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Autore

Nicla Borri

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Alcuni sprazzi di vita passata

Anche sotto le nostre finestre, nel letto del fiume Bure avevano scavato una trincea piazzandoci le mitragliatrici, ma una sera molti tedeschi partirono e rimasero solo in tre soldati che dall'uniforme capimmo che erano austriaci. Era una serata molto fredda, stava arrivando il buio e mia madre scese giù, avvicinandosi a loro vide che tremavano dal freddo, pioveva, ma forse tremavano anche per la paura. La mamma risalì in casa, prese alcune coperte e alcune mele, unico alimento che avevamo. e glielo portò. Nella notte impauriti ci addormentammo addosso alla mamma e alla nonna, pensando che forse non avremmo rivisto l'alba perché prima di ritirarsi ci avrebbero uccisi tutti.
Ma venne l'alba, i soldati erano spariti con tutte le loro armi, ma anche con le coperte che mia mamma aveva dato loro.
Arrivarono gli alleati, erano sudafricani, era la prima volta che vedevo persone con la pelle nera. Misero su un campo con la cucina e all'ora del pranzo, quando tutti i soldati avevano mangiato, aprivano il cancello e davano da mangiare a tutti ragazzi. Il cuoco si chiamava Africa e ci distribuiva cibo e pane bianco, bianco come il latte.
Intanto in città avevano portato via le bombe inesplose, gli italiani avevano formato delle squadre che disinnescavano bombe e mine, molti di loro ci hanno rimesso la vita.
Siamo così rientrati in città, sistemati alla meglio nella nostra casa sinistrata, abbiamo cercato di riprendere la vita, la città era piena di soldati alleati, pieni di soldi, cioccolata e "cingomme", biasciavano sempre e a me sembrava quasi un gesto volgare. Io ero una tredicenne, ma ancora molto bambina fortunatamente, nessuno mi importunò mai, ma la mia mamma che stava al bar era una bella donna, e molte volte il mio babbo è dovuto intervenire e cacciare i soldati. Però si è conosciuto anche tanti bravi ragazzi inglesi che, lontani dalle loro case, cercavano contatti con le famiglie, e il babbo alcuni li invitava a cena quando alla sera dovevamo chiudere il bar. Vorrei potervi descrivere i discorsi che venivano fatti a gesti, con poche parole di italiano da parte loro e le poche parole d'inglese che avevamo imparato noi.
Una sera un americano si addormentò in bottega, era ubriaco, il babbo lo lasciò dormire, ma avvicinandosi 1 'ora del coprifuoco dovevamo chiudere, lo svegliò. Il soldato spiegò di essere un medico del campo ospedale che avevano allestito in piazza d'Armi, ma non si reggeva in piedi, il babbo e i miei fratelli lo accompagnarono al campo. Ci rimase amico e riconoscente per non essere stato trovato in quelle condizioni dalla loro ronda. Era vicino Natale e gli arrivò dalla sua famiglia un pacco pieno di dolci e leccornie che volle portare a noi.
Poi, passato anche il tempo americano, il paese stava riprendendosi, ma c'era tanto malumore, cominciarono gli scioperi, anche a Pistoia. Mi sono ritrovata nella sparatoria in via Cavour dove fu ucciso Ugo Schiano operaio, durante lo sciopero dei metallurgici. Era giorno di mercato, immaginatevi il parapiglia, gli ambulanti nascosti sotto il loro banco, il mio bar chiuso, ma pieno di gente rifugiatasi lì.

Quando sono tornata a casa, dopo la guerra, dovevan studiare i maschi, diceva il babbo, io femmina bastava che imparassi un mestiere, a lui piaceva la pantalonaia, a me no.

Quando sono tornata a casa, dopo la guerra, dovevan studiare i maschi, diceva il babbo, io femmina bastava che imparassi un mestiere, a lui piaceva la pantalonaia, a me no. Mi hanno messo a cucire di bianco, come si diceva, ma non ho durato tanto, non mi piaceva. Andavo da due sorelle zitelle esili, molto alte e molto rigide, una aveva una gamba di legno e anche la casa dove abitavano mi sembrava molto triste. Poi la mamma un giorno mi portò a farmi fare un golfettino, una maglia, mi colpì la macchina da maglieria e la dolcezza del viso di questa donna che si chiamava Anna, la casa era di solo tre stanze piccole in via Buonfanti, piena di bimbi, ne aveva quattro, 3 femmine e 1 maschio, il marito faceva la maschera al cinema Lux dal giorno dell'apertura. Dormivano tutti in una sola camera e mi hanno accolto come una figlia e come una sorella, e forse Anna ha sostituito nel mio cuore, in quel periodo, la mamma, mi ha insegnato a lavorare, era molto brava e quello che so lo devo a lei. Portavo la piccolina all'asilo, vicino alla Croce Rossa, in via S. Marco, ed ero felice mi sentivo importante.
La casa aveva una piccola cucina, con la finestra che dava su via Tomba, una strada famosa in quel periodo, ci proibiva di affacciarsi, ma bastava che si allontanasse che io e le sue figlie, subito ci affacciavamo, guardando il movimento che sapevamo a cosa era dovuto. Da noi veniva una metresse, così veniva chiamata, una guardiana di queste donne prigioniere di quelle case. Ne ho viste diverse, avevano quasi tutte dei figli e ordinavano magliette e camicioline per loro, che avevano affidato chissà a chi. Non so dentro che abbigliamento avessero, posso solo immaginarlo, ma quando venivano da noi, erano come noi.
In seguito ho smesso di lavorare con quelle macchine, mi sono ammalata e il dottore ha detto che la maglieria non era adatta a me, ma mi è rimasto un grande affetto per Anna, la mia maestra, la voglio chiamare così, e per i suoi figli.
Intanto i fratelli più grandi avevano cominciato a lavorare, quello maggiore alla Lancia di Bolzano, si era sposato con un'altoatesina, e in seguito chiamò a sé l'altro fratello Mario. Rimanemmo io e il piccolo Piero, il mio adorato fratello. La nostra mamma cominciò a bere e iniziò il nostro calvario, il babbo si ammalò di cancro e siamo rimasti soli, anzi peggio che soli, dovendo guardare la mamma che in seguito venne colpita da paralisi e rimase per parecchio tempo a letto.
Io avevo sedici anni e mio fratello tredici, eravamo troppo giovani per stare dietro la macchina del caffè e abbiamo avuto degli ostacoli per tirare avanti il bar. Si è ammalata anche la nonna e abbiamo dovuto vendere il bar verso il 1949-50, credo ce lo abbiano soffiato, ma non porto rancore a nessuno. Mio fratello Piero ha trovato lavoro in carrozzeria e da allora è stato lui il capofamiglia.