18 dicembre 2024: Giornata Internazionale dei Migranti
Un percorso per ricordare coloro che lasciano il proprio Paese per cercare protezione, sicurezza, opportunità migliori o semplicemente una vita dignitosa e libera: siamo tutti parte di un'umanità in movimento e ogni storia di migrazione contribuisce a tessere la trama comune della nostra società.
Mamadou ha trentadue anni quando decide d’intraprendere il viaggio che la sua gente chiama il Viaggio della Morte o della Vita Migliore. Un viaggio che, comunque vada, è morte prima della morte. Nel 2016 Mamadou diventa un candidato, è così che chiamano le persone che decidono di affrontare il viaggio, come se si trattasse di un concorso, anche se è un viaggio durante il quale la loro vita non ha nessun valore, se non i franchi cfa o i dinari che i trafficanti cercano nei loro abiti per mezzo di torture. Trafficanti, corrispondenti, passeurs, taxisti, traghettatori, guardie costiere: tutta l’umanità disumana che sta tra loro e la terra promessa, che non è una terra, ma un mare, il mare Mediterraneo, blu, affascinante, immenso.
Sono candidati per motivi diversi: c’è chi fugge guerre di religione, chi si allontana dalla famiglia per nascondere l’orientamento sessuale, chi si sottrae a un destino segnato dalla miseria. Tutti inseguono un sogno. E forse è per questo che ognuno porta con sé il vestito più bello, per far bella figura all’arrivo, perché all’arrivo c’è sempre un sogno e se si arriva, si vince.
Ma il viaggio, come ogni viaggio, ha le sue regole. E così la narrazione si trasforma in una testimonianza dettagliata del “sistema” di sequestro dei migranti orchestrato spesso da ex migranti o futuri candidati, invischiati nell’economia del traffico di vite umane per trovare le risorse necessarie per affrontare il viaggio o tornare a casa. Un sistema fatto di luoghi di detenzione arbitraria, “ghetti”, che accomunano il deserto, il mare e la terra promessa, in un unico universo concentrazionario di sfruttamento e violenza.
Mamadou però si definisce un candidato fortunato: dopo sofferenze, umiliazioni, torture, tentativi mancati, riesce a prendere il mare e ad approdare in Italia. Lampedusa, Catania, Foggia e poi Manfredonia, dove oggi lavora come attore in una compagnia teatrale.
Un’identità, anzi due, fuse in una sola. Houda è una tela sulla quale il padre proietta il suo sogno, un sogno che prende la forma dell’esilio, all’inseguimento di una luce: l’Italia.
Houda ha quattro anni quando con la madre e la sorella raggiunge il padre in Lombardia. La scelta del padre plasma la sua identità: l’Italia è per lui l’uscita dal labirinto, per lei l’inizio.
E allora è necessario scegliere un terreno fertile per fare attecchire le radici. E questo terreno per Houda sono le parole della lingua di Montale. Le parole devono essere scritte, ma anche declamate. E allora fogli, microfoni, palchi, per un’unica missione: il riscatto, il suo, ma ancor più quello del padre, che ama l’Italia di un amore a senso unico, lui, l’uomo a cui hanno rifiutato la benzina il giorno in cui ha finalmente potuto permettersi un’auto. Sta a lei prendere posizione, testimoniare, raccontare, fare da contrappeso a quell’uomo, lei salda a terra, mentre lui sta sospeso dall’altre parte del filo: “lui lavorava e io studiavo con la stessa diligenza, un sogno parallelo, senza sapere che fossi io il suo sogno…” . E allora Houda fa sue tutte le battaglie, rincorre le opportunità, avanza più veloce degli altri. E come un’atleta prende la rincorsa e partecipa a premi letterari, integra la facoltà di Giurisprudenza, il Network Italiano dei Leader per l’inclusione, quello di Religion for Peace e infine il gruppo Studenti musulmani dell’Università Statale di Milano. Ma ancora il sogno non è compiuto, perché il libro che contiene il racconto del padre non è ancora stato scritto.
“Scrivilo”, le dice lui ogni giorno.
Lireta deve smettere di studiare e sposarsi con l’uomo che suo padre ha scelto per lei, ma si ribella e - mentre assiste alla caduta del regime di Enver Hohxa e il suo paese precipita nel caos - Lireta scappa di casa. Dopo alcuni tentativi, approda in Italia su un barcone. Lireta racconta la sua storia: quella di una donna che ha il coraggio di ribellarsi per non rinunciare alla felicità.
Marsiglia, 2010. Sono gli ultimi giorni dell’anno, quei giorni di festività durante i quali le famiglie si riuniscono, anche quelle distanti, e si preparano ad accogliere ciò che verrà. Paule ha 26 anni, sta tornando a casa dall’Italia, dove ormai vive, per passare il capodanno con genitori e sorelle. A casa la situazione non è facile: dopo trentasei anni di vita comune e tre figlie, il rapporto dei genitori è arrivato al capolinea, la madre se ne è andata di casa scompaginando tutti gli equilibri, anche quelli tra le figlie, che hanno deciso di vivere lontane le une dalle altre.
Paule è la prima ad arrivare a casa del padre, la tensione è palpabile, i movimenti sono misurati, gli spazi comuni contingentati. Una telefonata irrompe nella geometria del rancore: Odette, la sorella più grande, è venuta a mancare nella notte. È proprio Paule a ricevere la notizia e a doverne informare prima il padre, poi la madre e infine l’altra sorella. Incredulità, pianti, dolore.
Il lutto sconvolge la vita di Paule, ma le dà anche l’opportunità di guardarsi dentro, di fare i conti con il proprio presente e con ciò che di esso desidera cambiare. Restare a Marsiglia presso i genitori per accompagnarli nel lutto o andare sempre più verso sé stessa? La risposta è semplice, Paule torna in Italia, trova un lavoro, inizia una terapia. E da quel momento comincia a dipanare il filo, a ripercorrere la sua storia, e affrontando il lutto, si ritrova ad affrontare sé stessa, le sue origini, il suo rapporto con i genitori immigrati, sempre “sull’orlo di due mondi”, in un equilibrio instabile tra la cultura del paese di accoglienza e quello di origine. I genitori non hanno mantenuto legami forti con il Camerun e forse sta proprio a Paule ricostruirli per poter ricostruire sé stessa. Ed è così che alcuni anni dopo, sempre durante le feste natalizie, Paule parte per Yaoundé, dove è nata, e lì viene accolta da nonna, zii e cugini. Il Camerun è “uno tsunami emotivo”, una presa di coscienza delle condizioni della famiglia rimasta al paese, delle loro abitudini e dei loro valori, dei propri privilegi in quanto cittadina europea, ma anche del percorso impervio che hanno dovuto affrontare i genitori per partire, affrancarsi e ricostruirsi senza mai sentirsi davvero accolti. Quel viaggio, proiettandola in una dimensione estranea e familiare al tempo stesso, permette a Paule di completare il percorso di guarigione dal lutto, di conoscenza e di riconciliazione con le sue origini. E forse non è un caso che Paule abbia deciso di vivere in Italia, né luogo di nascita, né paese di appartenenza, né Camerun, né Francia, ma terra d’approdo personale; come se solamente in quel solcare ripetutamente il confine fosse possibile recuperare un’intimità con i genitori e con sé stessa; come se solo in quella terra scelta fosse in grado di decidere chi vuole essere davvero, circondarsi di una famiglia d’elezione e non di sangue, accettare le proprie origini, andarne fiera e sentirsi forte di quell’identità che è danza tra più mondi.
Perché i francesi possono entrare in Senegal senza il visto e Mouhamadou per andare in Francia deve averlo?
Cosa vuol dire? Perché? Perché?
A queste domande Mouhamadou Lamine Dia non trova risposta e, per riparare l'ingiustizia, commette un gesto di rivolta che diventa un modo per manifestare il suo disaccordo sia alle autorità francesi che a quelle del suo paese, un paese che non si ribella e accetta l'inaccettabile.
Alba è il frutto di tre generazioni di donne emigrate. Dove iniziare per raccontare la sua storia? Dalla radice dell’albero, la nonna, dal suo tronco, la madre o dal suo frutto, sé stessa?
Alba vive in Italia, dove svolge il servizio di volontariato europeo e lavora per aiutare i richiedenti asilo, ma la sua bisnonna materna, la bisnonna Luisa, è nata in Argentina ; sua figlia, la nonna Rogelia, è nata in Galizia, in Spagna ; la figlia della figlia, la madre María Elvia, è nata a Bogotá, in Colombia, dove è nata anche Alba.
In occasione di un viaggio di studio in Europa, Alba si ritrova in Spagna: la curiosità turistica cede in fretta il passo a un viaggio della memoria e le dà l’occasione di riflettere alla propria storia e a quella della propria famiglia.
Seydi lascia Cuba per lavorare come ballerina in Italia. Può restare sei mesi fuori dal paese, ma scaduto questo termine, decide di non rientrare e inizia per lei una nuova vita italiana.
Brandon, nato a Boston nel 1994, ha scelto l’Italia come sua seconda casa. Dopo un anno di studio a Padova nel 2013-2014, si è stabilito definitivamente nella città veneta nel 2017 per frequentare l’università. La sua conoscenza della lingua italiana, studiata a Boston, fin da piccolo, gli ha permesso di integrarsi rapidamente tra studio, nuove amicizie e amore.
Si è laureato con una tesi sulla letteratura italiana postcoloniale all’Università di Padova e ora è all’ultimo anno del dottorato di ricerca all’Università di Cagliari, dove studia la letteratura della diaspora etiope, con un focus sugli autori etiopi-americani. Nonostante Brandon si senta profondamente legato a entrambi i suoi mondi - americano di nascita, italiano di adozione - la sua testimonianza denuncia momenti difficili legati al razzismo subito in Italia.
Ndeye Mariéme è nata in Senegal nel 2005. Arriva in Italia nel 2021 per raggiungere la madre, grazie al ricongiungimento familiare. La scelta di partire non è stata facile, ma ora è felice della sua nuova vita.
Ndeye Mariéme lascia guidare le sue scelte da tre grandi passioni: la famiglia, che resta il pilastro più importante; lo sport, dove eccelle come campionessa di kung fu; e lo studio, con un amore particolare per le lingue straniere. Studentessa brillante e atleta energica, Ndeye Mariéme affronta ogni sfida con forza e curiosità, felice della nuova vita in Italia e delle opportunità di crescita e confronto che le offre.
Maria Pia è nata in Perù nel 1995. E' arrivata in Italia spinta dalla volontà di migliorare la propria vita, su suggerimento della zia. Nei suoi primi quattro anni a Como, ha trovato lavoro come commessa, stretto amicizie sincere e si è dedicata con impegno al volontariato. Ogni giovedì sera aiuta i senzatetto con la rete solidale Como Accoglie, portando cibo, vestiti e coperte.
Nonostante il dolore per la perdita della madre e dello zio a causa del Covid-19, affrontato a distanza, con il supporto del fidanzato, Maria Pia guarda avanti con fiducia. Sogna di diventare scrittrice e continua a impegnarsi per il bene della comunità, contribuendo a progetti che sostengono i giovani migranti verso l’autonomia.
Fin da piccola, Lilith è costretta a vivere ai margini di una società patriarcale che impone alle donne il silenzio, l’obbedienza e l’invisibilità. Nata in una famiglia povera del Bangladesh, vive un’infanzia segnata dalla violenza di un padre crudele e da discriminazioni profonde, dove essere donna significa essere inferiore, indegna, un peso.
Ma Lilith non si rassegna a un destino già scritto. La sua curiosità, il suo coraggio e l'amore per la libertà la spingono a sfidare le norme e i pregiudizi. Incontri, sogni e piccoli gesti di ribellione la aiutano a scoprire una forza interiore che non sapeva di possedere. L’amore per sua figlia Joy, è una luce nelle tenebre, che le dà il coraggio di opporsi a un sistema che la vorrebbe schiacciata e silente.
Crescendo, Lilith affronta abusi, umiliazioni e la perdita dell’innocenza. La sua ribellione la porta a pagare un prezzo altissimo: abbandonare la sua lingua, la sua famiglia e la sua terra pur di conquistare la libertà. Quello di Lilith non è solo il racconto di una vita travagliata, ma anche una riflessione profonda sul valore della resistenza individuale e sulla possibilità di cambiamento. La voce di Lilith è scomoda ma ci ricorda qualcosa di essenziale: la dignità non dovrebbe essere una concessione, ma un diritto universale.
Chisinau, 2016. Liudmila ha 19 anni. Per i suoi compagni quelli sono i giorni della maturità, ma per lei è l’inizio di una seconda vita. Di lì a una settimana partirà per l’Italia, dove l’aspetta la madre, che è partita tredici anni prima, quando Liudmila di anni ne aveva solo sei.Da allora Liudmila l’ha rivista una volta e di anni ne aveva già il doppio. Di lei ricorda gli abiti del giorno della partenza, un maglione rosso e dei pantaloni di velluto nero: “vestiti non ne aveva altri, ma era bellissima”. La madre parte per offrire un futuro migliore a Liudmila e alle sue due sorelle, Liudmila lo sa, immagina e ripercorre in dettaglio, con premura, le sofferenze della madre in quel paese straniero. Ma sa anche che con lei se ne va la sua infanzia. Quando Liudmila arriva in Italia riconsidera la sua età: si sottrae gli anni che ha passato lontana dalla madre e da sé stessa, quelli in cui si è sentita in esilio dai nonni, perché cosa si può considerare “casa”? “Il posto dove c’è la mamma, dove trionfa l’amore!”.
Perugia, 2016. Maia ha 29 anni, la figlia Mariam 8. Insieme hanno un sogno: comprare una casa piccola piccola, che chiameranno dreamhouse, nella quale potranno vivere insieme felicemente per tutta la vita. Il loro paese non permette loro di realizzare questo sogno, così partono alla volta dell’Italia, dove Mariam potrà avere una cameretta piena di libri e un cane di nome Beethoven, come desidera. Arrivano a Perugia, eseguono le formalità per ottenere il permesso di soggiorno, ma dopo qualche mese si devono già separare. Maia deve lavorare e non ha aiuti sul posto, non sa come occuparsi di Mariam. Allora Maia spiega a Mariam la situazione e si fanno una promessa: lotteranno insieme, Maia in Italia senza Mariam, Mariam in Georgia senza Maia. E così fanno. Maia si trasferisce in Toscana, lavora a San Giminiano come badante per Luciana, una signora di 86 anni. Da quel giorno la vita di Luciana diventa quella di Maia, si addormentano insieme, si svegliano insieme, mangiano insieme, vanno insieme ovunque. Maia sente la mancanza di Mariam, dei genitori, dei colleghi, del paese, ma in Italia sta bene e con il tempo si rende conto che sta ritrovando sé stessa: comincia a leggere, a studiare, a conoscere nuove abitudini, luoghi, persone. Una sera a una festa incontra Andrea, è il colpo di fulmine. Lui conosce la Georgia e le dà forza, la fa sentire accolta, Maia prende il diploma di scuola media, migliora il suo italiano, chiede il diritto d’asilo. Le viene rifiutato due volte, ma Maia non si arrende, perché non ha dimenticato il suo sogno, la cameretta di Mariam e il cane Beethoven. Gli anni passano, Maia non smette di lottare, sposa Andrea e mantiene la promessa: fa venire Mariam in Italia, compra una dreamhouse a Colle Val d’Elsa e tutti e tre insieme accolgono una nuova vita, Matilde Lia, nata il 17 giugno 2020.
Laura nasce in Romania nel 1993. Cresciuta in un contesto che fin da piccola la vuole conformata al tradizionale ruolo di moglie e madre, Laura sceglie di dare importanza ai propri bisogni e desideri, cercando una strada autonoma verso la realizzazione personale. Uno dei passaggi più significativi della sua vita riguarda una relazione complicata, che decide di chiudere per non sacrificare i propri sogni a un futuro che non le appartiene.
Nel 2019, un’esperienza di stage a Strasburgo presso una struttura dedicata alla storia delle istituzioni europee accende in lei la passione per la scoperta del mondo e delle sue complessità. Oltre allo studio, l’interesse per la fotografia diventa una finestra per esplorare e comprendere la realtà che la circonda.
La storia di Laura è un racconto di determinazione, coraggio e ricerca della libertà: un viaggio verso l’autenticità e l’affermazione personale, un invito a seguire con fermezza le proprie aspirazioni senza paura di rompere con le aspettative imposte dalla famiglia e dalla società.
"Il Piccolo esilio è la mia psiche scissa e travagliata dalla paura dell’abbandono e a sette anni già malata di nostalgia, il Grande esilio è la ripetizione e l’amplificazione del dolore del Piccolo e il suo irradiarsi nel mondo. L’Altro esilio è invisibile e afono, quello che mi ha impedito di guarire dagli altri due, il loro rinascere ciclicamente come la parte amputata di un organismo che ricresce sempre".
La vita di Mihaela è una storia d'esilio, un esilio che prende forme diverse e suscita sentimenti distinti, un esilio che lei ama suddividere in Piccolo, Grande, Altro.
Nata nel 1980 tra la Bosnia e la Croazia, trascorre l'infanzia in un contesto difficile e la nostalgia, da quel momento, la accompagnerà per sempre.
Lo scoppio della guerra nei Balcani nel 1993 segna una svolta dolorosa: Mihaela si trasferisce in Trentino, lasciandosi alle spalle una terra lacerata dal conflitto.
Firenze diventa per quindici anni la sua città adottiva. Qui sviluppa un talento da autodidatta nella creazione di maschere in cartapesta, che espone in numerose mostre. La sua creatività non si ferma, nemmeno davanti alla voce interna che le dice: “Tu non puoi avere quello che desideri, tu non sei come gli altri, tu non-sei”. Mihaela esplora allora la linoleografia e dà voce ai suoi pensieri più profondi attraverso la poesia. La scrittura diventa una delle sue passioni più intime, una forma di espressione e di testimonianza.
Nel 2019, il suo talento letterario viene riconosciuto con la vittoria al Concorso Nazionale di Letteratura Italiana Contemporanea. Quattro anni più tardi, il racconto Quel che dorme sotto le unghie viene pubblicato nell'antologia Bella per sempre (Volturnia Ed.), in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Oggi Mihaela vive a Torino e continua a reinventarsi: studia tecniche ceramiche e aggiunge così un nuovo capitolo alla sua storia, artistica e personale.
Thierno Sadou arriva in Italia da solo nel 2017, a soli 13 anni. È nato in Guinea nel gennaio 2004. Figlio unico, nel suo Paese d’origine frequenta la scuola fino al 2014, anno in cui il padre muore e iniziano per Thierno e sua madre difficili problemi economici. Thierno capisce molto presto che in Guinea non ha altre possibilità se non quella di un lavoro duro e faticoso, in con- dizioni spesso inumane e senza alcuna possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Prende una decisione drastica: partire da solo, a 10 anni, senza avvisare la madre, perché non riuscirebbe ad accettare il dolore del distacco. Le tappe del viaggio che lo porterà in Italia sono molte e in ognuna si ferma qualche mese per lavorare e ricavare il denaro necessario a un altro spostamento. Prima la capitale della Guinea, Conakry, poi quella del Mali, Bamakò; da qui attraversa il Sahara nigeriano fino ad Agadez, crocevia della principale rotta migratoria dell’Africa subsahariana, e si dirige verso l’Algeria, dove rimane 6 mesi e da cui fugge dopo aver sperimentato il razzismo verso gli africani provenienti dall’Africa subsahariana. La meta è la Libia, la costa del Mediterraneo, per affrontare il rischio del viaggio in mare verso l’Europa. In una notte dell’autunno 2016 salpa con altri compagni; la tra- versata è tragica e vengono tratti in salvo da una nave con bandiera norvegese che li trasporta a Palermo. Thierno viene accolto in una struttura in Sicilia e finalmente telefona alla madre: “ero senza parole, non riuscivo a crederci che era la voce di mamma mi lascio far andare dai brividi”. Presto viene trasferito a Polla, in Calabria, dove frequenta la scuola media, fino al diploma, che consegue con attimi voti. Attualmente prosegue gli studi, con il sogno “di poter riabbracciare mia mamma un giorno, ritrovare i miei cari amici che ho lasciato, e tornare in Africa da grande”.
Manijeh è scrittrice, sceneggiatrice e attrice. Nata in Iran, vive in Italia da trent’anni, ma fatica ancora a sentirsi parte di questo Paese. La sua esperienza di vita e d’arte è segnata da una distanza invisibile, quella distanza riflessa negli sguardi di alcuni italiani che continuano a farla sentire un'estranea, una straniera.
Arrivata in Italia per studiare Medicina, Manijeh ha abbandonato gli studi per dedicarsi alla scrittura e al cinema. Ha studiato regia e sceneggiatura con maestri come Abbas Kiarostami e Fernando Solanas, e recitazione con Dimitri Pasquali. La sua passione l’ha portata a vincere premi, come il riconoscimento della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per lo scatto La Donna e il Campanile sul tema dell’identità. Ha recitato nel cortometraggio Europa ’52 di Andrea Viggiano, selezionato ai David di Donatello 2023.
Manijeh racconta con onestà e senza retorica il senso di essere sospesa tra due mondi. La sua arte è il mezzo con cui esplora e affronta questa realtà, trasformando esperienze di esclusione in storie di resistenza e identità.
Zakia è una donna afghana di etnia hazara. Nata nel 1981, ha trascorso anni lavorando come infermiera e assistente alla nutrizione infantile nell’ambulatorio di Herat. Nel suo lavoro ha assistito i più deboli e vulnerabili, testimone di un Paese lacerato dalla violenza. Le minacce dei talebani l’hanno costretta a lasciare l’Afghanistan, ma non sono riuscite a spegnere la sua voce.
Zakia ha sempre difeso i diritti delle donne oppresse e uccise nella sua terra, sfidando la paura e mettendo in pericolo la propria vita. Nonostante i rischi e le violenze, ha continuato a lavorare, ad assistere i malati e a insegnare alle donne che hanno gli stessi diritti degli uomini.
Nel dicembre 2021, Zakia è arrivata in Italia insieme a suo marito attraverso un corridoio umanitario della Caritas. Accolta dal progetto SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) di Senigallia, ha iniziato una nuova vita. Ora, insieme al marito, studia italiano e sogna di aprire un ristorante afghano.
Colta, amante della vita e della giustizia, Zakia promette di non smettere mai di assistere le donne del suo paese, ovunque si trovi.