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Autore

Lilith

Anno

2022 -2022

Luogo

Bangladesh

Tempo di lettura

7 minuti

Le femmine e i cani non possono entrare

Quella ragazza ci ha salvato la vita, forse senza di lei oggi non sarei stata qui.

Nell’ottobre del 2008 Aria ci invitò a casa sua per festeggiare il suo compleanno. Per circa un anno quella ragazza mi aveva fatto da baby-sitter senza mai voler essere pagata. Ormai non era più solo la mia baby-sitter, ma era più di una sorella per me. La sua famiglia in quei mesi aveva fatto così tanto per me, più di quanto la mia non aveva mai fatto in tutta la mia vita. Mi sentivo tremendamente in debito con lei, con tutti loro. Comprai da un centro commerciale una collana d’oro con mille euro e gliela regalai per il suo compleanno con un biglietto dove scrissi: “Grazie di esistere, senza di te non ce l’avrei mai fatta”. Ritenevo quel regalo il minimo per sdebitarmi per tutto quello che stava facendo per me e Joy, anche se non riuscirò mai a sdebitarmi davvero con lei. Quella ragazza ci ha salvato la vita, forse senza di lei oggi non sarei stata qui. Aria fu molto felice di quel regalo e a me fece piacere essere riuscita a renderla felice. Nella fabbrica mi dissero che dovevo dare la disponibilità per fare i turni, una settimana dalle sei fino alle quattordici e una dalle quattordici fino alle ventidue. Avevo bisogno di una baby-sitter per molte più ore rispetto a quando lavoravo dalle otto fino alle diciassette perché a quei tempi Joy passava la maggior parte della giornata in asilo. Luna un giorno mi presentò altre due donne: Stella e Linda. Stella era la suocera di Aria, cioè la madre del fidanzato, Linda invece era la cugina di Stella. Entrambe volevano dare disponibilità per tenermi Joy a turno mentre ero a lavoro, ma anche così certe serate non avevo nessuno con cui lasciarla, perché anche loro avevano i loro impegni. Mi rendevo conto di cominciare a essere di peso, non potevo certo stressarle tutti i giorni, anche perché un giorno Luna mi disse: “Aria è buona e io per farla felice ti do una mano, ma non approfittarti troppo della bontà di mia figlia”. Aveva ragione, non dovevo approfittarmi di loro, così assunsi una baby-sitter che copriva più ore possibili. Rimanevo sempre in pensiero per mia figlia. Una baby-sitter non era certo come una famiglia, non sapevo mai se mia figlia stesse davvero bene e fosse davvero al sicuro e questo mi faceva vivere in una continua agonia. Alla mattina alle sette l’accompagnavo all’asilo e la sera alle ventitré quando tornavo a casa lei stava già dormendo, non la vedevo quasi mai nelle settimane in cui lavoravo di pomeriggio. Luna un giorno mi disse che vicino a casa sua aveva trovato un appartamento in affitto, mi disse: “Magari costa di meno, vuoi che ci informiamo?”. Le dissi di sì, così andammo a parlare con il proprietario e mi sembrava un buon prezzo. Era un miniappartamento, non era freddo e non aveva la muffa sui muri come la casa dove stavo vivendo e mi costava praticamente la metà come affitto. La presi subito già arredata e mi ci trasferii. Non ne potevo più di quella casa fantasma che non si scaldava mai. Luna mi aiutò a pulire e a sistemarmi nella nuova casa. Mi regalò delle pentole e delle posate, mi sentii talmente grata di quei gesti di bontà che mi ritrovai in lacrime mentre la ringraziai. Lei mi rispose: “Se ti ho aiutato è perché mi faceva piacere di aiutarti”. Poi guardandomi fissa negli occhi mi raccomandò dicendo: “Ora che ti trasferisci vicino a noi, stai attenta a non suonare tutti i giorni il campanello per disturbarci però!”. “No non lo farò, te lo prometto”, risposi.

Avevo la pelle delle mani talmente consumata a forza di lavare i piatti che mi usciva sangue dalle dita.

Mantenni la parola, non le suonai mai il campanello e cercai di fare il possibile per non chiedere mai aiuto da loro. Forse il suo entusiasmo di aiutare una povera disgraziata straniera e curiosare nella vita di una che proviene da un altro Paese si stava consumando. Probabilmente all’inizio le sembravo un alieno misterioso e aveva voglia di scoprirmi e conoscermi, ma una volta fatto ciò non era più interessata a me, ma per rendere felice la figlia doveva mantenere il rapporto. O forse era solo una buona cristiana, mi aiutava perché credeva di riuscire così a guadagnare la grazia di dio, ma voleva allo stesso tempo mantenere comunque un limite di distanza con me. A volte mi diceva: “sei come una figlia per me”. Ma poi un giorno mi disse: “Non illuderti di essere come mia figlia perché non lo sarai mai, io di figli ne ho già due e non voglio complicarmi la vita”. Cercai sempre di rispettare molto attentamente i limiti che lei mi imponeva pur rimanendo ferita, in fondo non era la mia famiglia, non avevano doveri verso di me e avevano fatto anche troppo per me. A dicembre di quell’anno quando mi scadde il contratto non me lo rinnovarono più, mi dissero che mi avrebbero richiamata più avanti. Nel frattempo un amico di Linda che possedeva un ristorante cercava un lavapiatti e mi assunse per sei mesi. Mi disse che avrebbe fatto due contratti di sei mesi e poi mi avrebbe fatto il contratto a tempo indeterminato. Il proprietario era una persona molto rozza e maleducata. Diceva le parolacce e bestemmiava ogni volta che apriva bocca. Mi trattava come una schiava e dovevo lavorare come una pazza. Aveva una lavastoviglie, ma non riusciva a lavare nemmeno un quarto dei piatti e delle pentole che arrivavano, perciò dovevo lavarle a mano e nessuno mi dava mai un aiuto. Avevo la pelle delle mani talmente consumata a forza di lavare i piatti che mi usciva sangue dalle dita. Oltre a lavare i piatti davo una mano anche a pulire il pesce e a tagliare la verdura. Lavoravo dalle dieci di mattina fino alle quindici, poi dalle diciotto fino all’una di notte. Finché finivo di pulire tutto e chiudere la cucina si facevano spesso le due di notte. Praticamente vedevo Joy solo la mattina prima di portarla a scuola e poi non la vedevo più. Lavoravo anche di sabato e di domenica, quindi nemmeno il fine settimana potevo passarlo con la bambina. Passai Natale, Capodanno e Pasqua sempre a lavoro. Soffrivo perché quella bambina aveva solo me e non trovavo corretto che crescesse con dei ricordi in cui non esisteva sua madre in nessuna delle festività o in nessun momento bello della sua vita. Fu un anno molto difficile, ero stanca e depressa. Stavo perdendo gli anni dell’infanzia di mia figlia. Non ho mai avuto il modo di vivere la mia maternità come avrei dovuto. Lasciavo Joy a casa di Linda di pomeriggio e alle due di notte finito il lavoro andavo a prenderla. Lei dormiva, la prendevo in braccio e la portavo a casa con il fiato corto. Non era proprio piccola, aveva sei anni all’epoca e io ero stanca dopo una lunga giornata di lavoro. Provavo sempre ansia perché non sapevo se mia figlia fosse al sicuro.