Autore
Bruno TravagliniAnno
1994Luogo
Siena/provincia; Grosseto/provinciaTempo di lettura
6 minutiUn luogo, un tempo
La sera del dodici giugno stavo con gli amici seduto sul muretto del rifugio antiaereo di fronte alla caserma, occupata ora dal comitato che organizzava gli operai, quando sulla porta fu affisso l’elenco di chi, per quella notte, avrebbe dovuto fare il turno di guardia. Mi alzai dal muretto ed andai a leggere l’elenco. Era scritto a mano, con inchiostro rosso e nella lunga lista figurava anche il nome del babbo. Rimasi sorpreso e corsi a casa ad avvertirlo. Lo trovai in camera con il bimbo in collo. Sei nella nota per i turni di guardia di questa notte - gli dissi precipitosamente. Lo vidi cambiare espressione, il volto sorridente che aveva nel guardare il bambino si fece severo. Posò il bambino nel letto accanto alla mamma e uscì di casa. Dopo un'ora il babbo tornò. - Questa notte dovrò partecipare ai turni di guardia, rientrerò a casa domattina alle cinque - disse. La mamma lo guardò senza profferir parola. Il mattino seguente il paese fu svegliato da spari e raffiche ininterrotte di armi automatiche. Saltai dal tetto, anche Adriana e Beppino si erano svegliati e mi guardavano impauriti. Corsi in cucina, il babbo che era da poco rientrato ii casa dal turno di guardia, si era alzato rivestito, anche la mamma era in piedi. - Che succede? - chiesi. - Non so, tutto era tranquillo, ora vado a vedere e torno. Tu non ti muovere - mi rispose. - Marsilio, Marsilio, non andare, non uscire di casa - Nella voce di mamma c'era una grande preoccupazione. - Non aver paura, torno subito e state calmi - Dette questa parole il babbo uscì. Dopo qualche minuto la sparatoria rallentò di intensità. Ci furono ancora col più isolati, poi silenzio assoluto. Di lì a poco il babbo rientrò in casa. - Ci sono i tedeschi e i fascisti, sono entrati da ogni parte sparando per impaurire ma per ora non è successo niente di grave, state tranquilli, non hanno motivo per farci del male.
 
Malgrado queste parole vedevo che il babbo era preoccupato. Forse, in quel momento, stava pensando che aveva visto giusto, quando si era opposto ai compagni. La mamma cominciò a piangere silenziosamente, mentre seduta sul letto allattava il bambino. Ad un tratto le grida di una donna ruppero quel silenzio innaturale dopo gli spari. lo approfittando dell'assenza del babbo dalla cucina, uscii di casa e scesi in strada. All’ultimo piano del palazzo, sulla terrazza che correva lungo tutta la facciata, un gruppo di soldati spingevano colpendoli con il calcio dei fucili, Ettore, il suonatore di trombone e suo figlio Aldo, mentre la moglie urlava trattenuta dai soldati. Quando uscirono dall'androne delle scale, Ettore barcollava e sanguinava alla testa. Altra gente era uscita di casa ed assisteva alla scena. I fascisti puntarono i fucili contro di noi, ordinandoci di rientrare in casa. Passò un'ora senza che succedesse niente. Poi, il babbo, che guardava fuori attraverso le stecche delle persiane ancora chiuse, disse - Eccoli! Salgono le scale, state calmi. Noi stavamo al primo piano e la nostra era la prima porta a sinistra salendo. Due colpi forti alla porta ed una voce autoritaria intimò: - Aprite! babbo aprì la porta. Un ufficiale tedesco, alto, giovane, occhi chiari, armato di una pistola che teneva con la mano guantata, to spinse al centro della stanza mentre due militari fascisti, armati di fucile, entrarono dopo di lui mettendosi a rovistare ogni posto. L'ufficiate, sempre spingendo il babbo, seguì i due fascisti che erano entrati nella stanza dove dormivamo io ed i miei fratelli. I soldati buttarono all'aria letti, rovistarono nei cassetti e in ogni dove cercando qualcosa che potesse accusarci. Poi, il tedesco aprì la camera della mamma, la vide seduta sul letto con il bambino in braccio, ebbe un attimo di esitazione e richiuse la porta senza entrare. Finita la perquisizione se ne andarono di casa portandosi via il babbo. Prima di essere spinto fuori della porta lui cercò di calmare la nostra ansia dicendo che l'avrebbero rimandato a casa presto, di tranquillizzare la mamma e dare, per lui, un bacio al bambino. Ma io lessi nei suoi occhi che quella non era to verità. Nei suoi occhi c'era l'ombra della disperazione, come se quella fosse l’ultima volta che varcava quella soglia. Non lo avevo mai sentito pronunciare una parola dura, perché il suo vocabolario non conosceva parole dure. Lo avevo visto sempre sereno, perché il suo animo per natura era sereno. Non lo avevo sentito mai alzare la voce, perché lui non voleva convincere alcuno alzando la voce. Ma ora vedevo nel suo sguardo l’angoscia, perché, pur essendo un buono, non era ingenuo e sapeva di cosa sono capaci gli uomini quando odiano e che essere innocente non è di per sé garanzia di salvezza in momenti come quelli. Si! Il babbo quando fu spinto fuori di casa era consapevole del pericolo che correvamo tutti e che quello che ci aveva detto era solo una pallida speranza. Ci precipitammo in camera di mamma: - L'hanno portato via, ha detto di stare tranquilli che dopo un controllo lo rimanderanno a casa. Ho paura che non rivedremo più il vostro babbo - disse lei singhiozzando. Quelle parole mi gelarono il sangue. Tutto il palazzo fu rastrellato e gli uomini e i giovani portati via di casa furono radunati provvisoriamente sotto la quercia all’angolo della strada. Nella famiglia accanto, quella di Ada, avevano portato via oltre che il padre anche il figlio Silvano che aveva quindici anni. La stessa cosa avveniva in tutto il paese. Alle nove del mattino il rastrellamento era completato e i tedeschi e i fascisti si trovarono nelle mani non meno di 160 persone. [...]