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Autore

Piero Campisi

Anno

1986

Luogo

Brescia

Tempo di lettura

7 minuti

La Pecheronza

Per due giornate il prigioniero occupò tutte le nostre discussioni, fin da quando la mattina dopo, di buon'ora, presente Toni, cominciò l'interrogatorio. Qualcuno aveva raccolto le accuse in un paio di foglietti e formulava le domande. Ma il prigioniero negava tutto con risolutezza.

La sera del nostro ritorno a Frondine ci fu una sorpresa. Stavamo golosamente mangiando polenta abbrustolita sul fuoco e latte fresco, quando arrivarono due uomini del Comando, in compagnia di uno sconosciuto ammanettato. Uno degli accompagnatori teneva saldamente una lunga catena attaccata alle manette. 
"Toni raccomanda di sorvegliarlo - disse uno dei due - é pericoloso.  Più tardi verrà lui a spiegarvi".  Giacomo si incavolò. 
"Ma che modo di fare é questo? Perché ce lo avete portato? Non potevate sorvegliarvelo voi?".
Il prigioniero, un uomo sui trent'anni, forse meno, piuttosto robusto,  non diceva una parola. Fu portato nel fienile, fatto sedere in un angolo e legato ad una trave con la catena. Più tardi arrivò Toni, in compagnia di Arnaldo, considerato il giurista della brigata. Giacomo protesto ancora una volta dicendo che il "VT3" non aveva niente a che fare con quell'uomo. 
"E' una spia - disse Toni pacatamente - é lui che ha fatto catturare  due della nostra brigata che sono stati fucilati a Brescia". 
"E noi cosa dobbiamo fare? , domandò Giacomo. 
"Dovete interrogarlo, poi ci sarà il processo". 
Per due giornate il prigioniero occupò tutte le nostre discussioni, fin da quando la mattina dopo, di buon'ora, presente Toni, cominciò l'interrogatorio. Qualcuno aveva raccolto le accuse in un paio di foglietti e formulava le domande. Ma il prigioniero negava tutto con risolutezza. 
"Se lo dessero a me - disse sbrigativamente Leone - parlerebbe dopo cinque minuti". 
Nel pomeriggio, l'interrogatorio riprese dopo una pausa brevissima. Al prigioniero non era stato dato da mangiare; solo acqua. Verso sera, nella Ciotola d'acqua destinata a lui fu sciolta una generosa manciata di sale. 
"Servirà a schiarirgli le idee", disse il Cuoco.
Noi mangiammo più silenziosi del solito, ciascuno immerso in pensieri sulla sorte del prigioniero. L'interrogatorio continuava senza soste e quando Giacomo e Toni uscirono dalla stalla, dove si svolgeva, apparirono stanchi e piuttosto cupi in volto. 
"Comincia a cedere", disse Giacomo. 

"Fucilato - mormorai - e da chi?". 
"Da noi". 
"Da noi?", domandai incredulo. 
"E chi vuoi che lo faccia, sennò?", disse Renato. 
Per quella notte non dormii più.

Mangiarono un boccone, poi fecero preparare un paio di lanterne a petrolio. 
"Portatele nella stalla". 
L'interrogatorio andò avanti sino a notte inoltrata ed io mi ero già da un bel po' addormentato, quando venni svegliato da un insolito trambusto 
"Ha confessato - mi disse Renato - ed é stato condannato a morte. Fucilazione nella schiena...". 
"Chi l'ha condannato?". 
"Un tribunale. So che uno del Comando ha fatto da difensore. E' avvocato". 
"Fucilato - mormorai - e da chi?". 
"Da noi". 
"Da noi?", domandai incredulo. 
"E chi vuoi che lo faccia, sennò?", disse Renato. 
Per quella notte non dormii più. 
"Se mi mettono nel plotone d'esecuzione - pensai - non so se avrò la forza di tirare il grilletto".  Ma, per fortuna, non entrai a far parte del plotone. Furono sorteggiati dieci nomi e molto presto, quando arrivarono le prime luci dell'alba, il prigioniero venne portato a qualche centinaia di metri dalle baite. Gli dettero un badile e gli ingiunsero scavarsi la fossa. Poi, siccome era troppo lento, due uomini lo aiutarono.  Alle sette, io nel frattempo ero montato di guardia, sentii una scarica di fucileria rimbombare nella vallata. Sembravano scoppiettii di mortaretti festosi. Qualche secondo più tardi si aggiunse un isolato colpo di rivoltella, appena percepibile: "Il colpo di grazia", immaginai.

[...] 

Giacomo ed io eravamo diventati, ormai, come i fratelli siamesi ed io dormivo molto spesso in casa degli Arduino nella loro vecchia abitazione di via Battaglie, non lontano dal Fronte nella gioventù, in un edificio che ospitava anche gli uffici dell'Archivio di stato.

Ci voleva Claudio Villa 

Mi iscrissi al Partito d'Azione, che aveva trovato sede in un appartamentino al primo piano sopra il cinema Crocera e con me si iscrisse anche Giacomo. Cominciammo a collaborare al giornaletto del partito, che usciva una volta alla settimana, se si riusciva a pagare regolarmente la tipografia. Giacomo compì una carriera lampo perché in breve fu nominato redattore capo. Nel primo articolo di un certo respiro, che il giornale pubblicò peraltro integralmente, sostenevo che forse la cosa migliore sarebbe stata quella, dividere l'Italia in due, press’a poco dove correva, in guerra, la Famosa linea gotica. Per fortuna, il giornale era letto solo da pochi volenterosi.  Poi fui mandato, quale rappresentante del Partito d'Azione, al Fronte della Gioventù che aveva occupato gli uffici della ex GIL, Gioventù Italiana del Littorio, in fondo a via Battaglie, nel cuore del rione popolare del Carmine. Anche al Fronte della Gioventù ebbi l'incarico di preparare un settimanale, si chiamava "Giovani" che era settimanale solo sulla carta, perché in realtà usciva quando e come poteva, essendo i quattrini razionati esattamente come il pane, la carne e tante altre cose.  Giacomo ed io eravamo diventati, ormai, come i fratelli siamesi ed io dormivo molto spesso in casa degli Arduino nella loro vecchia abitazione di via Battaglie, non lontano dal Fronte nella gioventù, in un edificio che ospitava anche gli uffici dell'Archivio di stato. Fu in onesto appartamento che organizzammo il nostro primo festino del dopoguerra. Nella Tipografia Vannini, dove stampavamo i nostri giornaletti, avevamo conosciuto due giovani operaie e fra noi e queste ragazze era sorta un po' di simpatia. Pensammo di invitarle a casa una domenica pomeriggio; ma per ballare, bisognava avere almeno un grammofono e qualche disco. All'Emilio Arduino venne in mente che un conoscente doveva possederne uno e andammo a trovarlo in bicicletta in fondo a via Milano, dove abitava. Il grammofono c'era, era vecchissimo, a tromba; ma funzionava. L'Emilio prese la grossa tromba, io il resto e alcuni dischi e con le nostre biciclette ripercorremmo la via Milano, seguiti da un codazzo di ragazzini che strombettavano fino a farci diventare rossi come gamberi.  La festa fu un mezzo fallimento. Le due ragazze si immalinconirono nel vedere il grammofono a tromba, e diventarono ancora più tristi e scontrose nel sentirlo gracchiare.  "Non avete neppure un disco di Claudio Villa?", domandò una di esse.  Poi rimasero sinceramente deluse dalla nostra spartana ospitalità.  Più che del modesto vino bianco (e loro erano astemie) e della patona, cioé il castagnaccio, acquistato dai toscani che avevano il forno quasi sotto la Pallata, non eravamo riusciti a mettere insieme nient'altro. Sicché tutte le nostre timida avances amatorie caddero nel gelo più profondo. E il flirt finì prima ancora di nascere.