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Autore

Ines Ghiron

Anno

2001

Luogo

Alessandria

Tempo di lettura

2 minuti

[...] Ho ormai più di ottant'anni

così avevano potuto inghiottire le carte compromettenti che avevano in tasca e mettersi velocemente d’accordo, a bassa voce, su che cosa avrebbero risposto quando li avrebbero interrogati.

La fortuna, ora, avrebbe dovuto aiutare Pietro che era in grave pericolo. Lo avevano anche picchiato per interrogarlo ed era poi stato trasportato nell’infermeria di “Regina Coeli” con una prognosi di “sospetta frattura della base cranica”. Io non sapevo che il medico delle carceri era d’accordo con il generale G; e che, in realtà, se l’era cavata solo con lividi ed echimosi. Guardavo con angoscia dall’alto del Gianicolo la grossa prigione dalla caratteristica forma a ragno, così come la giovane figlia del carceriere guardava dall’alto le grate dietro alle quali era aggrappato Fabrizio del Dongo, del quale si era innamorata, nella “Certosa di Parma” di Stendhal.

Appena avevano arrestato i due giovani li avevano provvidenzialmente lasciati soli in una stanza; così avevano potuto inghiottire le carte compromettenti che avevano in tasca e mettersi velocemente d’accordo, a bassa voce, su che cosa avrebbero risposto quando li avrebbero interrogati. Questo permise loro di non aggravare la loro situazione.

Forse quella fu la paura più grande che provai in quel difficile periodo.

Al partito mi incaricarono di recuperare, con alcuni compagni, le armi che Pietro ed io avevamo nascoste in quel garage. Infatti era stato arrestato con una carta di identità fasulla a nome di Pietro Gargiulo, lo stesso che aveva dato affittando quell’autorimessa.

Fissai prima un appuntamento con la proprietaria, spiegandole che avrei dato la disdetta di quell’affitto e che sarei passata per ritirare quei miei mobili imballati; poi prendemmo un camion con una finta targa della “Santa Sede” erano gli unici che potevano oramai circolare liberamente- e andammo a caricarlo con le casse delle armi.

Mentre eravamo di ritorno con il camion carico, questo fu fermato a un incrocio ma, quando fu dato il via libera, il motore si era spento e non ripartiva, a dispetto di tutti i tentativi dell’autista per rimetterlo in moto. Forse quella fu la paura più grande che provai in quel difficile periodo. Pensavo: “E ora i poliziotti verranno a vedere cosa succede e andranno a verificare che cosa trasportiamo.”

Anche il mio compagno alla guida stava sudando.  Ma, finalmente, il camion ripartì.