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Sono qui immerso fra estranei, indifferenti e ostili perché ho avuto la fortuna di nascere ebreo e perché in Palestina nonho trovato lavoro!

[23 agosto 1944]

Dal golfo di Trieste al golfo Persico, giù, in fondo, fino ad Abadan in Iran, un'isola sul delta del fiume Shatt-al-Arab, dove imperversaun clima infernale, con 42° all'ombra, sopportabile solo quanto l'aria è secca. Eccomi qua lontano migliaia di chilometri da mia mogliee dai miei piccoli figli. Tutti gli altri, persone alle quali sono legato da affetto o da vincoli di parentela, sono in Italia e in Austria,nell'occhio del ciclone che imperversa sull'Europa. Maledetto continente questa Europa! Vive nell'odio e nella sopraffazione. Guerra,di nuovo guerra e milioni di morti. È la fine dell'Europa e della sua civiltà.

È piena notte, il cielo è terso e spira un leggero vento dall'interno. Non riesco a dormire, dopo la solita giornata faticosa di lavoro in raffineria, e scrivo in inglese, lingua che mi è diventata familiare perché è la lingua che si deve parlare con i padroni che posseggono laraffineria. Ho trentaquattro anni e desidero la femmina.  È un problema difficile questo. Guardo la fotografia di mia moglie.Come sarebbe bello averla qui, ma è impossibile. Non hanno voluto, non hanno permesso che si portassero le mogli. Questo èun vantaggio di cui godono soltanto gli inglesi e i «nativi», residenti nell'isola. In seguito ho scoperto che godevano di taleprivilegio anche gli indiani.

Nel bazar ci sono i postriboli con donne di pelle nera e bianca. Le bianche sono arabe o persiane, le nere non si sa chi siano e dadove vengano. Viviamo tra un miscuglio di razze. Ma temiamo la sifilide, la maledetta spirochetta pallida, che ti può rovinare il restodegli anni che ti rimangono da campare. Cerchiamo di stordirci con l'alcol. Gli inglesi sono generosi distributori di whisky e di birraforte, che arriva dalla Scozia e da Birmingham. Ma viene il momento che non basta!

Sono qui immerso fra estranei, indifferenti e ostili perché ho avuto la fortuna di nascere ebreo e perché in Palestina nonho trovato lavoro! Faccio il turismo in cerca di lavoro e l'ho trovato perché in guerra mancano uomini. Vivo in zona diguerra, siamo militarizzati, controllati, impediti di uscire da questa isola, impediti di fotografare, tesserati, schedati,inquadrati. Lavoro per chi combatte per la distruzione dei tedeschi e dei giapponesi, mi trovo dalla parte giusta. Mi pagano bene, almeno sono convinto di essere pagato bene. Finché lavoro quaggiù mia moglie riceve denaro sufficiente per vivere, lei e i nostri piccoli.

Sento distinto il rumore di aereo, la pratica mi dice che si tratta di un aereo di grosse proporzioni, forse più di uno. Il rumore diventa più intenso einfatti sono tre gli aerei che s'avvicinano al campo d'aviazione di Korramshar. Sono le fortezze volanti degli Stati Uniti che portano aiuti ai russi. Tra pocheore ci sarà molto lavoro: si scolerà l'olio lubrificante dai motori, si purificherà e si controllerà se è ancora buono per il volo. Un uomo può diventare personaggio da romanzo senza volerlo.

Nato da una famiglia piccolo borghese nei primi del Novecento, se non fosse scoppiata la prima guerra mondiale, che diede il primo scossone all'Europa, e se i nazionalismi non si fossero scatenati in modo forse imprevisto, sfociando in vari razzismi,io avrei potuto trascorrere una vita quasi tranquilla nella mia città natale, vivendo nel mio ambiente borghese, terra terra,con l'unica aspirazione di migliorare il mio tenore di vita. Una casetta pulita di tre stanze, una calda cucina, un bagno etanto denaro da andare avanti con una famigliola di due, tre figli. Quando mi ero presentato a una grande industria chimicaitaliana per essere assunto, mi avevano chiesto quali erano le mie pretese. Risposi: «Aspiro ad uno stipendio che mi permetta divivere». Le ristrettezze economiche, che avevano limitato tutta la mia giovinezza, avevano influito talmente sul mio carattere daimpedirmi persino di concepire per me un futuro agiato e di agire di conseguenza. «Tanto quanto basta», ecco le mie pretese.

Il primo aprile 1939 s’imbarcarono a Genova due ricchi turisti in viaggio di nozze, che si recavano prima in Egitto, poi in Terra Santa: io e mia moglie.

Quando in Italia regnava ancora la quiete, almeno quella apparente, mi ero messo a frequentare i circoli sionisti, prima quello di Trieste, poi quello di Milano. Giocavo a fare il sionista. [...]
Trieste era sempre stata un porto d’imbarco per ebrei che se n’andavano dall’Europa centrale e orientale verso un mondo meno ostile. Masse nere, molti con barbe lunghe, vestiti in una foggia strana, s’imbarcavano per gli Stati Uniti sui piroscafi della Cosulich. [...]

E c’era anche il «Gerusalemme» del Lloyd Triestino che imbarcava i pionieri sionisti, che affrontavano la grande avventura del ritorno in Terra d’Israele. A pensarci ben su, io discriminavo, facevo differenza tra me e loro. Sì, va bene, siamo tutti ebrei, ma io sono prima di tutto italiano e poi vivo una vita triestina e non sono impelagato da strane teorie, come quella del kasherut. [...]

Quando mio padre ospitò una volta a pranzo un paio di ebrei polacchi affamati, di passaggio per la città, non riuscii a comprendere perché rifiutavano la carne e si accontentarono di un paio di uova sode, un pezzo di formaggio e basta.
Gli avvenimenti del 1938 mi aprirono bene gli occhi. In Italia circolavano barzellette di questo genere:
– Il federale di Agrigento chiede urgentemente l’invio di un paio di ebrei per poter giustificare campagna antisemita –.

Ma io, ispirato da non so che cosa, mi lessi numerosissimi libri sulla questione ebraica, lessi nell’estate del ’38 il noto libro di Paolo Orano Gli ebrei in Italia e mi resi perfettamente conto che la cosa, apparentemente una buffonata, sarebbe diventata una tragedia pochi anni dopo. Mi comportai in un modo assolutamente egoistico, pensai esclusivamente a me stesso e riuscii ad evadere in tempo.

Il primo aprile 1939 s’imbarcarono a Genova due ricchi turisti in viaggio di nozze, che si recavano prima in Egitto, poi in Terra Santa: io e mia moglie. Noi navigavamo tranquilli e speranzosi verso questa terra dove speravamo di trovare pace, lavoro, accoglienza fraterna. Qualche cosa trovammo, ma assai poco rispetto ai nostri sogni. Tuttavia i nostri disagi e sacrifici furono poca cosa rispetto al martirio dei nostri fratelli rimasti in Europa.

 

Quando sei partito ho sentito per un momento come il bisogno irresistibile di seguirti: non mi pareva possibile di non accompagnarti in questa nuova esperienza, come già ti ero stata vicina in tutte le altre della vita finora vissuta.

[Tel Aviv], 23 agosto sera

Caro Ettore,

sei appena partito, ma ho troppo desiderio di intrattenermi con te per poter aspettare fino a domani a cominciare la corrispondenza con te. Cerco di figurarmi come sarai tu e come procederà il tuo viaggio. Quando sei partito ho sentito per un momento come il bisogno irresistibile di seguirti: non mi pareva possibile di non accompagnarti in questa nuova esperienza, come già ti ero stata vicina in tutte le altre della vita finora vissuta. Però sono stata forte e non mi sono commossa. Poi mi sono distratta e la giornata è passata meglio di quanto credevo. Eccoti la cronaca: ho fatto visita alla Usigli, molto cordiale e molto chiacchierona, che voleva anche trattenermi a colazione per l’ora del ritorno del marito, poi alla Tina, ma brevemente perché le continue crisi di Beppe la chiamavano spesso al suo capezzale.

Via di là sono andata addirittura da Bonfiglioli perché volevo essere tranquilla su quel punto. È stato gentile e mi ha senz’altro presentata alla direttrice del lavoro perché cominci il lavoro il 3 di settembre. Quanto all’orario ho potuto ottenere solo di andare ogni giorno la mattina alle 7,30 invece che tre volte alla settimana alle 7, perdendo naturalmente la paga di un’ora e mezzo. Non ho perso tempo e mi sono già assicurata di poter lasciare i bambini fino alle cinque del pomeriggio e al venerdì fino alle una e mezza. La paga iniziale è bassa: 48 piastre al giorno, ma entro l’anno s’arriva a guadagnarne 25 di più. Ma anche così mi restano quattro lire, dedotte le spese di maon, autobus, ecc. Ma sono curiosa di vedere come mi riorganizzerò. Intanto ho il tempo di riposare e di sistemare qualche piccola faccenda.

Ho trovato Daniel che giocava allegro. Anna invece era triste perché sapeva della tua partenza e per di più aveva ancora un po’ di febbre. Anna parlava molto di te, ma in modo ragionevole, con pochi momenti di malinconia. Daniel invece è stato in principio buono, ma quando ho cominciato a dargli l’uovo si è messo a chiamarti e a piangere a grossi lacrimoni. Non ti dico la mia pena. Però poi si è distratto, per fortuna. Ti ha cercato spesso, ma non ha fatto più scenate. Poco dopo le otto erano già a letto e si sono addormentati calmissimi. Ho ancora avuto la visita di Procaccia, che non era venuto prima per una grave dissenteria che ha avuto il bimbo, ora fortunatamente superata. Ora, sentite le belle notizie alla radio, e finita questa prima lettera a te, mi preparo ad andare a letto. Avendoti scritto, ho la sensazione di sentirmi meno sola.

Stai tranquillo a mio riguardo: comincio con coraggio e buona volontà questo lungo periodo di separazione e spero che tutto andrà bene.

Intanto ti abbraccio stretto stretto

Adelina

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Una lettera di Adelina fotografata da Luigi Burroni
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Una lettera di Ettore fotografata da Luigi Burroni