Questo sito usa cookie di analytics per raccogliere dati in forma aggregata e cookie di terze parti per migliorare l'esperienza utente.
Leggi l'Informativa Privacy completa.

Logo Fondazione Archivio Diaristico Nazionale

Autore

Laila Malavasi

Anno

-

Luogo

Reggio Emilia/provincia

Tempo di lettura

9 minuti

[...] Io sono nata

In casa mia, i soldi per prendere un giocattolo non ci sono mai stati, ma il giornalino per i bambini non è mai mancato: il "Corriere dei piccoli", "L'intrepido", "Il monello" erano i nostri giornali; "Il balilla" no.

lo sono nata a Roncolo di Quattro Castella, il 21 maggio del 1921. Provengo da una famiglia contadina ma mio padre aveva studiato musica, e la mamma di mio padre era la figlia del segretario comunale di Vezzano, che aveva avuto questo posto in premio per quello che aveva fatto per l'Unità d'Italia: era un ex garibaldino. Quindi, la mia, pur essendo una famiglia contadina, con gestione patriarcale, sul piano culturale si distaccava. Aveva grande peso il miglioramento culturale: in casa nostra i giornali non sono mai mancati. Mio padre mi diceva che mia nonna ha sempre letto i giornali, pur essendo una donna. Ha inculcato nei figli l'amore per la lettura, e così mio nonno: papà infatti, ha finito le scuole quando siamo andati a Castelnovo Sotto, perché, dopo, a Reggio, occorreva il diploma di quinta elementare. Lui, a differenza di tanti altri, aveva frequentato la quarta, anche se a Roncolo la scuola arrivava solo fino alla terza elementare, perché mamma lo aveva mandato a studiare dal prete di Roncolo. Così aveva fatto privatamente la quarta, ed è stato facilitato nell'ottenere poi il diploma di quinta. Gli amici della nostra famiglia non erano soltanto contadini; papà e i suoi fratelli parlavano con i contadini più evoluti, ad esempio della gestione del caseificio, della cantina sociale. A Castelnovo Sotto, nella bassa reggiana, c'era un determinato tipo di organizzazione con forme economiche più interessanti di quelle proprie dell'attività privata: portare l'uva alla cantina sociale faceva sì che anche proprietario guadagnasse di più; portando il latte al caseificio sociale, si dividevano gli interessi. Ma la maggior parte degli amici della mia famiglia erano intellettuali: papà, nonno e gli zii erano cacciatori. Quando abbiamo lasciato Roncolo per andare a Castelnovo Sotto, ci ha invitati il dottor Tassoni, che aveva là delle proprietà, e desiderava avere dei contadini di un certo livello che gli conducessero il podere. La gestione del fondo era lasciata in mano, in gran parte, alla mia famiglia. lo provo ancora una profonda gratitudine nei confronti soprattutto di mio nonno perché ci ha abituati a leggere. Io ho conosciuto i classici russi, Dostoevskij, Tolstoj, Guerra e pace, Anna Karenina, perché me li ha letti nella stalla il nonno, che obbligava anche noi a leggere. In casa mia, i soldi per prendere un giocattolo non ci sono mai stati, ma il giornalino per i bambini non è mai mancato: il "Corriere dei piccoli", "L'intrepido", "Il monello" erano i nostri giornali; "Il balilla" no. La mia famiglia è di estrazione antifascista, di tendenze socialiste, discutevano di politica ma non hanno mai fatto politica; loro mantenevano le loro idee e le difendevano anche con una certa dignità, non sono stati mai perseguiti perché erano anche abbastanza attenti. Mamma, una volta, mi disse che volevano picchiare mio zio, il più giovane, per una discussione che aveva sostenuto, ma quel gruppo di amici che avevano, lo avevano protetto.

In campagna, infatti, si adoperava un tipo di tela, la tela rossa, fatta di un cotone molto robusto. Siccome durava tanto, a forza di lavarla perdeva colore, quando si strappava, con la roba rimasta si rattoppava nel sedere, nelle ginocchia.

Pur essendo una famiglia molto evoluta, però, per le donne pesava molto la cultura contadina: io fino a vent'anni, e mia madre ha una grossa responsabilità in questo, non ho fatto le mie scelte, mi sono sempre sentita dire: "taci che sei una donna". Molte volte ti veniva spontaneo domandarti: "beh? Cosa vuol dire essere una donna?". Era difficile riuscire a capire. Questo senso di inferiorità, era un male comune, per tutte, anche per le mie amiche. C'era sempre un "Ma il papà ha detto", "Ma il fratello ha detto", "Ma vorrei fare questo però i miei fratelli non vogliono”, "Ma il papà non vuole". La donna era impedita nella sua iniziativa, doveva badare alla casa. C'è un aspetto sul quale rifletto e mi viene anche da sorridere: il contadino quando aveva il figlio che doveva scegliere una moglie, doveva scegliere una brava moglie, cioè ubbidiente, capace di amministrare la casa con una economia esasperata, rinunciando anche a tutto. Doveva fare i vestiti per i bambini, e far durare il più che possibile i pantaloni e la camicia degli uomini. Ad esempio, i giovani che lavoravano nei campi avevano un bel quadro più scuro nel sedere, quasi era un marchio. In campagna, infatti, si adoperava un tipo di tela, la tela rossa, fatta di un cotone molto robusto. Siccome durava tanto, a forza di lavarla perdeva colore, quando si strappava, con la roba rimasta si rattoppava nel sedere, nelle ginocchia. Anche le camicie dovevi saperle confezionare. Dovevi anche avere la capacità di cambiare i polsi e il collo quando si rovinavano; normalmente tiravano via un pezzo di camicia nella parte della schiena, e aggiungevano quello che avevano in casa. Così, a qualche giovane che andava in bicicletta, vedevi che volava fuori una camicia di due colori; questo è un aspetto umoristico ma reale della vita. Nella mia famiglia, proprio perché erano contadini intraprendenti, abbiamo sempre avuto una situazione economica molto superiore agli altri; ad esempio, in casa mia si uccidevano due maiali, mentre gli ne uccidevano uno solo. I braccianti agricoli che prestavano la loro opera presso i contadini, venivano volentieri nella mia famiglia, perché dicevano: "alle cinque a casa Malavasi si mangia, si fa la merenda"; noi davamo qualche cosa di sostanzioso. I braccianti agricoli, d'inverno, non avevano lavoro. Allora vedevi le donne che andavano a prendere col pentolino la minestra per i poveri, e questa era la loro alimentazione. Siccome il riscaldamento era dato dal camino e avevano bisogno di legna, mamma gli dava due fascine; lavoravano una giornata a fare le fascine, mentre gli altri gli davano nove fascine, mamma gliene dava undici o dodici. Dopo, venivano a pulire i campi raccogliendo quello che rimasto, questo gli serviva per il loro fabbisogno. La stalla era il punto di riscaldamento nostro. Per ciò concerne il socialismo, bisogna tener conto che io sono nata nel '21; le cose che so, me le hanno raccontate, gli uomini discutevano di politica così tra di loro. Mamma molte volte diceva: "va là che sotto il socialismo noi stavamo bene, si lavorava, si cantava, si era sereni". Mi parlava di Prampolini, che per loro era una deità. Prampolini predicava l'umanità, la solidarietà, l'amore per il prossimo; spiegava poi come i contadini avrebbero dovuto riscattarsi, ma su un piano estremamente umanitario. Parlavano di Turati, parlavano della Balabanov; mamma mi diceva: "ma figurati tuo padre ti voleva mettere nome Balabanov". La fiducia, la stima verso i socialisti erano profonde da parte della gente che lavorava. Nella nostra provincia, a differenza delle altre, Prampolini e i socialisti erano dei riformisti. Di conseguenza c'è una profonda differenza, ad esempio, tra noi e Parma, che come base politica aveva il sindacalismo e l'anarchismo. I socialisti, nel reggiano, nel modenese, non hanno solo fatto propaganda ma hanno costruito. Hanno cominciato a costruire le leghe, le società di solidarietà, le cooperative, dove la gente si muoveva e cominciava a acquisire un determinato benessere perché era protetta e creava, ad esempio attraverso le cooperative, nuove fonti di lavoro. Anche la moglie di Turati, la Kuliscioff, diffondeva i orientamenti tra la popolazione, che facevano maturare anche delle idee e permettevano alla popolazione più povera di potersi esprimere. Però questo, dopo la guerra è stato troncato immediatamente; il fascismo ha praticamente tolto la possibilità di esprimere le proprie opinioni, i propri interessi, le proprie idee. I contadini poi, non erano tutti ignoranti. Dove vivevamo noi, ad esempio, nelle proprietà del dottor Tassoni, mio padre col più vecchio della famiglia che ci abitava di fronte, discuteva sempre. Prendevano i giornali, leggevano e commentavano; gli altri fratelli si disinteressavano completamente. In un'altra famiglia, di quattro donne e tre uomini, la contabilità col padrone la teneva solo una donna perché gli altri non ne erano capaci; il giornale lo leggevano col dito perché avevano paura di perdere la riga, andavano a scuola poi dopo si mettevano a lavorare nei campi, era anche la realtà che costringeva. Io stessa, quando tornavo da scuola, nel periodo della vendemmia, prima di fare i compiti, dovevo aiutare lo zio a travasare il vino, ed ero una bambina di setto otto anni. La sera, poi, mentre gli altri chiacchieravano, dovevo fare il compito, e se sbagliavo mi arrivava uno scapaccione.