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Autore

Bruno Travaglini

Anno

1994

Luogo

Siena/provincia; Grosseto/provincia

Tempo di lettura

7 minuti

Un luogo, un tempo

La notte passò insonne, rotta dai pianti, dalla disperazione, dalle speranze.

Scese lentamente la sera ed al crepuscolo uscimmo tutti fuori per salutare i nostri e vederli partire. La colonna dei prigionieri: padri, mariti, figli, scortata da un nugolo di militari, si incamminò lentamente sulla strada che conduceva fuori dal villaggio mentre Il resto dei soldati ci teneva a debita distanza. Il babbo marciava in coda alla colonna vicino all'amico Nazzareno. Adriana facendosi largo fra i soldati riuscì ad avvicinarsi a loro e gridò:

- Santoni stai insieme al mio babbo, non lo lasciare. -

- Stai tranquilla staremo sempre insieme e torneremo - rispose sorridendole il Santoni, mentre il babbo salutando con la mano ripeteva - Torneremo, torneremo presto.Le donne, piangenti, agitavano le mani, cercando di scorgere o di farsi scorgere dai mariti e dai figli che venivano portati via. Corremmo giù per gli orti, inseguiti dai soldati, cercando di raggiungere il corteo dei prigionieri per un ultimo saluto. Intanto i fascisti del paese, che erano ritornati assieme ai tedeschi, avevano caricato le loro masserizie sui camion militari e se ne erano andati con loro. La notte passò insonne, rotta dai pianti, dalla disperazione, dalle speranze. Il mattino seguente, donne e ragazzi ci riversammo nelle strade nella vana speranza di avere notizie sulla sorte dei nostri familiari. A questo scopo, il direttore della miniera fu spinto e recarsi a Castelnuovo, mentre noi ci mettemmo alla ricerca dei corpi dei fucilati il giorno precedente. Trovammo le loro tombe dietro cespugli di ginestre, ai margini del campo di calcio e le coprimmo di fiori, nell'inconfessabile terrore che quella tragedia potesse moltiplicarsi a dismisura. Le donne, mogli e mamme dei deportati, andarono a portare consolazione al dolore più grande delle mogli e delle madri dei fucilati. Alle venti di quella sera di giugno, mentre la natura dava il meglio di sé, apprestandosi ad un meraviglioso tramonto, gli uomini scrissero una delle pagine più vergognose e crudeli della loro storia. A quell'ora tutto era già avvenuto e quando scese la sera, la gente, ignara, lasciò il piccolo cimitero nel campo sportivo e si ritirò nelle case, angosciata, ma ancora piena di speranza.

- Non ti fermare, se continuerai a correre lo troverai, se non perdi la speranza lo salverai.

Al mattino del giorno quindici, di nuovo tutti fuori in cerca di notizie. Dove saranno? Saranno ancora a Castelnuovo? li faranno lavorare alla centrale elettrica? Scaveranno trincee? Queste le domande che rimbalzavano da un gruppo di persone ad un altro. Ci eravamo riuniti di fronte alla dispensa, sotto il sole che già picchiava forte, aspettando che qualche cosa accadesse, quando vedemmo arrivare la macchina del direttore della miniera. La vettura si fermò in mezzo alla folla improvvisamente ammutolita. Lui scese pallido e stravolto e, alle domande concitate delle donne rispose: - Pregate per i vostri cari, sono in grave pericolo.

- Cosa vuol dire sono in grave pericolo? Perché lei li ha lasciati soli?

- Non c'era altro da fare! Pregate...Pregate. - Fu la risposta.

Qualcuno, cominciò a capire ciò che la coscienza ed il cuore non volevano accettare. Ci furono lunghi attimi di incertezza, poi una voce gridò:

- Sono morti, li hanno ammazzati tutti. - La folla sbandò sotto l'effetto di quel grido. Altre voci urlarono:

- Non è vero! Non è possibile!

Il direttore, approfittando del panico che si era impadronito della folla, risalì sulla macchina e partì velocemente.

Le donne si stringevano l'un l'altra urlando e piangendo. Avevano formato un ammasso che oscillava avanti e indietro. Noi ragazzi guardavamo sbigottiti ed increduli.

- Cosa fanno! Che dicono queste donne?

- Sono morti!

- E chi l'ha detto?

- Il direttore!

- Io non ho sentito!

- Guardate! Guardate laggiù in fondo alla strada, ritornano, sono vivi! vivi!

Tutti volgemmo lo sguardo. Era vero, erano loro, i nostri. Sbucavano dalla curva e venivano avanti sul fondo della strada a piccoli gruppi di due, tre persone.

- E' lui, è mio marito.- gridò una donna.

- Quello è il mio babbo. - disse un ragazzo.

- Ritornano, ritornano.

- La gioia mise le ali ai miei piedi, corsi giù per la strada incontro al primo gruppo di tre uomini, fra loro c'era il Vagini, un amico del babbo, mi fermai a chiedere:

- Dov'è il mio babbo?

- Non lo so, sarà più indietro, abbiamo camminato tutta la notte.

In quel momento arrivò trafelata la moglie. Lui l'abbracciò lungamente scoppiando in un pianto dirotto. Rimasi sconcertato da quel pianto, ma ricacciai i brutti pensieri e continuai a correre incontro al babbo. Correvo, correvo, incontrando altri paesani a due, a tre. Chiedevo notizie e loro rispondevano. - Sarà più indietro. - Ma quelli che rientravano si facevano sempre più rari ed il babbo non si vedeva.

- Avanti Bruno, corri, corri, dietro quella curva lo vedrai.

- No! Non c'è, sarà dietro l'altra. Niente, niente, perché?.

- Non ti fermare, se continuerai a correre lo troverai, se non perdi la speranza lo salverai. Cosi diceva il mio cuore ed io correvo avanti per la strada bianca sempre più deserta. Corsi per chilometri, la strada non la conoscevo più. Da tempo non incontravo più nessuno. Mi fermai ansimante sul ciglio della strada, il cuore mi martellava nel petto e nella testa si agitavano oscuri pensieri e poche speranze. Passò una motocarrozzetta tedesca fra un nugolo di polvere. Decisi allora di tornare indietro, forse il babbo conosceva una scorciatoia ed era passato di là. L'avrei trovato a casa. Così dicevo a me stesso cercando di cacciare il macigno che avevo nel cuore. Feci lentamente a ritroso la strada che avevo fatto correndo pieno di speranza. Giunsi al paese. La gente piangeva e correva qua e là come formiche impazzite quando  gli distruggono il nido. Non chiesi niente a nessuno e tirai dritto verso casa. A casa il babbo non era arrivato. La mamma e i fratelli piangevano, anche il bambino in

collo alla mamma strillava forte.

- Bruno, Bruno, dove sei stato? Mi interrogò mamma. Il tuo babbo è morto. Quelli scritti in quella maledetta nota li hanno ammazzati tutti.

- Non è vero! Non ci dovete credere, il babbo sarà rimasto indietro per la strada e presto tornerà a casa.

- No! Non tornerà, è già morto, sono tutti morti, l'hanno detto quelli che sono ritornati. Adriana seduta sulla panchetta, dondolandosi avanti ed indietro, ripeteva fra i singhiozzi:

- Quel sogno era vero, era tutto vero....

Allora mi arresi, andai in camera, mi sdraiai sul letto e piansi, mentre fuori il paese intero urlava il suo dolore.