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Autore

Piero Campisi

Anno

1986

Luogo

Brescia

Tempo di lettura

7 minuti

La Pecheronza

Prima di lasciare il fienile con me, quella notte, si fece una sigaretta col tabacco e la cartina e la accese.  "Mai - disse - fuoco di notte all'aperto. Fiammifero come faro".

Avete mai provato a stare svegli di notte in un bosco, magari nel pieno di una guerra? 
Il bosco non dorme mai. Non dormono le piante, gli arbusti, le foglie, il vento e milioni di animali, animaletti, insetti, uccelli, bruchi. Non dorme l'acqua; non dorme la luna e non dormono le nubi. Persino la terra é sveglia. La prima notte dopo la punizione montai alle tre insieme a Giorgio. Giorgio, il più vecchio di noi, aveva superato i quarant'anni ed era un veterano. Jugoslavo, era stato capitano dell'esercito di Re Pietro fino al momento dell'aggressione tedesca quando, in poche settimane, sotto i colpi della wehrmacht e degli Stukas l'esercito reale si dissolse, pur avendo resistito con molto coraggio. Allora si dette alla macchia e raggiunse le prime unità partigiane che si andavano formando. Capitò in una banda di nazionalisti croati (anche lui era croato) che combatteva su vari fronti: contro i tedeschi, contro gli italiani (arrivarono anche quelli, più tardi), contro gli ustascia di Ante Pavelic e anche, qualche volta, contro i "titini". Raccontando queste cose con il suo italiano più che scarno, essenziale, scuoteva la testa.  "Non imparato che vero nemico é invasore".  Nel 1943 durante uno scontro a fuoco, venne catturato dagli italiani e portato prima nei dintorni di Trieste e successivamente in un campo di prigionieri di guerra nella brughiera tra Montichiari e Ghedi. Scappò l'otto settembre insieme ad alcune guardie e ad altri prigionieri di varie nazionalità, quando i soldati italiani in servizio al campo se la  squagliarono lasciando le porte aperte. E così Giorgio capitò, per caso, in Val Trompia. Visse alla macchia con il sostegno dei montanari per diverse settimane e quando seppe che stava per costituirsi la brigata Fiamme Verdi Perlasca, cercò un collegamento e si presentò.  "Capitano Giorgio Tomic - disse - sono con voi". Venne così aggregato al "VT3 " Tarchiato, solido, taciturno aveva un'incredibile resistenza alla fatica, alla fame e alla sete ed era, inoltre, l'unico di noi che avesse una vera esperienza di guerra partigiana. Prima di lasciare il fienile con me, quella notte, si fece una sigaretta col tabacco e la cartina e la accese.  "Mai - disse - fuoco di notte all'aperto. Fiammifero come faro".  E mi spiegò che avremmo fumato un po' per uno. Cominciava lui, poi, quando sarebbe stato sul punto di finire, con la brace del suo mozzicone, avrei acceso la mia sigaretta e così via sino alla Fine del nostro turno.  "Sigarette - aggiunse - quando tira sempre coperta da mani".  E mi Fece vedere, tenendo le mani a coppa davanti alla brace, come bisognava fare per non segnalare involontariamente a qualcuno la nostra presenza.  Avanzammo per un po' nel bosco, in salita, Giorgio avanti e io dietro, raggiungendo il posto di osservazione.  "Io qui - mormorò Giorgio - tu là", indicandomi un cespuglio a qualche metro di distanza.  Era una notte di luna piena e, dove gli alberi si diradavano, il chiarore lunare penetrava illuminando il sottobosco come se fosse giorno.  Giorgio si immerse nel suo boschetto e non lo vidi più.  "Quando mozzicone pronto, io Fischiare", aveva detto prima di sparire.  Raggiunsi il mio posto. Dietro gli arbusti, c'era il tronco contorto di un albero abbattuto che utilizzai come sedile. Non si vedeva che a pochi metri di distanza; ma si sentiva. Qualcuno ha detto, non a torto, che di notte nel bosco "si vede con l'udito". Si sentivano un'infinità di rumori, alcuni noti, altri sospetti, altri addirittura che ti gettavano nell'ansia. Sembrava di sentir camminare, oppure il caratteristico rumore dell'otturatore quando un'arma viene "caricata"; e sembrava persino di sentir parlare.  Quando Giorgio, pochi istanti dopo, fischiò, corsi da lui come un cerbiatto.  "C'é qualcuno", mormorai trafelato. 

Mi abituai a diverse cose: a mangiare polenta con latte e latte con polenta, per esempio [...] oppure a percorrere stretti sentieri sopra strapiombi senza farsi venire le vertigini. Non riuscii però mai ad allontanare del tutto la paura della notte nel bosco.

Giorgio, calmissimo, mi passò il suo mozzicone facendomi cenno di non parlare e di non muovermi. Lo vedevo di profilo. Era tutto teso, per captare anche il più piccolo rumore.  "Nulla - disse dopo un po' - tutto tranquillo".  La sigaretta e, soprattutto, la presenza di Giorgio mi tranquillizzarono. Feci finta di niente e non tornai più al mio posto e Giorgio fece finta di non accorgersene. Mise il suo parabellum a tracolla sul petto e si sistemò la bustina sul capo. Indossava una bustina militare dell'esercito jugoslavo, piatta, triangolare, di panno grigio, alla quale teneva moltissimo e non se la toglieva mai, neppure quando dormiva.  Capii che osservava le mie mani, seguendole nei movimenti che facevo per fumare; non so se per controllare che non trasparisse alcun chiarore o pregustando il momento in cui lui avrebbe potuto accendersi la prossima sigaretta. Giorgio era un grande fumatore e, di giorno, lo si vedeva quasi sempre con la sigaretta fra le labbra.  "Macedonia - diceva quando raccontava del suo paese - gran tabacco, biondo, dolce". E il suo volto rifletteva, al solo ricordo, felicità. Per fortuna dei fumatori, in montagna raramente mancarono le sigarette o il tabacco per prepararsele. Le sigarette giungevano fino a noi per vie diverse. Intanto, molti montanari non fumavano e cedevano volentieri in cambio di denaro o di altre cose, i loro bollini per la razione mensile di tabacco. Nelle tabaccherie dei villaggi delle zone controllate dai partigiani, a Livemmo, per esempio, o di paesi come Bovegno, Collio e San Colombano dove noi eravamo di casa, si convertivano poi i bollini in tabacco o sigarette. Ma tra noi c'era anche un intenso scambio di sigarette straniere, soprattutto tedesche come le "R 6". Qualcuno diceva che erano fabbricate con le bucce delle patate; ma erano buone e ne facevamo incetta nelle caserme assaltate o addosso ai prigionieri.  Più raramente si trovavano sigarette inglesi o americane provenienti dai lanci. Personalmente, di sigarette americane ne vidi si e no un paio di pacchetti in tutto il periodo trascorse sui monti.  Fumare, anche per me, era ormai divenuto un Patto delizioso; ma doveva diventare addirittura indispensabile, di li a poco, man mano che la guerra si induriva ed aumentava la tensione nella nostra vita quotidiana. 
Passò anche quel turno di guardia notturna con Giorgio (senza guai) e  ne passarono molti altri. Mi abituai a diverse cose: a mangiare polenta con latte e latte con polenta, per esempio; oppure a dormire vestito  nei fienili (quando si andava a letto, ci toglievamo soltanto gli scarponi e la cintura con la fondina del revolver), oppure a camminare per  diciotto - diciannove ore al giorno con sulle spalle lo zaino, la borsa  tattica, il fucile, una coperta arrotolata e il telo tenda senza più  avere il mal di piedi; oppure a percorrere stretti sentieri sopra strapiombi senza farsi venire le vertigini. Non riuscii però mai ad allontanare del tutto la paura della notte nel bosco.

Piero Campisi, sulla destra, e Renato Ardenghi
Piero Campisi, sulla destra, e Renato Ardenghi
Piero Campisi, al centro, e Renato Ardenghi
Piero Campisi, al centro, e Renato Ardenghi