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Autore

Nicla Borri

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Alcuni sprazzi di vita passata

È morto il babbo ed ho cominciato a cedere io, mi sono ammalata di una brutta pleurite e ho dovuto passare diversi mesi in ospedale. Poi la luce: ho conosciuto mio marito, nel '52, ci siamo incontrati nell'ospedale dove ero ricoverata e lui veniva lì a trovare sua madre.
Mi sono innamorata subito, era un operaio saldatore elettrico della Breda, anche lui era senza babbo, morto poco tempo prima, eravamo quasi poveri, ma innamorati e ci siamo sposati il 20 settembre 1954.
Abbiamo fatto un modesto matrimonio, un rinfresco in casa di mia zia che aveva una stanza grande, il vicinato che mi voleva bene ha collaborato perché tutto riuscisse al meglio e così fu. Siamo andati in viaggio di nozze a Spezia, a Milano dove mio zio aveva un bel ristorante ed a Bolzano da mio fratello maggiore.
Sono tornata di casa con mia suocera, in piazza d'Armi, così si chiamava allora, quando era un grande prato con una montagnola verso la Fortezza, dove i bambini vi si rotolavano, le strade intorno non erano asfaltate e davanti a casa mia vi era un filare di grandi platarn dove si tiravano le corde e le donne stendevano i lenzuoli ad asciugare, era come stare in campagna. Ho visto nascere il giardino, è stato il sindaco Gentile a volere ciò ed è diventata la bella piazza della Resistenza. Le strade sono state asfaltate con un grande marciapiede, dove noi donne giovani e non, tutti i pomeriggi ci sedevamo in circolo lavorando e chiacchierando. Allora ricamavo (non ci crederete, avevo imparato a scuola nell'ora di Economia Domestica, la mia maestra ci aveva fatto fare un album attaccandoci tanti pezzetti di stoffa, ognuno ricamato con un punto diverso), erano pomeriggi lieti e sereni, tante donne insieme, eravamo un punto di fermata per chi si trovava a passare di lì. C'era anche vicino a me la casa della mia cara Teresina, una bella signora anziana con una testa di capelli bianchi mossi, che aveva la finestra del suo salotto al pari della strada e anche lì tante persone si soffermavano a chiacchierare e salutare, mentre la figlia ricamava seduta alla finestra. Aveva anche un piccolo orto dove ogni settimana faceva il bucato con la cenere, faceva il fuoco ed in un grosso recipiente bolliva la biancheria. Mi voleva molto bene e mi ha dato le iniezioni quando ne avevo bisogno, anche lei mi chiamava e mi chiedeva di farle i dolci. Allora non passavano tante automobili e la strada era libera senza macchine in sosta, perché pochi la possedevano. Avevo un canarino che mettevo aila finestra, fischiava e gorgheggiava felice, come felice ero io.
Andavamo al cinema, a vedere Lascia o Raddoppia alla televisione al bar Cbiti, a S. Paolo, abbiamo comprato la motocicletta a rate e così sono incominciate le nostre gite in montagna e al mare insieme agli amici. C'era un amico che avendo un motore più leggero non ce la poteva fare con sua moglie dietro a salire il Monte Quiesa, allora ci fermavamo tutti in cima, aspettando che qualcuno con il motore più grosso andasse a prendere questa moglie. Era una scena comica da film di Totò, ma eravamo giovani e felici di passare una giornata assieme al mare. In seguito abbiamo comprato la televisione, nel '62, ed i nostri vicini venivano da noi a vederla, mi piaceva e alla fine del programma ci fermavamo a commentare e a chiacchierare, poi tutti a letto.
Mio marito poi mi ha portato nelle gite che organizzava la Breda ed ho cominciato a conoscere la nostra bella Italia. Mi sentivo protetta e amata, in quello che poteva mi contentava in tutto, anzi quando esprimevo un desiderio, scherzando mi diceva se mi ero toccata il sedere.

Nel '71 poi mio fratello mi ha chiamato ad aiutarlo a gestire un'edicola che aveva preso e allora ho fatto la giornalaia per 25 anni.

Non abbiamo avuto figli, ma non ha mai detto una parola che mi potesse ferire. Sono stata operata di una ciste ovarica e nel '56 sono rimasta incinta, ma ho avuto una gravidanza extrauterina e sono stata operata d'urgenza. Poi nel '59 mi sono ammalata di nuovo al polmone e mi hanno ricoverata al sanatorio di Arezzo, mi hanno asportato un lobo del polmone destro, sono rimasta là quasi sette mesi e mio marito mi è stato sempre vicino, alla fine sono tornata a casa guarita e abbiamo continuato ad amarci e a star bene insieme.
Non ho fatto della mia vita una tristezza, perché non ho avuto figli, ma ho aperto il mio cuore ai bimbi di mio fratello che ho amato e amo come miei figli. Mio fratello ha tenuto sempre con sé la mamma e la nonna, con sua moglie e i suoi bambini.
Nel '71 poi mio fratello mi ha chiamato ad aiutarlo a gestire un'edicola che aveva preso e allora ho fatto la giornalaia per 25 anni.
Ho visto ragazzi piccoli sposarsi, mi conoscono quasi tutti, l'edicola era sul viale Petrocchi, vicina alle scuole, pensate che i ragazzi delle medie che venivano di montagna, molte mamme che andavano a lavorare me li accostavano a me, perché la mattina presto li tenessi quasi di guardia, sicché ho fatto la nonna che i ragazzini li teneva a bada, fin tanto che non aprivano le scuole. Poi lo stesso me li riaffidavano al ritorno, perché aspettavano la mamma che tornava da lavorare. Non tutti avevano la possibilità di portare proprio a scuola il bambino, passavano e me l'accostavano lì, era ancora buio in inverno - stai lì dalla giornalaia - gli dicevano, l'edicola era illuminata ... poi ero una donna. Poi è morto mio marito nell'89 e ho passato diversi anni disperatamente ...
Sono stata tanto tempo senza poter andare nemmeno all'edicola, e dopo 3 - 4 anni decisi di smettere perché mi intristivo, tornavo a casa sola e piangevo ... piangevo, e allora dissi a mio fratello: - Smetto! - .
E così ho fatto, e ho fatto bene, poco dopo è morto mio fratello Piero, anche lui giovane, e allora non sarei più uscita dall'edicola. L'edicola era stata data metà a me e a mio fratello, ce l'avevano regalata, si può dire, e io alla morte di Piero bo detto ai miei nipoti- ragazzi, ora l'edicola è vostra - e non ho voluto sapere più nulla.
Dopo che era morto mio marito ero stata tanto tempo senza muovermi di casa, preoccupando anche mio fratello che non vedeva in me nessuna ripresa.