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Autore

Ines Ghiron

Anno

2001

Luogo

Alessandria

Tempo di lettura

5 minuti

[...] Ho ormai più di ottant'anni

Io diedi loro quel poco che potevo: oltre alla fame - il nostro cibo era scarso e pessimo- soffrivamo anche il freddo.

 

[…] Nel frattempo l’avanzata alleata nel centro Italia si era fermata davanti a Cassino. A metà marzo erano ancora sotto alla collina dove i tedeschi si erano asserragliati nell’Abbazia, in posizione dominante sulla valle sottostante; l’Abbazia fu poi praticamente distrutta dai bombardamenti massicci, senza che gli Alleati avessero ottenuto dei risultati definitivi.

Arrivarono al nostro convento dei contadini in fuga da quell’inferno, portandosi dietro una mucca e pochi stracci che erano riusciti a racimolare prima dell’improvvisa partenza. Fu fatta una colletta fra di noi per aiutarli, anche con indumenti per ricoprirli. Io diedi loro quel poco che potevo: oltre alla fame - il nostro cibo era scarso e pessimo- soffrivamo anche il freddo. Ero sbalordita, io che venivo dal nord, che a Roma, dove il clima avrebbe dovuto essere mite anche in inverno, soffiasse invece spesso un vento gelido e che ci fosse una temperatura così inclemente; ma dipendeva anche dal fatto che non eravamo quasi scaldati e che eravamo denutriti.

Ad ogni modo, con l’arrivo di quei contadini, potemmo avere ogni mattina una tazzina di latte appena munto: un gusto delizioso, che avevamo dimenticato. Ed è a quel latte che la Madre Economa fa riferimento nel bigliettino di spese mensili della pensione, al quale mi riferivo in precedenza.

Proprio perché ci eravamo illusi che la liberazione della capitale fosse prossima, finimmo con l’esporci di più: e fu il periodo più tragico della nostra Resistenza.

 

Di noi dissero poi che il nostro partito era come un girino, con la testa grossa e il corpo piccolo.

Continuavo a partecipare come segretaria alle riunioni clandestine dei capi dei nostri “azionisti”, che avevano luogo in case di nostri simpatizzanti, come nell’alloggio di Elena Croce, ma anche in scantinati, sotto a negozi: ricordo che ce ne furono diversi nel semi-interrato di un falegname, col buon odore della segatura di legno, anche se dovevamo accontentarci di sederci su della casse, attorno a delle assi posate su sedie, che fungevano da tavolo.

Lì sentivo tutte le discussioni sulle attuali possibilità di sabotaggio e di attuazioni di resistenza armata, più che altro fuori città per evitare rappresaglie alla popolazione civile, ma anche anticipazioni e previsioni sulla politica italiana del futuro. Il nostro partito non aveva, e non ebbe, il seguito popolare del partito comunista, già noto nel passato e molto più abile di noi nel farsi propaganda. Ma anche i comunisti non erano allora un “partito di massa”: avevano però un forte senso di disciplina e una notevole dose di incoscienza.

Dopo la guerra prevalsero i Democristiani, che non erano stati attivi come i nostri due partiti di sinistra, ma che erano appoggiati dalla chiesa e dalla gente cosiddetta “moderata”.

Di noi dissero poi che il nostro partito era come un girino, con la testa grossa e il corpo piccolo. Infatti la maggior parte degli intellettuali vi aderirono: da Ugo La Malfa a Parri, a Leo Valiani, Salvatorelli, Galante Garrone, Norberto Bobbio, Vittorio Foà, Calogero, e tanti altri, senza contare quelli che erano morti nella lotta, come Leone Ginsburg e Paolo Braccini. Si è poi discusso sui nostri rapporti con i comunisti, che a molti parvero di sudditanza. In realtà, come ho già detto, il partito comunista di allora non era ancora un partito di massa: lo doveva diventare in seguito con l’appoggio della Russia e dei sindacati, tanto è vero che si barcamenavano politicamente come potevano, anche con mosse strategiche che ci lasciarono esterefatti, come quando Togliatti, il capo del partito, arrivò dalla Russia a Salerno e propose al partito di entrare nel governo con a capo il re e Badoglio!

Purtroppo la nostra mancanza di coesione e il fatto che il paese non era pronto a recepire e ad accettare le sue idee di avanguardia, fecero sì che il Partito d’Azione ebbe poi una vita molto breve;

I rapporti tra il Partito d’Azione e quello comunista furono essenzialmente di unione nella lotta per la Liberazione; ma c’era, fra i due partiti, una grande differenza di fondo, di idee e di ideali e, a volte, anche molta diffidenza, che arrivò a degli urti decisi, come dopo l’attentato in via Rasella.

Il Partito d’Azione tendeva al rinnovamento di una vera democrazia, mentre il comunismo rimaneva legato a dei concetti di assoluta obbedienza agli ordini impartiti dall’alto- e spesso dalla Russia, che li “foraggiava” - e a degli ideali populisti, a volte recepiti come fanatismo quasi religioso.

Purtroppo la nostra mancanza di coesione e il fatto che il paese non era pronto a recepire e ad accettare le sue idee di avanguardia, fecero sì che il Partito d’Azione ebbe poi una vita molto breve; dopo la Liberazione si frazionò in Partito Socialista e Partito Repubblicano- fondato da Ugo La Malfa-. I più estremisti fra di noi aderirono al partito comunista.

Credo però che le idee basilari, che avevamo seminato allora, riuscirono a influenzare molti giovani, in seguito. Penso, ad esempio, a Giorgio Bocca, che fu partigiano poco più che ventenne nel nord, e ai suoi scritti, così chiari, onesti e illuminanti; o a Scalfari, che fondò il bel quotidiano “La Repubblica” e che ancora scrive in modo impeccabile, libero e equilibrato; e a tanti altri ancora, influenzati a loro volta da quelle pubblicazioni e da quegli articoli, come Curzio Maltese, ad esempio. E spero sempre che quei semi, buttati su un terreno fertile, riescano a germogliare e a produrre fiori, frutti. o alberi, come la Margherita, la Quercia o l’Ulivo.