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Autore

Ines Ghiron

Anno

2001

Luogo

Alessandria

Tempo di lettura

3 minuti

[...] Ho ormai più di ottant'anni

Ma non mi lasciai convincere: ero utile anche là; volevo compiere la mia missione fino in fondo e aspettare a Roma la liberazione che mi sembrava prossima, oramai.

Dopo Massimo incontrai anche Vittorio Foà, che era uscito da poco di prigione, dove aveva scontato ben otto anni di carcere, durante quelli che avrebbero dovuto essere… “i più begli anni della sua vita”. Aveva sette anni più di me e si era legato con una giovane comunista, che poi sposò in seguito. Non era molto attraente, a dir poco, ma era colto, intelligente e piacevole: simpatizzammo subito, dopo una lunga conversazione. Poi mi disse: “Ma perché vuoi tornare a Roma? Qui, al nord, c’è bisogno di ragazze come te. Posso trovare qualcuno per sostituirti e mandarlo a Roma al tuo posto. Rimani qui con noi!”. Ma non mi lasciai convincere: ero utile anche là; volevo compiere la mia missione fino in fondo e aspettare a Roma la liberazione che mi sembrava prossima, oramai.

Passai la notte nella camera di Paolo Braccini, in una elegante pensione del centro: me la cedette sapendo che, per me, sarebbe stato pericoloso andare in albergo. Braccini era amico di Giulia Guarnieri; era un bell’uomo, alto e prestante, bruno di capelli e coi baffi tagliati corti; aveva gli occhi neri pensosi e penetranti. Avrà avuto allora sui 35 anni ed era molto attraente.

Dopo pochi mesi fu preso con altri dirigenti di partiti clandestini e fucilato.

Quando passo nella via che gli è stata dedicata a Torino, mi fa tanto effetto leggere il suo nome come uno dei martiri della Resistenza.

Da un certo tempo subivamo perdite fra i nostri aderenti: un nostro compagno era stato arrestato e liberato poco dopo: aveva affermato che non avevano trovato prove concrete contro di lui.

Anche noi a Roma dovevamo avere i nostri martiri: il 20 novembre arrestarono Leone Ginsburg nella tipografia dell’“Italia Libera”. In dicembre fu trasferito nel braccio di Regina Coeli controllato dai tedeschi e torturato a lungo. Morì in seguito alle torture, non senza aver detto prima a Sandro Pertini, prigioniero come lui: “Non bisognerà, in avvenire, avere odio per i tedeschi.”

Da un certo tempo subivamo perdite fra i nostri aderenti: un nostro compagno era stato arrestato e liberato poco dopo: aveva affermato che non avevano trovato prove concrete contro di lui. Questa era stata la sua versione del fatto, ma la coincidenza dei numerosi arresti fra le nostre file, dopo questo rilascio, finì con l’insospettirci. Fu presto chiaro che si era trattato di un tradimento e che quel “compagno” si era salvato a quella condizione. Dopo di che fu sorvegliato accuratamente, nell’attesa di poterlo eliminare, se il suo tradimento fosse stato provato.

Pietro e un suo amico si prestarono a pedinarlo. Un giorno si trovarono poco distanti da lui che si era fermato per comprare un giornale a una edicola. Spalancò il giornale davanti alla faccia e segnalò ai suoi complici la presenza di quei due. Pietro e il suo amico lo capirono troppo tardi: quando furono arrestati e portati via.