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Autore

Laila Malavasi

Anno

-

Luogo

Reggio Emilia/provincia

Tempo di lettura

5 minuti

[...] Io sono nata

Una donna di settant'anni, che sapeva miseramente far la croce, da sola dentro una cabina dove deve decidere. E’ stato un lavoro enorme, casa per casa.

Nel gennaio del '45, c'era stata l'approvazione diritto di voto alle donne, e io sono stata una delle prime donna a votare, sia sul referendum che nelle elezioni. I partiti della sinistra erano profondamente consapevoli che la religiosità delle donne era soggetto di ricatto religioso, per cui dovevi fare un profondo lavoro proprio per riuscire a superare il ricatto, la paura dell'inferno, insomma, perché poi le cose erano queste. A Reggio, come movimento di massa avevamo l'Udi, che prima erano gruppi di difesa della donna, che avevano operato durante tutta la guerra partigiana assolvendo dei compiti molto importanti. Avevamo un un gruppo di attiviste in ogni comune, in ogni frazione, in ogni provincia, che era veramente molto attivo. Si andava a casa a parlare con le donne, andavamo a insegnare a votare; la parola d'ordine era insegnare a votare perché c'era anche l'esigenza di un insegnamento tecnico, non avevamo mai votato, e questo era per tutti, e poi anche il superamento dell'emozione: oddio, quando sono là dentro! Una donna di settant'anni, che sapeva miseramente far la croce, da sola dentro una cabina dove deve decidere. E’ stato un lavoro enorme, casa per casa. E non abbandonavi. Siamo andate tutte a votare con una paura di sbagliare che non dico, anche chi andava a insegnare diceva: “ma avrò fatto bene?”. Si aveva perfino paura che la riga diventasse torta, cioè quando facevi la croce che anche questo portasse danno. Non so dire il volume di lavoro che è stato fatto, ma, malgrado questo, ad esempio, nella nostra provincia, soprattutto nella montagna, dove i democristiani hanno lavorato, ma soprattutto i preti lavoravano sodo, abbiamo avuto anche delle donne di sinistra che hanno votato per la Democrazia cristiana. Senza contare l'ostruzionismo che è stato fatto anche nei nostri confronti. A questo proposito c’èun episodio simpaticissimo: la Jotti venne a parlare a Correggio, e c'era la piazza vuota, con il prete che suona le campane, lei che si mette a parlare, un bambino viene fuori e l'ascolta, arriva la mamma gli da una fila di patacche e lo manda in casa, e lei dice: “ho parlato a una piazza vuota. Una dirigente nazionale è andata nelle Langhe a fare un comizio e aveva sempre tutte le donne dietro, cioè tutta la popolazione le era dietro; lei si voltava e la gente si voltava e gli andava dietro e non riusciva a capire il perché. Il prete aveva detto che le comuniste avevano la coda. Sembra una barzelletta ma è vero.

Ma in certe zone dove questo lavoro non è stato fatto, se ne sentiva la mancanza.

Là dove c'erano state le formazioni partigiane le cose attecchivano meno, perché non si erano limitate solo a combattere ma avevano anche fatto un lavoro politico. Posso dire che noi in montagna parallelamente, ad esempio, alla formazione militare avevamo la formazione politica. Noi avevamo un gruppo di partigiani — la dirigente era la Glori, una maestra — che prima lavoravano con me e poi andavano casa per casa, cioè si è preparato prima della fine della guerra la popolazione a quello che sarebbe stato il dopo. Ma in certe zone dove questo lavoro non è stato fatto, se ne sentiva la mancanza. Nel '54 ero in Sicilia a fare la campagna elettorale, tutte le donne venivano a ascoltare il comizio che io tenevo ma erano tutte nascoste dietro il muro, tutte infilate una dietro l'altra e non venivano in piazza; questo per dire come le tradizioni, i costumi hanno i loro pesi anche dopo dieci anni dalla fine della guerra di Liberazione. Proprio per la situazione in cui erano le donne, anche per me, nonostante fossi stata partigiana, non è stato facile accettare un ruolo pubblico, decidere la militanza per tutta la vita. Su di me ha sempre pesato il tipo di educazione ricevuta. Sono pochissime le volte che, anche ufficialmente, ho fatto dei grandi interventi; ho parlato, sia ai congressi anche della Cgil, però mi è sempre costato molta fatica perché quello che è nella tua formazione te lo trascini e difficilmente riesci a smantellarlo; però io avevo fatto una scelta e come carattere quando faccio una scelta, a meno che non mi renda conto che non posso andare avanti, do il meglio. Ho dato fino in fondo il meglio di me stessa per riuscire a superare le difficoltà che incontravo e che pur tutta via hanno sempre pesato su di me. Da parte delle donne, vi era ammirazione, stimolo, aiuto perché si capiva l'esigenza che qualcheduna facesse; dicevano “meno male che ci sei tu!”’, “Meno male, vorrei riuscire anch'io”. C'era questo tipo di solidarietà fra le donne, cioè la consapevolezza dell'utilità del lavoro che facevo io, per loro e per la società.