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Autore

Shlomo Venezia

Anno

2003 -2004

Luogo

-

Tempo di lettura

3 minuti

Il racconto di Shlomo Venezia

Tutta la mia famiglia era ben vista e non avevamo problemi d'alcun genere. Eravamo ben integrati. Neanche le prime leggi razziali c'impedirono di vivere come liberi cittadini.

Tutto ebbe inizio quando cominciarono a deportare gli ebrei dalla Grecia. Fino a  quel momento la nostra vita si era svolta  in modo molto sereno, come quella di tutte le famiglie della mia città.
Io,  Shlomo,  Salomone,   ero  cittadino  italiano   ebreo  residente in Grecia, precisamente a Salonicco. A quei tempi avevo soltanto diciotto anni e VIvevo con la mia famiglia. Mia madre Doudoù, una donna dolcissima e forte nello stesso tempo, di origine francese, era rimasta vedova. Mio padre Isacco, sopravvissuto alla prima guerra mondiale, era morto nel 1934 colpito dall'itterizia. Poi c'erano tre sorelle: Marika di quattordici anni, Marta di dodici anni, che essendo l'ultima era coccolata da tutti, e Rachele, la più grande delle ragazze che era stata mandata, per qualche tempo, a lavorare presso una famiglia di greci ed infine mio fratello Moise, il maggiore di tutti. Io ero un ragazzo abbastanza carino, con occhi e capelli neri, corporatura alta e slanciata, avevo molti amici in città. Tutta la mia famiglia era ben vista e non avevamo problemi d'alcun genere. Eravamo ben integrati. Neanche le prime leggi razziali c'impedirono di vivere come liberi cittadini.

All'improvviso le brave persone del nostro paese non ci accettavano più. Perché? Solo perché eravamo di un'altra religione e celebravamo le nostre feste in modo diverso, non eravamo più considerati uguali agli altri cittadini greci.

Il peggio arrivò quando, nell'autunno del 1940, Mussolini attaccò la Grecia che resistette un bel po'; allora per sconfiggerla si rese necessario l'intervento della Germania e così la Grecia si ritrovò ad essere occupata contemporaneamente dai tedeschi e dagli italiani: entrambi avevano gli elenchi degli ebrei. Eravamo schedati, i nostri diritti non venivano più riconosciuti. Ogni giorno che passava era caratterizzato da nuovi divieti e, di conseguenza, la vita diventava sempre più precaria. All'improvviso le brave persone del nostro paese non ci accettavano più. Perché? Solo perché eravamo di un'altra religione e celebravamo le nostre feste in modo diverso, non eravamo più considerati uguali agli altri cittadini greci. La nostra libertà fu progressivamente ristretta e anche noi iniziavamo a vivere la nostra diversità. I tedeschi, entrando come tutti gli occupanti, hanno tentato di “accaparrare” il meglio che hanno potuto trovare, dopo di che ci hanno lasciato tranquilli per circa due anni. Ancora per altri due anni abbiamo cercato di continuare la nostra vita con le cose di sempre. Ma poi, nel marzo del 1943, arrivò ilgiorno in cui per la prima volta abbiamo percepito il pericolo nazista; io e la mia famiglia ci siamo sentiti ebrei e solo allora abbiamo capito che non eravamo più liberi. In tutta la Grecia e quindi anche a Salonicco hanno cominciato a fare le retate, bloccando i quartieri e deportando le persone segnalate dal governo tedesco. Riuscivano ad arrestare anche duemila, tremila ebrei greci al giorno. Le persecuzioni, in atto già da tempo nello Stato tedesco, ebbero tristemente inizio anche in Grecia.