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Autore

Laila Malavasi

Anno

-

Luogo

Reggio Emilia/provincia

Tempo di lettura

7 minuti

[...] Io sono nata

Lavorando dove lavoravo avevo conosciuto un sacco di giovani che erano militari, ero diventata il centro di informazione, per l'uno e per l'altro; mi scrivevano, mantenevo il contatto con gli altri attraverso la posta.

Durante la guerra, dopo i bombardamenti, mia mamma si era spaventata, era scappata via, e io sono rimasta da sola a gestire un ristorante e un bar, che non era una cosa piccola, tenendo conto, tra l'altro, che chi aveva sfollata la famiglia, a mezzogiorno veniva a mangiare lì perché era comodo. Ecco, pur tuttavia, rimaneva questo fatto. Però, anche per me, proprio perché ero rimasta sola, esprimevo meglio la mia personalità nel lavoro, in quanto gestivo e dovevo affermare quello che ero capace di fare e ne approfittavo anche; prendendo delle iniziative liberamente, prendendo contatto con più persone. Poi, tra il venticinque aprile e l'otto settembre lo spazio è breve. L'otto settembre, lì a Reggio c'erano molti militari, nell'ex Gil c'era il duecentoventi di Piacenza che era distaccato lì, e venivano sempre lì da noi e si parlava; allora cominciavi anche a capire la guerra. Lavorando dove lavoravo avevo conosciuto un sacco di giovani che erano militari, ero diventata il centro di informazione, per l'uno e per l'altro; mi scrivevano, mantenevo il contatto con gli altri attraverso la posta. Raccontavano le loro esperienze, quelli che erano stati in Russia e quelli che sono stati in Jugoslavia; io allora ho saputo delle cose della Jugoslavia che facevano rabbrividire; conoscevi ancora più a fondo la brutalità del fascismo che prima l'attribuivi all'ignoranza, all'imbecillità, diciamo così, della gente mentre invece lì era una cosa organizzata, come le torture, tutte queste cose che venivano fatte. Dell'eccidio del '43 ricordo che l’ho saputo, da mio fratello, e dagli operai che venivano piangendo, raccontando quello che era accaduto. Dell'eccidio delle Reggiane io l'ho saputo immediatamente, perché la via dove abitavo era degli operai delle Reggiane. Il bar, la cooperativa, perché l'han sempre continuata a chiamare cooperativa, era il loro punto di incontro. Nemmeno a casa a mangiare, si sono fermati lì e si discuteva questo avvenimento. Spiegarono ciò che era avvenuto, cioè che gli operai delle Reggiane uscivano per fare questa manifestazione che chiedevano la fine della guerra. Chiedevano anche altre cose: cioè altre: rivendicazioni sulla alimentazione - ti davano due etti e mezzo di pane e non avevi niente altro, e avevi bisogno anche di alimentarti – ma soprattutto si chiedeva la fine della guerra. Davanti alle Reggiane c'è questa formazione militare, e a un determinato momento si mettono a sparare. A me è stato detto che l'ufficiale, mentre il soldato cercava con la mitragliatrice di sparare in alto, mise il piede sulla mitragliatrice e cominciarono a falciare; ma parallelamente a questo, c'è della gente che è stata uccisa alla schiena: sparavano anche le guardie dalle finestre.

Mi ricordo molto bene il bombardamento del '44 sulle Reggiane perché io ho perso mia zia nel bombardamento.

Ecco, allora l'avvenimento, ovviamente, ti sconvolge perché ci sono dei morti. Ecco, però io posso dire la differenza tra l'opinione degli operai e l'opinione di noi donne, delle donne più semplici, delle madri che piangevano e che dicevano: “Sono dei mascalzoni, non hanno diritto, la vita è un diritto di tutti; perché scioperano, perché vogliono la fine della guerra, in

definitiva sono tanti anni che la guerra c'è, abbiamo solo dei morti e niente altro”. La loro conoscenza, la loro preparazione arrivava a questo. Poi c’era la posizione dei militari, c'erano parecchi militari che venivano lì, e ce n'erano di quelli che dicevano che era giusta la posizione dell'ufficiale, dicevano: “ma se il popolo prende la prevalenza, ma non sa signora che razza di casino?” Nemmeno di fronte alla morte, erano imbevuti tanto, si vede, della propaganda, riuscivano a vedere la gravità del fatto. Ecco, poi dopo i funerali, però i limiti erano grandissimi. Se si va a vedere tutti i giornali di quell'epoca, sono tutti censurati, le descrizioni più veritiere vengono praticamente stralciate e si fa fatica a sapere la verità. Mi ricordo molto bene il bombardamento del '44 sulle Reggiane perché io ho perso mia zia nel bombardamento. Era poco che era morto mio zio, a Natale; siccome mia zia era rimasta sola, io ero andata su, così per farle compagnia; a un determinato momento sentiamo l'allarme, apro la finestra e ci son tutti i bengala: cioè prima sono arrivati gli apparecchi, hanno illuminato la città, dopo illuminata la città è suonato l'allarme. Io porto mia zia in cantina e scappo fuori, la cantina non era il mio regno; tutta la gente in bicicletta che scappava. C'era, poveretta, una donna che era presa dal panico e non riusciva a andare in bicicletta, io, mi ricordo, che mi son messa dietro e la spingevo per farla andare avanti, ha preso il coraggio si è messa a pedalare e io ho dato una gran botta; questo è il primo ricordo che ho di quell'avvenimento. Poi sono dovuta andare in un rifugio perché hanno cominciato a bombardare, tremava tutto. C’erano gli spostamenti d'aria, ti arrivava quell'aria calda, che la bomba quando scoppia ti buttava. Quando sono venuta a casa, dopo poco, mi sono venuti a dire che la zia era morta, mio cugino era rimasto ferito, mio zio era rimasto ferito. Aspettai il giorno dopo, perché non si poteva andare, perché c'era tutto il cordone militare. Alla mattina sono andata per vedere che cosa era successo e io mi sono trovata di fronte la zia che sembrava un colabrodo: lei ha salvato praticamente tutta la famiglia, era davanti, la bomba; il cugino aveva un braccio ingessato e hanno trovato attaccato a dei frammenti di carne il braccio, e lei sembrava un colabrodo, aveva dei buchi, guarda, una cosa spaventosa, la faccia tutta picchiettata, proprio dei buchini delle schegge più piccole, e tutti i morti. Poi tutte le case e le Reggiane completamente distrutte; lì attorno c'era tutto sparso quella materia infiammabile che buttano le bombe incendiarie. Questo è il ricordo che io ho delle Reggiane. Il giorno dopo, all'una sono tornati e noi eravamo Îì fuori, una squadriglia che arriva costeggiava la ferrovia, e veniva dall'alta Italia, costeggiava la ferrovia, l'aeroplano davanti. Ha fatto così con le ali, e ha bombardato. E lì non siamo riusciti a scappare e sono dovuta andare in cantina con gli altri, un'esperienza tremenda.