro e di vita

Cresciamo nella nostra identità per imitazione e per differenza. Il nostro corpo diventa a volte casa per i nostri figli, ma ancora più spesso è la nostra anima che diventa casa per i figli del mondo.

La cultura patriarcale dedica a noi donne "da sempre" i luoghi della cura del corpo per vivere: la famiglia e la casa. Sono care radici, ma noi donne ... sconfiniamo nel fiume della vita e nei luoghi del nostro passaggio, comuni agli uomini, lasciamo tracce femminili
Tracce femminili di pratiche cambiate, di pensieri diversi, di luoghi restituiti al vivere civile ... almeno nel tempo che abbiamo sostato lì.
Cresciamo nella nostra identità per imitazione e per differenza. Il nostro corpo diventa a volte casa per i nostri figli, ma ancora più spesso è la nostra anima che diventa casa per i figli del mondo.
Sono nata il 25 agosto del '47. La mia è una famiglia matriarcale, la grande presenza numerica femminile da generazioni ne ha influenzato la cultura. Siamo 4 sorelle (una è morta) più mia madre, siamo anche vicine di casa. Questo ha creato uno spirito di "borgo" con altri vicini di casa.
La mia generazione ha vissuto nella memoria del fascismo e della guerra, senza averla subìta direttamente, ma ne ha respirato il terrore e le mille strategie quotidiane per resistere. Ha visto elevarsi la partecipazione scolastica in una scuola ancora autoritaria. Generazione non solo biologica, ma come tempo storico che si accorcia e si dilata, accomuna esperienze, fino a separare i decenni in due metà: gli anni '50, la prima metà degli anni '60, la seconda metà, la prima e la seconda metà degli anni '70, gli anni '80, gli anni '90, dal '90 la storia la fanno i governi, gli affari, la globalizzazione, i poveri del mondo che arrivano a frotte seguendo una luccicante cometa virtuale, la TV, non solo in fuga,.
Le classi scolastiche elementari erano divise in classi dei poveri, con oltre 40 alunni per classe, e classi dei ricchi, con poco più di venti bambine. Non c'erano classi miste.
Mia mamma ritardò l'iscrizione. L'altra 1A  elementare aveva già oltre 40 alunne e capitai così con altre due sventurate nella classe dei ricchi, con la maestra Vilma Bampa, la stessa che rincorreva mio nonno Gustavo con le bòtte e l'olio di ricino perché aveva l'Unità in tasca.
In prima elementare avevo un solo pennino che regolarmente si spuntava. E dato che ero "povera'', come diceva ad alta voce, la maestra faceva pietose raccolte pubbliche in classe di penne e quaderni. Scoprii un volto della povertà umiliante che non apparteneva alla mia cultura famigliare. Ci dava dei nomignoli e fra i nomi di stelle e di fiori delle mie compagne,  chiamò me Maometto, forse per le origine sarde... o perché il nome di un infedele, o per il comunismo di famiglia, non so.
Ci puniva con la "decimazione", ogni 10 bambine ne puniva una. A chi arrivava per prima dava 12, man mano scalava... meno male che alle elementari non c'era ancora l'algebra con il sottozero.
Nella sua foga punitiva chiamava mia sorella più grande da un'altra classe e la obbligava a vedere quanto ero poco brava, dandomi voti vicini all'unità solo per rabbia. Voleva umiliarmi.
Ma c'era mia madre, tornata a casa le chiedevo di reinterrogarmi senza anticiparle nulla di quanto avvenuto in classe, lei mi confermava che sì, il passato remoto del verbo essere era proprio ... io fui, tu fosti egli fu... avevo scritto giusto. La Maestra era stata ingiusta.
Questo riequilibrio "autorevole" materno mi consentì di amare la Maestra comunque, con la consapevolezza che lei era fatta così, io non c'entravo nulla e neanche se "Maestra" poteva privarmi di quello che sentivo ed io mi sentivo brava, molto ricca, perché non erano i soldi a dare il valore alle persone. E sentivo che l'essere sarda era solo un'esperienza in più, molto importante.
Questo non mi risparmiò l'ansia di non arrivare ultima per non prendere 1 e il dolore per il clima autoritario che si respirava in classe, lo stesso che ritrovai in fabbrica.
E purtroppo a volte anche in Chiesa. Quando lavorai alla Nigi di Mogliano costituimmo un Gruppo di operaie, eravamo ospiti della Chiesa Parrocchiale, ma appena entravi in Chiesa c'era un manifesto affisso alla prima colonna dell'ingresso, con su scritto che ai comunisti era vietato l'ingresso in Chiesa e l'accesso ai Sacramenti, "una colpa" che avevo invece vissuto come orgoglio famigliare, lo trovavo una violenza gratuita.

La mia generazione non ha conosciuto l'obbedienza come un virtù, com'era al tempo del fascismo. Ho potuto prendere le distanze e a non confondere la sofferenza con la virtù cristiana. Ho imparato il valore della persona e a dire anche di no, senza sentirmi bastian contrario ... come vorrebbero insegnarci ancora oggi, da tutti gli angoli, nessuno escluso.

Anche all'Acsa, ai CA, nel '66 c'erano cartelli dappertutto, vicino al bagno e nei corridoi che dicevano all'incirca: "se due o più di due si soffermano a parlare nei luoghi di lavoro, nei corridoi e nei bagni .. è considerata un'adunata sediziosa".. non ricordo il resto, ma tanto basta. La prima volta che entrai io in una sede del Partito Comunista, anche se ero già di Lotta Continua ... mi tremavano le gambe. Non era la stessa cosa, gli studenti che frequentavo erano giovani come me, era un laboratorio di idee, il clima era informale. Toni Manotti era responsabile Cgil e fondatore della sezione Eugenio Curiel del PCI di fabbrica, mi aveva invitata con altri operai, se ne accorse e mi sorresse prendendomi sottobraccio e dicendomi ridendo: ma sai che i Comunisti non mangiano i bambini? Lo sapevo.. ma le gambe mi tremavano lo stesso, segno di come le cose le fai... ma che fatica. Gli anni 50 e 60 non sono stati gli anni '70, la mia è stata una generazione di mezzo, quella che ha costruito le basi sia della lotta che del dialogo.
La mia generazione non ha conosciuto l'obbedienza come un virtù, com'era al tempo del fascismo. Ho potuto prendere le distanze e a non confondere la sofferenza con la virtù cristiana. Ho imparato il valore della persona e a dire anche di no, senza sentirmi bastian contrario ... come vorrebbero insegnarci ancora oggi, da tutti gli angoli, nessuno escluso. Così il tempo lascia riaffiorare la cultura autoritaria, mai davvero superata, che nega le persone, la partecipazione ... e della quale siamo ancora intrisi.
Sono cresciuta per imitazione e differenza. Negli anni '50 gli uomini vivevano per lo più fuori casa: il lavoro, i luoghi della socialità ... erano "fuori". Le mie maestre di vita sono state donne, ma anche con loro sono cresciuta a volte per imitazione ed altre per differenza.
Ad 8-9 anni ho scelto di ricordare  La mamma era credente-frequentante, in una famiglia di comunisti la cosa era accettata, ma vissuta con un po' di disincanto che noi avvertivamo come mancanza di rispetto, non solo per la Chiesa, ma per i pensieri, per i sogni.
La speranza nei racconti della mamma aveva il volto di una nobile e maestosa Signora di nome Provvidenza, che ci avrebbe smTetto con grande Sapienza nell'agire quotidiano, "nostro".
La socialità e la solidarietà erano un modo di vivere.. se una vicina ha un bisogno .. si spegne la pentola e si accorre.
Eravamo tre sorelle, la quarta sarebbe arrivata dopo molti anni, nostro padre aveva preso il volo verso altri lidi. Da piccola, guardavo i padri delle mie arniche, nessuno di loro mi piaceva, ogni volta che ne incontravo uno consideravo uno scampato pericolo non averlo come padre. Mamma non ci parlò mai male di lui. Ci dette in mano le chiavi di un futuro possibile. "Un giorno", da grandi, saremmo andate noi da lui nel paese dei fichi d'India e l'avremmo conosciuto.

1948_Monte Gonari a Sarule (Nuoro)
1948_Monte Gonari a Sarule (Nuoro)
Gli uomini di oggi
son diversi, vicini,
più facilmente padri
cullano ipiccini.

L'immagine di un uomo
Lo vedrete verrà
c 'è una terra lontana,
colline, fichi d 'india
Lui vi pensa, vi ama ....
Io guardavo le amiche
ciascuna aveva unpadre,
ma avevano gli occhi seri
non ricordo le mani.

Stavano sempre inpiedi
spesso assorti, mai chini,
una grande fortuna
non averli vicini.
Cosìpensavo  allora
coi miei occhi bambini.

Nelle storie di mamma
c'era sempre un sovrano,
un uomo buono, un Dio
un Angelo per mano.
L 'immagine di un uomo
ci ha indicato una via,
volto Santo, o Ideale
faceva  compagnia.

Gli uomini di oggi
son diversi, vicini,
più facilmente padri
cullano ipiccini.
In ogni storia di donna
cammina un uomo accanto,
che sia padre, o siafiglio
a volte solo un rimpianto.
Non ne siamo padrone,
brevi tratti, una vita
teniamogli aperto il cuore.

Leda, 2003

1952_Mamma Luciana, Giancarla,Leda e Maria sull'argine del Ponte del Vaso
1952_Mamma Luciana, Giancarla,Leda e Maria sull'argine del Ponte del Vaso
1950_Zie e cugine sulle rive della Brenta a Dolo
1950_Zie e cugine sulle rive della Brenta a Dolo
Le donne di casa hanno curato i vicini di casa e i loro animali da cortile, prestato le braccia per il raccolto dei campi, nutrito i bachi da seta con le foglie di gelso, cucito "papusse e zavate", in casa e nei laboratori artigianali , vendute ai mercati con il piumino d'oca.

La mia famiglia materna ha abitato Venezia e gli argini della Brenta: luoghi di vita e di lavoro che ha amato e protetto come luoghi di amore e di relazione.

 La Brenta è unfiume, un cortile per le oc/te,
un bacino dipesca,
un traghetto per prendere la Vacca Mora,
un campo per giocare
una via d'acqua
(via Brenta Bassa, Dolo, dal 1870)

Le donne di casa hanno curato i vicini di casa e i loro animali da cortile, prestato le braccia per il raccolto dei campi, nutrito i bachi da seta con le foglie di gelso, cucito "papusse e zavate", in casa e nei laboratori artigianali , vendute ai mercati con il piumino d'oca. Mamma ha lavorato in fabbrica e come doppio lavoro sarta in casa, esentata per questo dalle incombenze domestiche. Le donne di casa, nonna Virginia Zabeo, hanno traghettato di qua e di là dalla Brenta scolari e soldati fino alla stazionetta di Casello 12 che raccoglieva sulla via dei campi e dei fiumi gli operai e le operaie per Porto Marghera e Venezia. Col remo, nonna Virginia ha salvato improvvidi nuotatori e si è difesa da avances inopportune. Gli uomini di casa sono stati restauratori del legno, braccianti, operai ... e idealisti. Un Zabeo, dicono Conte, ha prosciugato il suo patrimonio per seguire gli ideali
Napoleonici nel breve periodo che Napoleone è passato per Venezia. Napoleone ha venduto Venezia al nemico storico, l'Austria, l'avo è rimasto in braghe di tela, ma i suoi ideali illuministi hanno inciso tracce genetiche nelle future generazioni di famiglia.