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Autore

Lilith

Anno

2022 -2022

Luogo

Bangladesh

Tempo di lettura

7 minuti

Le femmine e i cani non possono entrare

Alla fine, nel maggio del 1984 nacqui, ma femmina e mio padre ne rimase così deluso che non venne a trovarmi per più di due mesi.

Uno

I miei genitori hanno litigato, mio padre ha dato un calcio molto forte a mia madre proprio sulla schiena, mia madre è triste, piange. La mia povera madre, vorrei consolarla, vorrei poterla aiutare, ma sono impotente. Così resto semplicemente lì, seduta accanto a lei, sopra il suo janamaz, il tappetino con l’immagine della Mecca che si usa per pregare, che ha steso sul pavimento per eseguire il namaz, la preghiera islamica canonica. Con una mano appoggiata sulla sua spalla sinistra ogni tanto con l’altra mano asciugo le sue lacrime. Mi dice: “Forse questa volta mi ha proprio rotto la schiena, tuo padre è un mostro crudele”. Singhiozza e ricomincia: “Io non voglio più sopportare tutta questa umiliazione, voglio andare via, andrò a fare la domestica a casa di mio zio e gli chiederò se mi dà un posticino per dormire la notte. Hanno tutte quelle serve, avranno sicuramente un posto e un pasto al giorno anche per me”. Rimango in silenzio, ma dentro di me mi sento disperata, perché non so proprio come vivere senza di lei. Sento il cuore che mi si spezza in mille pezzi, ho solo undici anni e vorrei che mia madre non mi abbandonasse mai, perché ho solo lei, solo lei riesce a farmi sentire protetta e al sicuro, solo lei mi fa sentire amata e io senza di lei non so come potrei vivere. Però non mi piace che lei viva questa vita tormentosa e se crede che troverà un po’ di pace facendo la domestica a casa di suo zio non posso certo fermarla, ma mi sento triste, solo all’idea di perderla, il mondo mi sembra troppo buio senza di lei, piango in silenzio. Ho la netta consapevolezza di non poter contare più su nessuno, nemmeno su mia madre perché mi sono appena accorta che anche lei ha bisogno di aiuto e non ha risorse per aiutare me. Mi sento sola e abbandonata dentro un buco nero, poi mi sveglio sconvolta dal dolore e dalla disperazione...Mi accorgo che era solo un sogno e adesso ho trentotto anni e ormai è da venti anni che non la vedo. È uno dei miei incubi che faccio molto spesso. Non so perché questi ricordi mi perseguitano ancora. So che non avrò più undici anni e non mi succederanno più quelle cose, ma nei miei incubi li rivivo di continuo. E quando mi risveglio tutta la vita mi passa davanti come una pellicola. Quando mia madre era incinta di me, mio padre si aspettava un maschio e aveva scritto una lunghissima lettera destinata al suo prediletto primogenito ancora prima che nascessi. L’aveva consegnata a mia madre dicendole di custodirla finché non avessi compiuto diciotto anni. Alla fine, nel maggio del 1984 nacqui, ma femmina e mio padre ne rimase così deluso che non venne a trovarmi per più di due mesi. Mia madre, poi, lasciò quella lettera con noncuranza tra i vecchi libri perché non aveva più bisogno di essere custodita dal momento che non ero un maschio. La trovai a sedici anni frugando tra le cose di mia madre e leggendola mi sono sentita così in colpa di averlo deluso per essere nata femmina che avrei fatto qualsiasi cosa per rimediare.

[...]

Mia madre diceva che mio padre amava di più mia sorella perché lei era più bella di me. Lui la teneva in braccio, la coccolava.

Mia madre aveva grandi sogni per me, mi amava più della sua vita. Voleva mandarmi in una buona scuola in città perché credeva che così un giorno sarei potuta diventare un medico. Per questo continuava a chiedere a mio padre di portarci a vivere con lui in città. Ma lui era ancora più povero di prima perché si era fidato ciecamente di mio zio Aman e aveva versato tutti i suoi risparmi della vita nel conto corrente dello zio. Questo perché mio zio gli aveva detto che avrebbe preso una fabbrica di riso in affitto e avrebbero lavorato insieme per poi dividere i guadagni, ma alla fine non gli ha mai restituito i suoi centocinquantamila taka, la valuta del Bangladesh, e non gli ha mai più dato nemmeno la parte dei guadagni che gli spettava. Mio padre era sempre arrabbiato e nervoso per questo motivo. Spesso urlava a mia madre offendendola con tutti gli insulti che si possono immaginare in bengalese e dicendole: “Tu sei fortunata che non ho divorziato da te nonostante tuo fratello mi abbia fregato tutti i soldi e nonostante hai partorito solo femmine”. Aveva incominciato a trattarla male anche se non era stata lei a dirgli di dare tutti i suoi soldi a mio zio. Mia madre non lavorava perché in quel periodo in Bangladesh una donna di buona famiglia lavorava di rado. Continuare a vivere a casa di mia nonna con suo fratello Omar e la sua famiglia era diventato difficile perché più io diventavo grande più cominciavo a toccare di qua e di là e a dare fastidio, così loro ci trattavano sempre male e mia madre non ne poteva più. Perciò mio padre ci portò a casa di zio Aman a Khulna e ci abbandonò lì. Disse a mio zio: “Siccome hai tutti i miei soldi, le mantieni tu”. Noi vivevamo in una stanza come dei prigionieri e ci era permesso di uscire solo per i pasti perché mia zia era un’attrice televisiva e aveva ospiti importanti e noi non eravamo presentabili con i nostri vestiti troppo umili. Prima di zio Aman, mia zia era stata sposata con il proprietario di un bordello pakistano quando Pakistan e Bangladesh erano due nazioni ancora unite. Il marito la costringeva a prostituirsi e zio Aman era un suo cliente che poi si innamorò di lei, la sposò e scappò con lei e la sua figlia di cinque anni in Bangladesh. A nessuno piaceva zio Aman, sia per il fatto che avesse sposato una ex prostituta con una figlia, sia per il fatto che era ateo, non credeva a tutte le usanze religiose e si beffava di chi lo faceva. Quando mio zio si laureò venne così tanta gente, anche da posti lontani, per vedere almeno una volta il volto del primo laureato di tutti quei villaggi. Mio nonno addirittura costruì un palco altissimo con del bambù dove fecero salire mio zio così che potesse salutare tutti. In seguito, però, mia nonna sosteneva che mio zio era diventato presuntuoso, dubitava persino di Allah e del suo profeta, la nonna diceva che per lui sarebbe stato meglio non sapere troppo. Ogni tanto mio padre tornava a trovarci e passava la notte con noi a casa dello zio per poi sparire per mesi. Quando avevo cinque anni, nel 1989, nacque la mia seconda sorella, la chiamai Pink, perché aveva le guance dello stesso rosa di una crema che avevo visto da qualche parte di nome Pink. Mia madre diceva che mio padre amava di più mia sorella perché lei era più bella di me. Lui la teneva in braccio, la coccolava. Mentre io lo guardavo coccolare mia sorella pensavo che avesse ragione mia madre, infatti a differenza di me mia sorella era più bianca e davvero bella, perciò meritava di essere amata anche se era una femmina.